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Espresso-Assediati in cattedra

Attualità SCUOLA / È SCOPPIATO IL PROFESSORE Assediati in cattedra Mal pagati. Frustrati. Sommersi di alunni. Senza strutture. Bersagliati dalle critiche gli insegnanti si difendon...

17/10/2003
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L'Espresso

Attualità SCUOLA / È SCOPPIATO IL PROFESSORE
Assediati in cattedra
Mal pagati. Frustrati. Sommersi di alunni. Senza strutture. Bersagliati dalle critiche gli insegnanti si difendono. E accusano la riforma e la Moratti
di Giuseppe Nicotri

La fortuna della scuola italiana è che di insegnanti buoni e motivati ce ne sono ancora. E sono ovunque, premette il professor Franco Massaia, da 16 anni preside del liceo classico D'Azeglio di Torino: "Insegnare in un liceo, specie di una grande città, è più facile. Quelli da ammirare davvero sono i colleghi delle cittadine, dei piccoli centri. Sono loro la spina dorsale del mondo scolastico italiano".

La sua collega Nadia Vandi è un pezzo di questa spina dorsale. Presiede l'Istituto Comprensivo, chiamato così perché comprende ben sette scuole, sparse nel Pesarese tra Gradara e Gabicce: due materne, tre elementari e due medie inferiori, per un totale di 798 alunni. "Tante belle promesse, ma fatti zero", riassume la preside, e spiega: "Riforme confuse e velleitarie hanno finito col distruggere i punti di riferimento, galleggiamo tutti in un brutto clima di incertezza generale". Le insegnanti Patrizia Nalesso e Adalgisa Giovenali, della scuola media Giacomo Matteotti di Maerne, nel Veneziano, sono più esplicite: "I professori? Abbandonati dallo Stato. E bastonati, specie quelli di sostegno come noi. Insegniamo da 30 anni, non siamo tipi che mollano, ma ormai viviamo sull'orlo di una crisi di nervi".

Se Nadia Vandi, preside di sette scuole, prende 2.100 euro al mese di stipendio dopo 18 anni di attività, tutti gli altri oscillano tra i circa mille euro di inizio carriera e i 1.500 dopo ben 35 anni di lavoro. Le 18 ore di attività didattica settimanale sono solo teoriche, in realtà per poter stare dietro a tutti gli impegni e preparare decentemente le lezioni ne servono almeno il doppio. Eppure il confronto delle buste paga dimostra che rispetto ai colleghi europei guadagnano poco più della metà. Non è un caso che tra gli insegnanti delle scuole italiane abbondino gli 'scoppiati' (come 'L'espresso' ha documentato con un'inchiesta sul n. 41), quelli che soffrono di gravi disagi psicologici nell'affrontare il mestiere o che addirittura devono ricorrere agli psicofarmaci per sopportare scolaresche, genitori e colleghi. Per indicare il loro malessere è stato coniato un termine apposito: sindrome da burnout.

Rocco Brigante, professore di informatica all'istituto tecnico Pentasuglia di Matera, è sconsolato: "Insegno da 11 anni, per andare a scuola mi faccio 60 chilometri all'andata e 60 al ritorno, ma sono ancora un precario. Non so se diventerò mai di ruolo, perché con le nuove norme qualunque neolaureato può superarmi in graduatoria con soli due anni di corsi post-universitari chiamati Siss". Donatella Lumiera, insegnante all'istituto tecnico Enrico Fermi di Vittoria, nel Ragusano, è lapidaria: "Il ministro Letizia Moratti un'aula di scuola pubblica non sa neppure cosa sia. Altrimenti non avremmo 29 studenti accatastati in spazi dove da aprile in poi si arrostisce".

Quelli che si difendono dallo stress con il tirare a campare sono stimati, dai loro stessi colleghi, tra il 20 e il 25 per cento dei 750 mila totali, pari più o meno a 180 mila travet della didattica. Ma gli altri, insistono i docenti, combattono con testardaggine e abnegazione. E, stando alle cifre, non sarebbero quattro gatti, ma quasi 600 mila.

"Combattere è la parola giusta. Anche perché le riforme hanno scatenato una vera e propria guerra tra poveri", spiegano Maria Miseo, insegnante di italiano e storia all'istituto professionale Musatti di Dolo, nell'entroterra veneziano, e Alberto Recla, professore di matematica e fisica all'Istituto d'arte della città lagunare. Recla con un pugno di colleghi ha progettato 'Metamatics', rivoluzionario portale per la didattica on line per l'intera scuola italiana, arenato sulle secche delle riforme inconcludenti. Ma cosa mette gli insegnanti gli uni contro gli altri? "Oltre alla normale attività quotidiana", spiega Miseo, "con la riforma gli insegnanti possono presentare al preside un progetto didattico aggiuntivo, sull'argomento che preferiscono. Se approvato, viene pagato a parte. Siamo inoltre distribuiti in varie Aree, da quella dell'orientamento a quella del coordinamento o dei servizi, nelle quali si può diventare Figura obiettivo, ma che spesso entrano in urto reciproco". Chiosa Recla: "Con un progetto si possono guadagnare 150-200 euro al mese in più. E se si diventa Figura obiettivo, che ora pare debba chiamarsi Figura strumentale, si possono portare a casa altri 1.500 euro l'anno. L'unica cosa certa è che i fondi sono troppo magri, ecco perché c'è guerra tra troppi professori". Il fondo scolastico, erogato dal ministero dell'Istruzione, per una scuola di grandi dimensioni raramente arriva ai 50 mila euro. Non tutti i presidi riescono a fare come Nadia Vandi, che tra Comune, sponsor vari e offerte private racimola quasi il doppio dei 15 mila euro stanziati dallo Stato per il funzionamento normale e dei 5 mila per l'insegnamento extra.

"L'insegnamento è un ripiego solo per lo Stato, certo non per i maestri e professori", assicura Marcella Sinatra, cattedra di matematica e scienze alla scuola media Confalonieri di Milano: "E le divisioni tra noi si possono evitare facilmente. Basta che i progetti aggiuntivi ce li realizziamo senza passare dal preside, cioè gratis, arricchendo comunque il più possibile le normali ore di lezione". Emilia Simonetti, che insegna discipline giuridiche ed economiche all'istituto tecnico Leonardo da Vinci di Potenza, punta il dito contro "il martello della televisione e della pubblicità, che vomitano superficialità spacciandola per comunicazione moderna", e contro "l'incudine dei genitori ormai incapaci di opporsi a questo andazzo". Convinta che i ragazzi non solo non sappiano più né leggere un libro, ma nemmeno pensare "in modo critico e articolato", Simonetti per cinque anni ha organizzato il Laboratorio dei sentimenti, dove una serie di operatori di comunità aiutavano i ragazzi a imparare a esprimersi. "La scuola in Italia vuole celebrare grandi nozze, sì, ma con i fichi secchi", conclude Simonetti: "Posso permettermi di fare ancora questo mestiere, il più bel mestiere del mondo, solo perché mio marito guadagna molto più di me".

Maria Plantone, professoressa di italiano della scuola media Sandro Pertini di Milano, la pensa come il preside torinese: "Ma le zone di frontiera sono anche nella nostra periferia. E se la baracca non crolla ancora è perché c'è chi tiene duro dappertutto. Ormai siamo al volontariato". Ne sanno qualcosa le sue colleghe Paola Grassi e Ludovica Mangiagalli, la prima impegnata al recupero dei ragazzi che hanno abbandonato gli studi, la seconda a facilitare l'inserimento di un numero crescente di giovani extracomunitari e con difficoltà diverse. "È l'emergenza permanente all'italiana", sospirano tutte e tre: "Ma cosa succederà quando saranno andate in pensione le insegnanti della nostra età, cresciute a base di solidarietà e spirito di sacrificio?".

ha collaborato Fiamma Tinelli

Se autonomia fa rima con utopia
di Fiamma Tinelli

Dopo l'intervista a Umberto Galimberti che sullo scorso numero de 'L'espresso' sottolineava le debolezze degli insegnanti, la parola va alla difesa. A nome di coloro che nella scuola pubblica ancora ci credono, Luigi Gennari, 64 anni, preside del Liceo scientifico Righi di Roma.

Preside, insegnare è davvero diventato così difficile?

"Il carico di lavoro è molto aumentato. Con la riforma dell'autonomia la scuola ha acquisito libertà, ma anche nuove responsabilità. Gli insegnanti devono aggiornarsi, seguire attività multidisciplinari, ma anche mantenere il ruolo didattico tradizionale. Non è facile".

Molti professori si lamentano che il rapporto con i genitori dei loro studenti è diventato più conflittuale. È vero?

"Non direi. I genitori che delegano l'educazione del figlio alla scuola per poi contestarla ci sono sempre stati. Così come i tanti che seguono il ragazzo da vicino e collaborano con gli insegnanti. Nel nostro liceo con i genitori c'è un ottimo rapporto di stima reciproca. No, quello che rende frustrante insegnare è altro".

Le mancate gratificazioni ai docenti?

"Ecco. L'assenza di meccanismi di gratificazione. Né soldi in più, né riconoscimenti, niente. Negli Stati Uniti e in Inghilterra i professori sono valutati per i titoli che acquisiscono, quelli in gamba vengono incentivati. Da noi si parla da anni di una commissione formata da ministero e sindacati che stenda un protocollo di valutazione degli insegnanti e ne valorizzi il lavoro. Fino a oggi non è successo niente. L'idea, prevista dall'ultimo contratto di lavoro, l'ha mantenuta anche il ministro Letizia Moratti: vedremo se la concretizzerà".

A proposito del ministro: se andasse con lei a bere un caffè, cosa le chiederebbe?

"Di realizzare sul serio l'autonomia: sulla carta ci viene chiesto di organizzarci, nei fatti anche solo per nominare i supplenti dipendiamo dall'amministrazione scolastica. Uno spreco di tempo e di energie. E al suo governo chiederei di investire più risorse nella scuola. Perché senza fondi non si migliora nulla".
Follia da tempo immobile
Un libro indica una causa del disagio: i docenti invecchiano, gli studenti no
di Stefania Rossini

È il tempo il peggior nemico dell'equilibrio mentale dei professori. Ma non si tratta del tempo lineare che sottrae a tutti energia, bellezza e qualche volta senno. Il tempo che può condurre i docenti alla follia è quello ciclico, che si ripete in modo identico in luoghi e in anni diversi. Come può non vacillare la mente di un uomo che vede se stesso ripercorrere all'infinito gli stessi rituali, mentre intorno a lui l'unica cosa che cambia sono i volti? Se lo chiese negli anni Novanta un gruppo di insegnanti romani di liceo appassionati della loro professione e inquieti sul loro destino. Ne uscì un libretto ironico e disperato che mantiene intatto il suo valore di denuncia. Si intitola 'Follia docente' e racconta un disagio senza proporre ricette. I conflitti che possono minare la solidità mentale di un insegnante sono diversi. Il docente fa infatti un lavoro di relazione, ma è un adulto solo senza scambio tra pari; ha un potere insindacabile sui ragazzi, che possono dargli momenti di onnipotenza, ma il suo prestigio sociale resta basso; deve affinare risorse culturali e affettive, ma nella pratica si riduce a comportamenti repressivi o lassisti. L'impatto più duro è però quello che gli autori riassumono in una frase lapidaria: "Gli studenti cambiano, gli insegnanti invecchiano". Di anno in anno, inchiodati alla propria cattedra, i professori assistono allo stesso evento: i vecchi studenti se ne vanno e ne compaiono di nuovi che conservano magicamente la stessa età. E mentre sui loro volti il tempo lascia segni indelebili, quelle facce sempre intatte diventano insopportabili. In una società che esalta solo la giovinezza, il divario generazionale si fa abissale e può provocare odio, malinconia e invidia. Per qualcuno, la follia.


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