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Festività, croci e crocifissi

di Maurizio Tiriticco

10/12/2015
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ScuolaOggi

Sono polemiche sterili, a mio avviso, quelle di questi giorni: festeggiare o no il Natale nelle nostre scuole? Mah! Se si va un po’ indietro nel tempo, rileviamo che la nostra scuola pubblica, statale e comunale, nacque più di cento anni fa con l’avvio dell’Unità nazionale e all’insegna, appunto, di un’assoluta laicità.

Erano gli anni in cui i Savoia requisivano conventi e collegi cattolici per farne ginnasi e licei che nel tempo divennero anche prestigiosi istituti statali di studio. E si avviava anche quella scuola obbligatoria pubblica con la quale si apriva una decisa concorrenza con quelle parrocchie che da sempre, insieme al Vangelo, di fatto insegnavano anche i primi rudimenti di lettura. Come del resto avviene oggi nelle scuole coraniche, dove la lettura del Corano diviene anche lettura di altri testi. E, quando si dice che gli atei più agguerriti sono usciti dalle scuole cattoliche, si dice in effetti una banalità. Quali altre scuole esistevano nei nostri numerosi staterelli nei secoli precedenti all’Unità? E neanche l’età dei Lumi aveva portato buoni consigli ai nostri altrettanto numerosi governanti. Qualche eccezione ci fu, ma non fu la regola.

Ed è anche noto quanto si preoccupassero i Papi di una lenta ma progressiva estensione dell’obbligo di istruzione. Come avremmo potuto costruire un’Italia in grado di reggere la concorrenza con una Francia o una Germania o una Gran Bretagna, da decenni Paesi industriali? E colonialisti per giunta! E’ nota la lettera di Pio IX del 3 gennaio 1870 a Vittorio Emanuele II! Maestà, La prego di fare tutto ciò che è in suo potere per “allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice, relativa alla istruzione obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche, soprattutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla religione di Gesù Cristo!”

Il fatto è che la nostra scuola statale non nacque contro le scuole cattoliche, ma all’insegna della neutralità in materia religiosa. In seguito le cose cominciarono a cambiare, quando il regime fascista pensò di rafforzare il suo potere ingraziandosi proprio quel mondo ecclesiastico che i Savoia avevano sempre “snobbato”. E nel Trattato firmato l’11 febbraio 1929 non solo leggiamo che “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato” (art. 1), ma anche che “l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica” (art. 36). Le cose non sono cambiate di molto né con la caduta del fascismo né con il varo della Costituzione repubblicana (si veda l’articolo 7) né con il “nuovo” Concordato sottoscritto da Bettino Craxi e il cardinale Casaroli il 18 febbraio del 1984. In effetti, presepi e canti natalizi nelle nostre scuole sono cose abbastanza recenti. Con il fascismo non si allestivano presepi nelle scuole, tanto meno alberi di Natale, roba nordica… nulla a che vedere con il nostro presepe francescano di Greccio. Si festeggiavano le ricorrenze laiche, ovviamente fasciste: il 23 marzo, nascita dei fasci di combattimento, il 28 ottobre, la Marcia su Roma, e così via. E anche il genetliaco del Re!

Insomma, con il passar del tempo, abbiamo lasciato che a poco a poco il Natale entrasse di peso anche nelle nostre scuole pubbliche. Del resto, se lo Stato chiude le sue scuole per una ventina di giorni e più perché la maggioranza dei suoi iscritti possa festeggiare al meglio le sue convinzioni religiose, perché stupirci se anche nell’orario normale delle lezioni, da qualche anno a questa parte, si allestiscono presepi, spettacoli e festeggiamenti natalizi? E ora di che cosa ci lamentiamo? Abbiamo voluto aprire le nostre scuole pubbliche – non religiose di norma – ad avvenimenti religiosi di un certo tipo; poi abbiamo aperto le nostre scuole anche ad alunni di altre fedi. E ora dobbiamo pagare il conto. Festeggiare tutti? O non festeggiare nessuno? Che dilemma! Che fare? Semplicemente ci siamo infilati in un vicolo cieco dal quale non sappiamo come uscire. Il che è molto triste. Anche e soprattutto perché il valore, l’importanza e il peso delle nostre scuole pubbliche, laiche per nascita, ce li siamo perduti, con le nostre stesse mani. Non vedo via di uscita! Se ne uscirà, apparentemente, solo dopo il 6 gennaio del 2016… per ricominciare il 20 dicembre dello stesso anno… se non a Pasqua!

E a tutto questo bailamme si lega anche la presenza o meno del crocifisso nelle nostre aule. A miei tempi – o tempora o mores – c’era poco da discutere! Nelle tante aule da me frequentate sulla parete dietro la cattedra figuravano il Crocifisso al centro e ai due lati la foto di Vittorio Emanuele III, Re d’Italia e d’Albania e Imperatore d’Etiopia, e di Benito Mussolini, Duce le Fascismo e Capo del Governo! E tutto con tanto di maiuscole! La statuetta di un uomo inchiodato su di una croce, in effetti, non ci stupiva più di tanto: ciascuno di noi la conosceva bene a l’aveva vista fin dalla nascita. Però mi sono sempre chiesto quale impressione ne potesse avere un bambino di un’altra cultura esposto per la prima volta a un’immagine del genere. E capivo e capisco perché per certe religioni la rappresentazione grafica di un dio, anzi di Dio con tanto di maiuscola, bella o brutta che sia, con o senza la barba, è semplicemente impossibile.

Occorre anche dire che la croce è cosa molto antica. E la si ritrova in quasi tutte le rappresentazioni religiose precedenti a quelle cristiane. E’ un simbolo di una grande efficacia. Rappresenta la creazione (ovviamente, ammesso che vi sia stato un atto creativo) e lo sviluppo dell’intero universo. La retta verticale è l’eternità di un tempo che si materializza all’incrocio con una retta perpendicolare orizzontale, che è l’eternità dello spazio e degli oggetti materiali che lo sostanziano. Il punto di incontro tra le due rette, quella immateriale del tempo e quella materiale dell’infinito mondo degli oggetti, costituisce la fonte di una creazione che non si sa quando ha avuto inizio né si sa se avrà una fine. In effetti, l’atto creativo è sempre… in atto! E la sua rappresentazione è efficace. Se poi la “cosa” graficamente rappresentata con una croce la vogliamo risolvere in una formula, possiamo felicemente ricorrere, mutatis mutandis, ma solo fino a un certo punto, a quell’E = mc2, che il genio di Einstein ci ha voluto regalare. Tempo, spazio, luce, massa, energia, velocità: sono i modi nominali e numerici con cui tentiamo di accedere ai segreti dell’universo. Insomma, le intuizioni religiose che affondano nella notte dei tempi vengono a mano a mano disvelate dalla nostra umana capacità di pensare, cercare, intuire, scoprire. E’ così? Non so!

La croce è anche un simbolo antichissimo e universale. E ci sono tanti tipi di croce, C’è la croce uncinata, o meglio la croce rotante, cioè il tentativo di simboleggiare un atto creativo che non ha mai fine. La croce rotante normalmente gira in senso destrorso – orario, diremmo oggi – e le fiamme sulle quattro sommità vanno all’incontrario, da destra a sinistra. Ma c’è anche la croce che gira in senso antiorario: è quella della magia nera, quella adottata da Hitler e dalla ideologia nazista. Fu una scelta? O una casualità? Stando alle credenze naziste, opterei per una scelta: si trattava di rovesciare un mondo, quello governato dalle religioni positive e, tra queste, dalle religioni cristiane (cattolici, protestanti, anglicani, ortodossi, copti e così via), per crearne uno del tutto nuovo, governato da un’unica razza, quella ariana che aveva la sua tradizione religiosa ben più antica di quella del cristianesimo e dei suoi derivati.

Le varianti della croce sono moltissime. La più nota presso di noi è la croce latina, con il braccio verticale più lungo di quello orizzontale. Fu adottata in quanto la tradizione vuole che Cristo fosse stato crocifisso su quel tipo di croce. Secondo altri, sarebbe stato crocifisso sulla croce cosiddetta di sant’Andrea, a forma di X, con i bracci della stessa lunghezza, in quanto – come sembra – in quel periodo in Palestina i condannati si crocifiggevano in quel modo. C’è anche la croce greca, con i bracci eguali, adottata dai cavalieri templari.

Tornando a noi, è molto difficile che una scuola oggi, in un mondo che si fa sempre più plurale quanto a culture e a credi religiosi, possa e debba rispondere ai credi di tutti i suoi alunni. Ed è anche improduttivo proporre o imporre, come cancellare o abolire, ricorrenze di sorta. Se la scuola tornasse al suo compito primigenio di insegnate a leggere, scrivere e far di conto, sarebbe la soluzione migliore. Ma non sarà una facile impresa! Infatti, ormai da qualche decennio ci siamo avviati per il vicolo cieco dei festeggiamenti religiosi a senso unico. Tornare alle origini della nostra scuola veramente laica, quella di Casati, di Coppino, e anche di un Vittorio Emanuele II, galantuomo “dalla cintola in su”, scomunicato da Pio IX dopo la Breccia e notoriamente mangiapreti, forse sarebbe la cosa migliore. Si gioca con i fanti e i santi è meglio lasciarli perdere.


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