Generazione tradita: non fa nulla un giovane su 4. l'Italia penultima tra i paesi Ocse: alla scuola solo il 9% della spesa pubblica totale.
Il personale docente è primo per anzianità: il 58% ha più di 50 anni, il 10% meno di 40
Luigina Venturelli
Un Paese avaro nei confronti della scuola è un Paese avaro nei confronti dei propri giovani. Ed è un Paese destinato a pagarne pesantemente le conseguenze, in termini di istruzione, di occupazione e, in fin dei conti, di benessere economico e sociale. La fotografia dell'Italia, penultima tra le nazioni più industrializzate del mondo per spesa pubblica destinata al sistema scolastico - quella scattata dall'ultimo rapporto Ocse «Education at a glance» - è la diretta proiezione di una crisi che affonda le sue radici in anni di continui tagli alle risorse - il colpo di grazia assestato dal recente governo Berlusconi - e che, di questo passo, rischia di condannare al declino la penisola. Ai primi posti, infatti, tra i paesi più sviluppati per tasso d'inattività tra i giovani che né studiano né lavorano, 23% contro una media del 16%.
FANALINO DI CODA Ad oggi l'Italia spende per l'istruzione dei suoi cittadini più giovani solo il 9% del totale della spesa pubblica, piazzandosi al 31esimo posto in una classifica di 32 paesi che vede solo il lontano Giappone in posizione peggiore, contro una media Ocse del 13%. Uno scivolone inevitabile, dopo il calo dal pur modesto 9,8% registrato nel 2000, confermato anche dai ridotti margini di spesa in rapporto al prodotto interno lordo, il 4,9% del Pil contro una media generale del 6,2%. In termini assoluti, la spesa media per studente in Italia non si discosta molto dai livelli Ocse - 9.055 dollari rispetto ai 9.249 dollari medi - ma è distribuita in modo molto diverso tra i vari gradi di istruzione. Si conferma l'eccellenza nelle prime fasce scolastiche, dall'asilo alle elementari, che ci vede addirittura sopra la media Ocse - pari al 93% e al 97% contro rispettivamente il 66% e l'81% - e si confermano le criticità progressive in quelle superiori, tanto che all'università il differenziale con le altre nazioni industrializzate sfiora i 4mila dollari - 9.562 euro a fronte dei 13.179 medi.
UNIVERSITÀ AL PALO Una distanza che si ripercuote immediatamente sui risultati dell'istruzione universitaria, sia in termini di giovani laureati, sia in termini di sbocchi nel mondo del lavoro. La percentuale di persone che hanno conseguito una laurea in Italia resta tra le più basse dell'area Ocse, pur essendo cresciuta nell'arco degli ultimi trenta anni: il 15% delle persone tra i 25 e i 64 anni contro il 31% delle nazioni più industrializzate e il 28% della media Ue (in Francia la quota è del 28%, in Gran Bretagna del 38% e in Germania del 27%). La percentuale di laureati nella fascia d'età 25-34, inoltre, è superiore di soli dieci punti a quella registrata nella fascia 55-64, 21% contro 11%, sintomo della fatica con cui i cambiamenti globali in tema di istruzione collettiva hanno preso piede nel paese. Di più: ormai avere in tasca una laurea non rende più facile trovare un lavoro, visto che il tasso di occupazione è sceso tra il 2002 e il 2010 dall'82,2% al 78,3% per i laureati, mentre è rimasto stabile per i diplomati (72,3% nel 2002 e 72,6% nel 2010). E i dati sulle retribuzioni indicano le notevoli difficoltà dei giovani laureati a trovare un lavoro adeguato alla propria preparazione: i lavoratori italiani con una laurea tra i 25 e i 34 anni guadagnano soltanto il 9% in più dei loro colleghi diplomati (la media Ocse è del 37%), mentre i laureati tra i 55 e i 64 anni guadagnano il 96% in più dei coetanei diplomati (la media Ocse è del 69%).
PERSONALE DOCENTE ANZIANO Non stupisce, dunque, l'estrema difficoltà registrata anche nel ricambio del personale docente: l'Italia infatti ha i professori più anziani dell'area Ocse, il 58% di quelli della scuola secondaria ha più di 50 anni, e solo il 10% ne ha meno di 40. Un dato che il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo - protagonista di una rovente polemica con i precari del mondo della scuola per l'intenzione annunciata dal governo Monti di eliminare le graduatorie per passare ai concorsi come modalità d'ingresso nel sistema pubblico d'istruzione - si è affrettato a commentare come «elemento di stimolo affinchè le azioni che sono state intraprese siano rafforzate». Insomma: «Sul concorso che abbiamo annunciato, ci dice che la strada intrapresa non è così sbagliata». Ma restano «punti deboli» del sistema che necessitano una strategia di medio-lungo periodo per avere risultati convincenti e stabili: «Li stiamo analizzando per poter intervenire e allocare meglio le risorse» ha assicurato Profumo.