Fondazione Agnelli: «Troppi anni e troppa teoria per diventare prof»
La Fondazione Agnelli contesta il sistema di reclutamento previsto dalla riforma. Sotto accusa il percorso, giudicato troppo lungo, la sovrapposizione dell'abilitazione e dell'assunzione, e la valutazione a cui i prof vengono sottoposti alla fine dei 3 anni
Valentina Santarpia
Presidi, studenti, e adesso anche la Fondazione Agnelli: non convince il nuovo sistema di reclutamento dei docenti disegnato dalla legge 107, che rischia di creare, secondo i suoi detrattori, figure ibride sottoposte ad una valutazione ambigua. Il clima di dissenso si sta materializzando anche nel corso dei tavoli di approfondimento che il ministero dell'Istruzione sta convocando per delineare i dettagli delle deleghe e dei decreti attuativi della riforma, e che confermano il percorso che gli aspiranti professori dovranno affrontare. Ma il ministero dell’Istruzione replica: «Il percorso per arrivare al provvedimento oggetto di delega è appena cominciato e i tavoli voluti dal Miur per confrontarsi con esperti e associazioni servono proprio a far emergere soluzioni condivise e non unilaterali. I vertici politi di viale Trastevere hanno voluto con forza avviare questo confronto proprio per evitare cambiamenti calati dall’alto. Il confronto avviene in un clima non di dissenso ma di collaborazione». Intanto la Fondazione Agnelli attacca.
Il percorso di abilitazione
Al netto del prossimo bando, che dovrebbe essere riservato solo agli abilitati ( e dare quindi una chance in più ai precari rimasti esclusi dal maxi piano di assunzioni), il concorso per insegnanti dovrebbe essere aperto a coloro che hanno conseguito una laurea magistrale (120 crediti, di cui un minimo di 24 in discipline antropo-psico-pedagogiche-metodologiche e di tecnologia didattica). Vincendo il concorso si ottengono l’assegnazione a un’istituzione scolastica (o rete di scuole) e un contratto retribuito a tempo determinato di durata triennale di tirocinio. Il tirocinio triennale prevede, nel primo anno, un corso annuale istituito dalle università (anche in convenzione con le scuole) per completare la preparazione nella didattica disciplinare, al termine del quale si consegue un diploma di specializzazione. Nel secondo e terzo anno, i futuri prof si cimenteranno con tirocini formativi nelle scuole e con le supplenze. Solo alla fine di questi passaggi, e a seguito di «positiva conclusione e valutazione», i candidati potranno firmare un contratto a tempo indeterminato e diventare definitivamente docenti di ruolo.
Dieci anni per diventare insegnanti
Ed è proprio questo uno dei punti su cui maggiormente si concentrano le critiche della Fondazione Agnelli: «A chi spetta una decisione così importante? Con quale rigore ci si aspetta che questa venga presa?», si chiede, lanciando un appello al chiarimento e specificando che, se la valutazione dovesse essere affidata al comitato di valutazione, finirebbe per essere «debole, poco trasparente e potenzialmente iniqua», a fronte della responsabilità di decidere dell'assunzione di una persona per tutta la vita all'interno della Pubblica amministrazione. Ma non è l'unica critica. Sotto accusa c'è anche il percorso: troppo lungo, secondo la Fondazione Agnelli. Il sistema, così delineato, prevede infatti che un insegnante si formi in otto anni, ovvero 5 di università e tre di tirocinio. Considerato che in media una laureato italiano consegue il titolo in 7 anni, gli anni diventano dieci, tanti rispetto ai 4-5 anni previsti ad esempio dal sistema tedesco per insegnare nella scuola secondaria inferiore: «Bisognerebbe pensare ad un sistema che non superi i sei anni, eventualmente prevedendo un tirocinio di un anno dopo la laurea magistrale», suggerisce la Fondazione.
La teoria sbilanciata sulla pratica
Ma nel mirino c'è anche il percorso stesso di abilitazione, che nel percorso disegnato dalla legge 107, rileva la Fondazione Agnelli, finisce per essere sovrapposto a quello di assunzione: gli aspiranti professori infatti si abilitano dopo aver superato il concorso, anche se non hanno ancora svolto un solo minuto di pratica, visto che i laureati che potranno partecipare al concorso dovranno solo dimostrare di avere superato degli esami di carattere pratico. E proprio questa sequenzialità- la teoria che viene prima della pratica- è un altro dei punti che non convince la Fondazione: i momenti di effettiva pratica didattica nelle scuole sono, infatti, esplicitamente previsti solo a partire dal secondo anno del tirocinio triennale. «Questo modello è del tutto anomalo rispetto a quello prevalente nel resto d’Europa, dove si è imposto quello parallelo, che prevede l’alternanza e l’integrazione di formazione teorica e formazione pratica all’insegnamento, che cominciano già negli anni di università e proseguono per tutto l’iter formativo».