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Furoriregistro-Della legge, della cittadinanza, della responsabilità diffusa

Della legge, della cittadinanza, della responsabilità diffusa Cristina Contri - 05-04-2004 In questi giorni sto andando nelle scuole per partecipare alle assemblee dei docenti, assemblee in ...

05/04/2004
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Fuoriregistro

Della legge, della cittadinanza, della responsabilità diffusa
Cristina Contri - 05-04-2004

In questi giorni sto andando nelle scuole per partecipare alle assemblee dei docenti, assemblee in cui si cerca, insieme, di resistere all'idea di scuola che vorrebbe la Moratti. Nelle assemblee illustro la proposta della CGIL Scuola, e di altri sindacati, di utilizzare, in nome dell'autonomia scolastica, il Collegio dei Docenti e il Consiglio di Circolo per far sì che in questo momento di transizione non si cambi nulla. In sostanza proponiamo di deliberare il piano dell'offerta formativa di questo anno scolastico, e, per quanto riguarda il tutor, che non se parli nemmeno.
Ad un certo punto dell'assemblea, ogni volta, arrivano le stesse obiezioni:
- ma ormai quella della Moratti è legge dello stato e come tale dobbiamo applicarla!
- come insegnanti siamo servitori (servitori?) dello stato (appunto, stato, non governo!) e dunque non è possibile praticare alcuna forma di disobbedienza senza passare dalla parte del torto
- ma è legale la vostra proposta?
Altri ancora sostengono, a ragione, che la democrazia si fonda su un patto sociale in base al quale le leggi, anche se promulgate dalla parte avversa, sono riconosciute da tutti e come tali rispettate.
Insomma alla fine delle assemblee mi ritrovo ogni volta a riflettere sul rapporto che abbiamo con le leggi. È un dibattito, questo, che trovo molto interessante, ed è positivo che nasca in maniera spontanea nelle scuole, perché penso che possa essere utile anche in una prospettiva di crescita per tutti noi.
E allora, in questi pensieri del dopo assemblea mi sono chiesta: c'è una relazione tra le leggi e la scuola vera?
È chiaro che la relazione c'è. Ma che tipo di relazione? Possiamo dire che delle buone leggi si traducono in una buona scuola e che delle cattive leggi portano una cattiva scuola? Credo proprio di no.
Certo, buone leggi favoriscono lo sviluppo di una buona pratica, ed una buona pratica dovrebbe portare a buone leggi. Ecco, tutto questo ragionamento mi serve per dire che tra le leggi e la realtà ci sono le persone, preferisco dire che ci sono i cittadini.
Tra leggi e pratica scolastica deve esserci una reciprocità, una relazione di circolarità, e i cittadini sono i mediatori di questa relazione, una relazione che è complessa. È complessa anche perché le leggi sono molte.
Qualcuno oggi pensa e ragiona come se la legge 53/2003 e il decreto 59/2004 fossero le sole leggi esistenti sulla scuola.
Non è così!
Ogni legge arriva e si colloca in una realtà fatta di pratiche, di esperienze, si inserisce in un contesto legislativo preesistente, ed entra in relazione con esso.
Ogni legge, come la tessera di un puzzle, contribuisce a disegnare lo scenario.
Le leggi della Moratti incontrano la protesta degli insegnanti, incontrano un'altra scuola, incontrano la legge sull'autonomia scolastica, e con tutto questo devono fare i conti.
Ogni legge sulla scuola, dal 1999 in avanti, deve fare i conti con il DPR 275 sull'autonomia scolastica. Così come si deve confrontare con i Decreti Delegati degli anni settanta, perché finché non sono abrogate le leggi esistono.
Per me il DPR 275 è una bella legge, e credo che la scuola abbia bisogno di leggi belle. Perché la scuola ha bisogno di potersi raccontare, e per farlo servono leggi che funzionino come uno sfondo integratore, per usare un'espressione di Andrea Canevaro.
Cosa intendo dire?
Che le leggi ci devono aiutare, se no sono inutili.
Lo sfondo integratore lo possiamo paragonare al fondale di un teatro, è una specie di contenitore aperto, capace di tenere insieme tante diversità, che grazie a questo sfondo non sono più elementi isolati, ma diventano parte di un disegno generale, lo sfondo appunto. Se c'è questo sfondo noi riusciamo a raccontare quello che succede, a tenerlo insieme in una narrazione. La narrazione che ne viene fuori può anche non piacerci. Lo sfondo, ad esempio, potrebbe spingerci a raccontare di una scuola fatta di singole storie, di solitudini, di un luogo in cui ciascuno corre da solo più che di un luogo comune. Resta il fatto che non ha senso parlare di scuola fuori da questo sfondo. Naturalmente lo sfondo politico legislativo non è qualcosa che sta fermo, ma è qualcosa che muta di continuo.
Se le leggi sono anche degli strumenti che ci servono per raccontare la scuola, la legge sull'autonomia scolastica in questo momento ci serve e ci aiuta a poter ancora raccontare questa scuola, e non un'altra.
Nello sfondo si collocano anche le leggi della Moratti, certo, ma noi non siamo d'accordo con quelle leggi perché non ci piace quella scuola, e per quest'anno continuiamo a fare la nostra scuola, perché possiamo farlo. Possiamo farlo se siamo in grado di costruire un'alleanza tra di noi, con i genitori, e se siamo capaci di comprendere davvero la gravità di questo attacco alla scuola pubblica.
Questa proposta che noi facciamo è difficile, molto difficile. È una proposta che richiede un'alzata di orgoglio dei docenti.
Qualcuno dice che non è possibile abbandonare i Collegi a loro stessi, lasciarli soli con la responsabilità dell'opposizione. A me pare che il problema non sia questo. Non credo davvero che i docenti siano abbandonati, ci sono alcuni sindacati e i movimenti che oltre a sostenerli lottano per il ritiro del decreto e per l'abrogazione della legge 53. Credo che il problema vero stia nel rapporto che abbiamo con le leggi, con ciò che è comune, pubblico, di tutti, con la partecipazione e la cittadinanza, con l'informazione.
A scuola, e forse non solo a scuola, il rapporto con la legge è spesso di delegittimazione anziché di responsabilità. Affermazioni come: "in base a quale norma devo, o posso, fare ciò?" oppure "di chi è la responsabilità?", "io eseguo le istruzioni" sono affermazioni che circolano nei corridoi. C'è qualcuno che però le responsabilità le assume, e io penso che le cose funzionano meglio se le responsabilità sono diffuse, se ciascuno se ne assume un pezzetto.
La proposta di mobilitare i Collegi dei Docenti affinché nel prossimo anno scolastico non si realizzi nulla di questa idea di scuola è una proposta che va in questo senso di responsabilità diffusa. Ognuno ha le proprie responsabilità, i sindacati, i partiti, i movimenti, i cittadini. Non è più possibile delegare ad altri; è comprensibile desiderare che arrivi qualcuno, da fuori, che aggiusti ogni cosa per noi, ma per la salute della democrazia noi, con i nostri gesti, ci dobbiamo essere, perché la storia ci insegna che quel qualcuno potrebbe essere un dittatore.
Questo è il senso dell'essere cittadini.
Oggi siamo troppo abituati ad essere spettatori, assistiamo impassibili al male che viene mostrato, ma non possiamo più attribuire la colpa all'ignoranza.
Non è più possibile dire che non sapevamo, che non eravamo informati, perché sappiamo bene che se solo vogliamo noi possiamo sapere tutto.
È che forse non lo vogliamo, perché sapere è faticoso. Perché se sappiamo davvero poi ci tocca chiederci:
Ma io posso fare qualcosa?
Quanto contano le mie azioni?
Sono domande che mobilitano, e la mobilitazione contro questa riforma della scuola non può che partire da noi, se non è così, non dovremo poi trovare delle scuse.


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