"Fiducia negli insegnanti e progetti" Così la scuola torna a fare inclusione
Intervista a Marco Rossi Doria
Da "maestro di strada" a sottosegretario alla Pubblica Istruzione. L'esperienza del recupero nei Quartieri Spagnoli. "Il problema è sempre stato la discontinuità degli interventi". Che fare? "Investire in strutture e tecnologia, ma anche partire dalle conoscenze e dalle esperienze esistenti che hanno funzionato"{C}{C}ROMA - Marco Rossi Doria, 58 anni, napoletano, è insegnante di ruolo nella scuola elementare dal 1975. Per sedici anni ha lavorato a Torre Annunziata. Poi si è trasferito in Etiopia e si è occupato dei bambini di strada a Nairobi. E' tornato a Napoli in una scuola frequentata da bambini di estrazione sociale alta, come docente di inglese. Contemporaneamente ha lavorato come volontario in un'organizzazione che lavorava nei quarteri spagnoli a Napoli, quartieri con un altissimo tasso di dispersione scolastica a partire dalla scuola media. Successivamente ha chiesto al ministero dell'Istruzione un distacco. Ha guidato un gruppo di insegnanti con l'obiettivo di trasmettere le competenze minime per esercitare il diritto di cittadinanza. A quel punto il Provveditorato ha chiesto di costruire un progetto organico per fronteggiare l'abbandono scolastico. Da lì è nato il progetto "Chance" che si rivolge ai ragazzi che sono usciti dalla scuola prima di raggiungere l'obbligo scolastico, coinvolgendo migliaia di ragazzi. Ora Marco Rossi Doria è sottosegretario alla Pubblica Istruzione
Come è nata la sua esperienza e quali strumenti ha usato per il recupero dei giovani che avevano abbandonato la scuola?
"L'esperienza dei maestri di strada è nata da un gruppo di insegnanti, educatori, assistenti sociali, psicologi dei Quartieri Spagnoli di Napoli dall'idea che fosse necessaria una scuola per i ragazzi che avevano smesso di frequentarla, per accompagnarli con strumenti adeguati al conseguimento della licenza media e di qualifiche professionali. L'idea di fondo è quella di dare di più a chi ha più bisogno. Gli strumenti che abbiamo usato, tra gli altri, sono stati patti educativi sottoscritti con il singolo alunno e i suoi genitori, rafforzamento degli alfabeti di cittadinanza (saper leggere, saper scrivere, saper parlare), una rete forte di cooperazione con tutti i soggetti del territorio: scuole, parrocchie, centri sportivi, associazioni, formazione professionale, servizi sociali, ecc.
Il nostro lavoro si incentrava sul gruppo docente e sulla capacità di autoanalisi di debolezze e punti di forza riscontrati in classe. E su un'idea comunitaria di scuola dove si mangia insieme, si parla di tutto, si fanno film, si organizzano campi all'aperto, si fanno spettacoli di strada, ecc".
Quali gli ostacoli più ardui da superare?
"L'ostacolo più importante che abbiamo trovato è stata la mancanza di continuità. In Italia gli interventi nell'ambito sociale sono caratterizzati da investimenti discontinui, le istituzioni faticano a mettere in rete le esperienze positive e a fornire supporto adeguato perché, da sperimentazioni possano diventare esperienze durature nel tempo. Solo con la continuità e la stabilità è possibile incidere in maniera sensibile sul territorio, sul contesto difficile delle zone di forte esclusione economica, sociale e culturale del Mezzogiorno. Ma lo stesso discorso vale, naturalmente, per alcune periferie delle città del Nord. Far ripartire prototipi con un orizzonte di attività medio-lungo è stato uno dei temi trattati dai Ministri Profumo e Barca con il Commissario europeo per le politiche regionali Johannes Hahn".
La scuola può bastare da sola a risolvere il problema della dispersione?
"Naturalmente no. La dispersione scolastica è un fenomeno complesso, che riguarda differenti tipologie, cause molteplici, contesti diversi. Per questo è fondamentale operare in sinergia con il territorio e tutti i suoi attori, dalle scuole alla formazione professionale, dalle imprese ai servizi sociali, dalle parrocchie ai centri sportivi agli enti locali".
C'è un nesso tra povertà e abbandono scolastico?
"Il nesso c'è ed è stato dimostrato dal Rapporto del 2008 realizzato dalla Commissione di indagine sull'Esclusione Sociale. Se prendiamo una grande città, che può essere Napoli o Milano, e sovrapponiamo i dati Istat sulla povertà delle famiglie con i dati sull'abbandono scolastico, le due mappe corrispondono, quartiere per quartiere. C'è una forte corrispondenza tra la povertà - economica ma anche culturale - delle famiglie e i bassi livelli di istruzione. Ma non solo. Se sei figlio di una famiglia povera, studierai di meno e tenderai a formare una nuova famiglia povera. Se invece provieni da una famiglia povera ma riesci ad innalzare il tuo livello di istruzione, migliorerai le tue condizioni economiche, vivrai più a lungo, sarai più sano e meno a rischio di dipendenze. Il paradosso è questo: la scuola purtroppo fa fatica a trattenere proprio i ragazzi a cui l'istruzione serve di più. C'è stato un tempo in cui non era così, ma da almeno vent'anni c'è questa difficoltà. Dall'Unità d'Italia al 1980 la scuola pubblica è stato potente fattore di discriminazione positiva: ha alimentato l'ascensore sociale. La sua funzione, però, si è molto rallentata negli ultimi anni. Oggi, nel concreto, il problema esplode nel primo biennio delle scuole secondarie superiori, dove è più alto il tasso di abbandono, ma si manifesta ancora in maniera persistente, seppure residuale, nelle scuole medie inferiori in alcune zone di forte esclusione sociale. Questo rivela la necessità di intervenire anche nella scuola primaria, per rafforzare al massimo le competenze e conoscenze di base che è indispensabile acquisire nei primi anni di istruzione, altrimenti recuperare è difficilissimo. E poi, come dicevo all'inizio, pensare a come rispondere in maniera diversificata a bisogni profondamente diversi anche all'interno della 'scuola di tutti'".
Ora che è sottosegretario come metterà a frutto la sua esperienza?
Nel poco tempo e con le risorse limitate a nostra disposizione, stiamo cercando di dare alle scuole autonome qualche strumento in più per funzionare e per organizzarsi meglio. Nel decreto semplificazioni approvato da poco in Consiglio dei Ministri ci sono i primi passi in questa direzione. Stiamo lavorando insieme al Ministro Profumo e al Ministro Barca per destinare le risorse provenienti dai Fondi europei alle quattro regioni meridionali (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) secondo alcune priorità. Oltre all'edilizia scolastica e alle dotazioni tecnologiche e multimediali, ci sono investimenti destinati al rafforzamento delle conoscenze e competenze indispensabili, al recupero del ritardo scolastico e al contrasto alla dispersione. Per la lotta alla dispersione si tratta di circa 27 milioni di euro che verranno destinati a prototipi. Daremo una prospettiva, cioè, a progetti già esistenti, che hanno dimostrato la loro efficacia e che possono essere estesi e implementati. E' un primo passo, ma la mia esperienza mi dice che è fondamentale partire sempre da quello che c'è e che già funziona. Un'ultima cosa: dopo aver trascorso tanti anni a fare il maestro, credo sia fondamentale riuscire a trasmettere fiducia nella scuola e negli insegnanti. La scuola ha davanti a sé tante sfide e non poche difficoltà, ma racchiude risorse preziose, senso di responsabilità e impegno indefesso di tanti dirigenti scolastici, maestri e professori che rendono possibile, se accompagnati con gli strumenti giusti, superare i momenti difficili e riportare l'istruzione ad essere strumento vero di inclusione e mobilità sociale.