E ora la riforma della scuola rischia di saltare
Da lunedì le votazioni in Commissione, ma dopo le modifiche il testo dovrà tornare di nuovo alla Camera.
Carlo Bertini
Allo stato «è solo un’opzione», conferma una fonte del «cerchio magico» renziano, ma già il fatto che se ne parli fa capire quanto alta sia l’incertezza: la riforma della scuola potrebbe addirittura essere rinviata di un anno se non si riuscissero a rispettare i tempi - fine giugno - che obbligano a correre per poter assumere i 100 mila precari che entreranno in servizio a settembre. Il fatto che quest’ipotesi venga fatta circolare dai renziani assume il valore di una minaccia nei confronti di chi vuole frenare, tradotto i pasdaran della minoranza Pd, come Corradino Mineo che chiedono di fare subito le assunzioni e di rinviare il resto a settembre. Posizioni che mettono a rischio il varo in Commissione Istruzione dove i numeri sono in bilico e la maggioranza corre sul filo di uno-due voti; e dove la trattativa su centinaia di emendamenti è in corso: dallo school bonus ai numeri dei precari da assumere, dai fondi alle paritarie alle valutazioni dei professori; ma soprattutto sui paletti per limitare il potere dei presidi manager: per questo si pensa di introdurre l’incarico a tempo per cui il dirigente scolastico dovrà cambiare scuola ogni sei anni. Le votazioni in commissione cominceranno solo lunedì 15 giugno, data entro la quale inizialmente doveva essere già varata la riforma in entrambi i rami del Parlamento, per poter avviare tutte le pratiche di assunzione degli insegnanti. Renzi nella Direzione Pd ha dato 15 giorni di tempo in più per discutere, «ma non è che devono essere usati tutti, altrimenti non ce la facciamo», spiegano i suoi uomini. Dunque, dal 15 giugno la commissione dovrebbe correre per poter trasferire all’aula del Senato la riforma a tamburo battente, in modo che sia varata la settimana dopo. A quel punto, visto che le modifiche al testo ci saranno, la riforma dovrà tornare di nuovo alla Camera. Prima in commissione e poi in aula, col rischio di Vietnam e ostruzionismo a oltranza delle opposizioni: si capisce quanto sia difficile riuscire a far tutto entro il 30 giugno. Data entro la quale la Giannini aveva avvertito che non si poteva rischiare di andare. In una riunione riservata di membri del governo ed esponenti del Pd nelle commissioni il ministro dell’Istruzione aveva infatti avvertito che «già il 15 giugno stiamo stretti, se superiamo il 30 gli uffici poi non ce la fanno». Ma su chi ricadrebbe la conseguenza di un rinvio, che a quel punto sarebbe non di qualche mese, bensì di un anno, visto che il premier lega indissolubilmente l’assunzione dei precari alla riforma della scuola? «Noi la riforma la facciamo per i ragazzi, assumiamo i docenti perché servono alle scuole», ha chiarito in Direzione l’altra sera. E quindi va da sé che la responsabilità di un rinvio di tutto il pacchetto ricadrebbe sulle spalle della sinistra che frena e di chi volesse alzare barricate nelle votazioni in aula. In sostanza questa «opzione» viene fatta trapelare anche per convincere tutti gli attori in campo a chiudere un accordo blindato. «Se c’è da discutere, facciamolo io sono disponibile dedicandoci qualche giorno in più, ma in tempi utili per poter determinare gli effetti della riforma a partire dal prossimo anno scolastico», è il senso dei ragionamenti del premier fatti in queste ore. Tradotto, attenzione che a tirar troppo la corda si rischia di far saltare tutto, chi lo facesse se ne assumerebbe la responsabilità.