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Elena Ugolini “Favoriremo l’ingresso in aula dei giovani prof”
Intervista
19/12/2011
La Stampa
FLAVIA AMABILE
ROMA
Elena Ugolini, sottosegretario all’Istruzione, che cosa può fare la scuola per dare una risposta ai giovani che cercano sé stessi?
«Il problema riguarda innanzitutto noi adulti che non possiamo dare quello che non abbiamo. I ragazzi chiedono sempre di essere aiutati “a trovare il loro posto nel mondo”, ma siamo presi da talmente tante cose che non ce ne accorgiamo, non lasciamo loro lo spazio per essere presenti davanti a noi con la loro unicità. Nessuna legge potrà mai rendere un docente capace di “aiutare un ragazzo ad essere sé stesso”, ma si possono sicuramente porre le condizioni perché la scuola sia un luogo dove questo desiderio è continuamente a tema tra insegnanti, genitori e dirigenti».
Come deve rispondere un professore a questa domanda?
«Non deve smettere di insegnare italiano, matematica, fisica o scienze per trasformarsi in uno psicologo. Anzi. Proprio attraverso il lavoro quotidiano che si dovrebbe fare leggendo un testo, imparando a scrivere, scoprendo una legge fisica, facendo un’esperienza in laboratorio che si può prendere sul serio le domande dei ragazzi fino al punto di aiutarli a “trovare la loro strada”. Il più bel telegramma di congratulazioni che ho ricevuto per la mia nomina è stato quello della mia docente di Filosofia al Liceo. “Con antica stima”, c’era scritto. Avevamo idee diverse ma era preparata e mi/ci stimava. I ragazzi sono il nostro specchio. Le loro debolezze sono le nostre incertezze. È sugli adulti che si deve lavorare».
E il ministero che cosa può fare?
«Aiutare i ragazzi a diventare grandi richiede energia, tanta pazienza e passione: il Ministero deve valorizzare i docenti, rimettere al centro delle riflessioni la loro professionalità, e sostenere il loro lavoro. Sono loro che possono fare la differenza nelle 1000 ore che i ragazzi passano in media a scuola ogni anno. Per fare scuola occorre andare a scuola, sempre. I docenti devono avere lo spazio per studiare, per riflettere insieme sul lavoro che fanno, per aggiornarsi. Anche i genitori devono fare la loro parte: il loro atteggiamento può aiutare i professori a ritrovare il senso del loro lavoro».
Insomma, bisogna fare formazione. Ma è anche vero che la sensibilità non si insegna. Non sarebbe più utile stabilire le caratteristiche che un insegnante dovrebbe avere e selezionare su questa base i futuri docenti?
«Le nuove modalità di formazione iniziale degli insegnanti segnano un passo in avanti importante. Ma è solo entrando in una classe o in un laboratorio che si può capire se l'insegnamento è la professione per cui si è “vocati”, ed il giudizio sul tirocinio avrà un peso fondamentale nell’esame finale. Questo provvedimento è ancora fermo e da quattro anni i giovani laureati che desiderano insegnare non hanno la possibilità di conseguire l’abilitazione. Se incrociamo questo dato con il fatto che l’ultimo concorso per i docenti risale al 1999 e che le graduatorie aperte da 11 anni sono diventate ad esaurimento, è chiaro che ci sono tutte le condizioni per cambiare. È giusto che le persone in graduatoria entrino, come previsto per legge, sul 50% dei posti disponibili, ma è anche giusto prevedere l’ingresso di nuove forze e ripensare alla modalità con la quale si reclutano gli insegnanti. È una delle richieste che ci ha fatto l’Europa».