FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3784939
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Espresso-Una scuola da bocciare

Espresso-Una scuola da bocciare

SISTEMA SCOLASTICO SOTTO ESAME Una scuola da bocciare Docenti impreparati. Programmi non aggiornati. Attrezzature inadeguate. Scarsa preparazione al lavoro. In una ricerca, le pagelle di stu...

15/05/2004
Decrease text size Increase text size
L'Espresso

SISTEMA SCOLASTICO SOTTO ESAME
Una scuola da bocciare
Docenti impreparati. Programmi non aggiornati. Attrezzature inadeguate. Scarsa preparazione al lavoro. In una ricerca, le pagelle di studenti e genitori
di Andrea Benvenuti

Sufficienza a malapena. Studenti e genitori hanno le idee chiare sulla scuola. E non ne pensano bene: pressoché inutile per trovare lavoro e in mano a insegnanti non all'altezza del loro ruolo. È la fotografia impietosa che emerge dall'indagine dell'Istituto Cattaneo e dell'Associazione Trellle, realizzata su un campione di 2.597 persone tra i 18 e i 64 anni cui è stato chiesto un giudizio sul sistema scolastico. "Ne viene fuori un quadro a fosche tinte, ma anche una chiara indicazione su quali dovrebbero essere le priorità da perseguire", afferma Attilio Oliva, presidente esecutivo di Trellle e promotore della ricerca.

Il messaggio a pedagogisti, consiglieri, professori e ministri è netto: la scuola deve cambiare. E se il dibattito tra gli addetti ai lavori non interessa più di tanto alla stragrande maggioranza degli italiani, gli obiettivi della riforma sono invece ben delineati. Ed è deciso il giudizio sul corpo insegnante. Sembra proprio che l'opinione sui maestri e i professori italiani si mantenga negativa e che servano a poco le battaglie del corpo docente per le 150 ore o le richieste, ad ogni tornata di rinnovo contrattuale, di risorse aggiuntive da destinare all'aggiornamento professionale. Così come non sembra avere presa sul cittadino medio la protesta contro i progetti di riforma del ministro dell'Istruzione e le manifestazioni di dissenso dei sindacati e delle associazioni di categoria. Studenti e genitori, ovvero gli utenti in prima e seconda battuta, giudicano con criteri ben diversi da quelli degli addetti ai lavori e sono convinti che gli insegnanti facciano studiare poco i propri studenti e diano pochi compiti a casa e che la preparazione dei docenti non sia adeguata alle esigenze degli standard formativi e dei cambiamenti che il mondo, al di fuori della classe, richieda. Così, infatti, la pensa il 77 per cento degli intervistati. Una sentenza pesante e compensata solo in parte da quel 28 per cento che ritiene 'brava' una piccola minoranza del corpo docente. Sono i giovani in particolare a bocciare i propri insegnanti e oltre il 70 per cento di quelli tra i 18 e i 30 anni dichiara che i prof all'altezza sono 'una minoranza'.

Dai risultati della ricerca è tutto il sistema scolastico a non passare l'esame. Tre su quattro intervistati ritengono che la maggiore debolezza della scuola è 'l'incapacità di preparare i giovani all'ingresso nel mercato del lavoro'. Il 43 per cento invece non è soddisfatto di come si insegna ai giovani ad essere creativi, curiosi, 'a continuare a imparare da soli' e a 'pensare criticamente'. Inoltre, il 61 per cento considera i programmi 'inadeguati' e il 55 pensa lo stesso di aule e attrezzature. Nel complesso, il sistema scolastico strappa la sufficienza e comunque, per tre italiani su dieci, il voto è anche più basso.

Né trovano positiva accoglienza le tentazioni privatistiche o i tagli progettati dal ministro Letizia Moratti. La scuola - questa l'indicazione che viene dall'indagine - deve essere sostenuta a livello economico da tutti i cittadini; il tempo pieno e prolungato non si toccano e, lungo il percorso formativo, dalla scuola dell'infanzia fino alle superiori, è necessario fornire agli studenti gli strumenti culturali e cognitivi per capire come ci si relaziona con gli altri e come ci si integra nella società.

Ma quello che studenti e genitori chiedono soprattutto è uno stretto ed efficace collegamento con il mercato del lavoro. La loro è una visione utilitaristica della scuola: non cultura fine a se stessa, ma preparazione in vista di un impiego. Si impara finché serve, niente di più. E gli studi possono fermarsi anche in giovane età, purché utili. La preparazione dei giovani per l'ingresso nel mondo del lavoro è infatti giudicata 'molto importante' dall'82 per cento degli intervistati, ma questo non vuol dire che, dopo la fine delle scuole superiori, ci si debba iscrivere per forza all'università. Da questo punto di vista, infatti, la continuazione degli studi è importante quanto la capacità di 'essere creativi', di 'pensare criticamente' e di 'avere fiducia in se stessi'. In sostanza, la laurea non è più così ambita, rimane ad appannaggio dei settori culturalmente più elevati ed è diffusa l'idea che, con una buona preparazione scolastica, si può avere successo anche senza un titolo accademico. Il raggiungimento di questi obiettivi va, di pari passo, con un ripensamento dei programmi didattici e delle materie. Non si tratta di un vero e proprio stravolgimento ma della richiesta di novità dell'insegnamento che vede, al primo posto, un gruppo di tre materie: lingua italiana, inglese e tecnologie informatiche. Segue un secondo gruppo formato, invece, dalla storia d'Italia nel dopoguerra, la matematica, l'educazione civica e la letteratura italiana. Quindi, la storia europea del Novecento, le scienze, l'educazione fisica e, all'ultimo posto, filosofia e latino. "In questa nuova classifica delle preferenze, quello che risalta è la scarsa importanza che viene data alle scienze e alla matematica, oltre che al latino", commenta Attilio Oliva. Un dato che, soprattutto per quanto riguarda la matematica, è in controtendenza rispetto agli altri paesi dell'area Ocse. Il discorso a questo punto diventa delicato perché, come sostengono i ricercatori dell'Istituto Cattaneo e dell'Associazione Trellle, "all'orizzonte si profila uno schiacciamento delle ambizioni formative degli italiani verso il basso". Elemento di non poco conto se si considera che quasi la metà del campione preferisce una 'scuola comoda e adeguata' alle aspettative ma 'senza perdite di tempo' (è il caso degli istituti tecnico-professionali che già la fanno da padroni anche se, per il prossimo anno, i licei sono tornati a riempire le classi); che meno di quattro italiani su dieci pensano che un giovane debba studiare fino a diciotto anni; che la maggioranza approva la scelta se continuare o meno il percorso formativo già all'età di quindici anni e che l'iscrizione all'università è molto meno ambita di dieci o venti anni fa.

"Se passano questi messaggi ispirati più all'ignoranza che al buonsenso rischiamo di perderci per strada tanti giovani, di riempire gli istituti professionali senza sbocchi validi, di perdere in competitività sul fronte delle nuove tecnologie e di diventare famosi più come il paese dei maghi che degli scienziati", conclude Oliva. Un aspetto di non poco conto visto il gap che l'Italia già sconta sul fronte delle nuove tecnologie e delle nuove professioni. Di questo passo, la forbice è destinata ad aumentare soprattutto se non si recupera lo scollamento tra la scuola-paese e gli addetti ai lavori e se il ministro Moratti continua a impantanarsi su tutor e portfolio senza raccogliere le indicazioni concrete di come dovrebbe funzionare la scuola secondo gli utenti.

Salviamo le materie inutili
di An. Ben.

"Alla scuola serve una ventata di inutilità". Benedetto Vertecchi, ordinario di Pedagogia sperimentale a Roma Tre, non ha dubbi: "Per salvare la scuola e dare ai giovani gli strumenti fondamentali di critica e analisi è necessario rimettere al centro dell'insegnamento le materie più antipatiche, proprio le ultime nella classifica delle preferenze".

Questo significa non capire cosa desiderano gli utenti?

"No, significa fare un servizio alle giovani generazioni e al paese. Se leggere una poesia, tradurre una versione di latino, studiare i classici della filosofia viene ritenuto ormai inutile, allora è utilissimo. Tutte quelle materie che non sono più in auge, come ad esempio le scienze e la matematica, servono perché arricchiscono il patrimonio del simbolismo personale, stimolano la creatività intellettuale e servono ad affrontare la vita quotidiana".

Ma genitori e studenti chiedono soprattutto l'inglese e l'informatica.

"Non sono convinto che sia una scelta consapevole, ma influenzata dai messaggi della politica e dagli spot veicolati dai media. In realtà, certe richieste appaiono più frutto di imitazioni e specchio di una cultura corrente, di ritardi culturali che caratterizzano una buona parte della società italiana. Viviamo nella fabbrica dei sogni dove è importante stare nella scia delle nuove tecnologie, dell'ultimo telefonino satellitare, del pc wireless. Ma più come utenti, clienti e consumatori che come scienziati e ricercatori. Questo può rappresentare una deriva culturale molto pericolosa per i nostri giovani. Ma questa volta nessuno potrà dire che la colpa è ancora una volta degli insegnanti".

Attualità


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL