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edscuola-Funzioni obiettivo: una storia "dentro" l'autonomia-di G.Cerini

Funzioni obiettivo: una storia "dentro" l'autonomia di Giancarlo Cerini Il contesto Dopo tre anni appena di attuazione dell'istituto contrattuale che prevede l'affidamento ad insegnanti ...

31/05/2002
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Edscuola

Funzioni obiettivo: una storia "dentro" l'autonomia

di Giancarlo Cerini

Il contesto

Dopo tre anni appena di attuazione dell'istituto contrattuale che prevede l'affidamento ad insegnanti individuati dal Collegio dei docenti di incarichi temporanei denominati "funzioni obiettivo strumentali al piano dell'offerta formativa" è necessario procedere ad una prima valutazione dell'esperienza, anche in previsione della sua conferma o del suo accantonamento nell'ambito dei nuovi accordi contrattuali per il quadriennio 2002-2005. Senza enfatizzare il "gergo" quasi incomprensibile utilizzato nel Contratto Nazionale di Lavoro del 1999 (vigente per il quadriennio 1998-2001) si tratta di una realtà organizzativa del tutto nuova, che ha coinvolto ogni anno scolastico oltre 40.000 docenti appartenenti alla quasi totalità delle istituzioni scolastiche del nostro paese. Basterebbero questi dati quantitativi per testimoniare la rilevanza di una innovazione che si collega strettamente allo sviluppo dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. Riflettere sul futuro delle "funzioni obiettivo" significa dunque interrogarsi sul futuro dell'autonomia, sul suo consolidarsi e radicarsi nella cultura organizzativa e professionale delle scuole.

Appare dunque ingiustificata la pregiudiziale valutazione negativa che dell'esperienza offre il Censis nel suo annuale Rapporto sullo stato di salute della scuola (2000), là ove si afferma che, poiché solo il 93 % delle istituzioni scolastiche si è avvalsa della possibilità offerta dal Contratto di Lavoro (attivando gli incarichi di "funzioni obiettivo") l'esperienza sarebbe da considerare fallimentare. Impressione per impressione, si potrebbe contrapporre a questa interpretazione la constatazione di una presenza oggi visibile di gruppi di insegnanti disponibili ad assumere nuove responsabilità, ad impegnarsi in nuovi rapporti con il territorio, a partecipare ad iniziative di ricerca e formazione in servizio (A.Cavalli, 2000). All'interno di questo gruppo trainante troviamo sempre più spesso i docenti incaricati di "funzioni obiettivo".

Ovviamente, ben più approfondite dovranno essere le analisi per poter rilevare il significato di questa esperienza che rappresenta, comunque, uno dei pochi tentativi di articolare e arricchire il modello organizzativo della scuola, per far fronte ai nuovi compiti richiesti dall'autonomia. Anche attraverso scelte di questo tipo si concretizza una diversa cultura dell'organizzazione scolastica, necessaria per assicurare un profilo migliore al sistema di istruzione e formazione.

Certo, le polemiche non sono mancate, anche in connessione con la tradizionale diffidenza dei docenti nei confronti di forme di riconoscimento differenziato della professionalità, come si è avuto modo di osservare con la caduta fragorosa dell'ipotesi di procedere ad una valutazione "qualitativa" delle prestazioni del personale docente (il cosiddetto "concorsone", anch'esso prevista dal medesimo Contratto Nazionale di Lavoro del 1999).

In uno dei siti telematici più accreditati del nostro paese (www.edscuola.it) è stato promosso un apposito sondaggio d'opinione per valutare l'impatto di questa innovazione nella percezione dei docenti: i risultati rivelano un orientamento nettamente polarizzato tra favorevoli e contrari.

Tab. 1 '#8211; Sondaggio "Educazione ' Scuola"

"Le funzioni obiettivo sono state in questi anni uno strumento '."

1. Indispensabile 11 %
2. Utile 38 %
3. Inutile 27 %
4. Controproducente 24 %

Fonte: www.edscuola.it/archivio/statistiche (maggio 2001)

Lo stress da incarico

Al di là delle polemiche immediate, è utile interrogarsi a fondo sul senso di questa innovazione, sulle motivazioni che ne stanno alla base, sulle potenzialità, ma anche sui limiti che sono stati rilevati. Ad esempio, la scelta di conferire incarichi aggiuntivi ai docenti impegnati ordinariamente nelle attività didattiche in classe determina certamente uno "stress" da incarico, per il difficile equilibrio tra assolvimento delle normali funzioni didattiche in classe e sviluppo di nuovi compiti organizzativi (a vantaggio di tutta la scuola). Anche il dato elevato di turn-over nell'assegnazione dell'incarico (con percentuali che oscillano intorno al 40 % annuale di rotazione negli incarichi) testimonia della difficoltà a conciliare i due diversi impegni, oltre che essere la spia di insoddisfazioni di varia natura.

La caratterizzazione di una funzione senza esonero totale dall'insegnamento è stata adottata proprio per evitare di separare lo svolgimento di funzioni di supporto organizzativo dal concreto impegno in aula, e quindi per non accentuare quel fenomeno di "fuga dalla didattica" che '#8211;nel quadro normativo odierno- sembra essere l'unica chiave interpretativa dello sviluppo professionale.

Va, infatti, ricordato che una possibile alternativa alle "funzioni obiettivo" (che è un ruolo temporaneo che si assume all'interno dell'istituto di appartenenza) è rappresentata dalla attivazione di "figure di sistema", cioè dall'assegnazione di compiti, più o meno permanenti ma ben distinti dalle ordinarie attività didattiche, da gestire all'interno della scuola od anche in altre strutture (es.: reti di scuole, laboratori o centri di risorse nel territorio) (F.Butera, 1999).

Gli insegnanti che attualmente svolgono incarichi di funzione obiettivo si esprimono nettamente a favore del principio della rotazione (oltre il 60 %) e quindi verso una certa intercambiabilità dei ruoli ('se esercitando queste funzioni di supporto intermedio si guadagnano nuove competenze utili anche per migliorare la propria pratica didattica, 'allora è opportuno offrire questa possibilità al maggior numero di colleghi). Tuttavia questa propensione non significa che la funzione debba essere necessariamente esercitata in contemporanea a quella di insegnante: il 90 % dei docenti "funzioni obiettivo" interpellati opta per l'ipotesi di un semi-esonero dal servizio, come condizione migliore per conciliare la doppia funzione di docente in classe e di figura di supporto alla scuola.

Insomma, il problema è ormai aperto (anche in vista della scadenza triennale del Contratto di Lavoro, che rappresenta la sede di rinegoziazione dell'intera questione) ed è utile raccogliere elementi di riflessione, utilizzando tutte le fonti messe a disposizione dalle iniziative di monitoraggio e di formazione, oltre che il vivace dibattito che è avvenuto nelle scuole e di cui c'è ampia traccia nelle liste di discussione, nei siti ufficiali e "informali" di cui è ormai ricca la rete.

Un'identità fragile

Le azioni di monitoraggio effettuate in sede di percorsi di formazione ci aiutano a ricostruire l'identità di queste nuove figure e mettono in evidenza un processo di affioramento e di consolidamento di competenze già disponibili nella scuola: la scelta degli incaricati ha privilegiato (almeno per la prima "generazione" di funzioni obiettivo) la conferma di insegnanti che già avevano partecipato con ruoli diversi allo sviluppo organizzativo della scuola, per consentirne l'ampliamento di funzioni (per la progettazione, la valutazione, l'orientamento, l'accoglienza).

In genere sono state valorizzate e recuperate le competenze pregresse in materia di progettazione (un'azione che qualificava la vita delle scuole assai da prima dell'apparire del "tormentone" del POF o del PEI e che il 75 % dei docenti incaricati di funzioni obiettivo ritiene di saper padroneggiare) e di comunicazione (legate alle tradizionali forme di vita professionale collegiale dei docenti, autodichiarate dal 55 % dei docenti incaricati), piuttosto che quelle relative all'area della documentazione (poco più del 30 %) e della valutazione (poco più del 10 %), aree di impegno che sono apparse più di recente nella scuola dell'autonomia.

In sostanza, il docente incaricato di funzioni obiettivo aveva "dimostrato" le sue competenze innanzi tutto nel campo della didattica (oltre il 55 % conferma questa percezione), magari illuminata da una particolare predisposizione all'utilizzo "progettuale" delle risorse messe a disposizione del territorio (il 45 % dei docenti incaricati considera questa capacità un punto di forza nello svolgimento del proprio incarico). Anche i "guadagni" che gli insegnanti dichiarano di aver realizzato nello svolgimento della funzione non si discostano molto dai punti di partenza: per la metà dei docenti interpellati si consolidano le competenze relative alla progettazione organizzativa anche nella versione di progettazione integrata; circa un terzo ritiene di aver acquisito nuove competenze in fatto di lavoro di gruppo, di tecniche di comunicazione, di valutazione e monitoraggio; restano relativamente marginali (attorno al 20 % degli interpellati) i guadagni in materia di documentazione e di progettazione curricolare. C'è però da ricordare, per quest'ultimo aspetto che il documento di orientamento (dicembre 1999) dell'apposito Osservatorio nazionale per la formazione (organismo bilaterale amministrazione-sindacati) sul profilo delle funzioni obiettivo aveva "sconsigliato" di impegnare tali nuove funzioni nell'ambito della ricerca sul curricolo. Su questa "querelle" occorre spendere qualche parola in più, in quanto si connette direttamente con l'interpretazione che si intende dare alle funzioni obiettivo, nel loro intrecciarsi con l'evoluzione dell'autonomia scolastica (D.Cristanini-M.Spinosi, 2000).

Autonomia e funzioni obiettivo

Esiste un evidente legame tra le vicende dell'autonomia e l'apparire sulla scena delle funzioni obiettivo, che rimanda all'esigenza di un chiarimento circa la natura stessa dell'autonomia, al suo attuale qualificarsi come un processo eminentemente giuridico-amministrativo, piuttosto che organizzativo o culturale o didattico.

La puntualizzazione non è di poco conto perché determina una diversa interpretazione del ruolo stesso delle "funzioni-obiettivo".

Una certa idea di autonomia

Sarebbe errato interpretare l'autonomia solo come un evento giuridico e normativo, sollecitato e voluto soprattutto dai soggetti esterni alla scuola (le istituzioni, il territorio, il mercato). L'autonomia della scuola deve contribuire a migliorare le opportunità di formazione disinteressata per tutti gli allievi; a maggior ragione, allora, occorre vederla come un processo di natura culturale e professionale, che riguarda da vicino ed in prima persona gli operatori scolastici, la loro possibilità di svolgere un lavoro "a regola d'arte" e socialmente riconosciuto (Mpi-Irre, Moniform, 2001).

L'autonomia può trasformarsi in un'occasione per liberare energie professionali nuove, illuminate però da una solida prospettiva culturale e pedagogica. Nel panorama affollato delle tante riforme di questi anni, l'autonomia è forse la riforma più riflessiva, la più idonea a sviluppare nella scuola una capacità di "pensiero" (pedagogico, progettuale, organizzativo); ma anch'essa ha corso il rischio di trasformarsi in un bricolage su aspetti marginali del progetto educativo della scuola (una sforbiciatina ai tempi scolastici, un'attività aggiuntiva, un laboratorio integrativo, ecc.). In questi anni di sperimentazione c'è stata l'esplosione dei "progetti": semplici, complessi, integrati, aperti, ecc. Una logica che ha preso tutti per la gola (se c'è il progetto, ci saranno anche i soldi') e che trova oggi addirittura una sanzione legale nel Decreto interministeriale n. 44 dell' 1-2-2001 (il nuovo Regolamento contabile e amministrativo della scuola): la vita amministrativa della scuola sarà tutta traguardata da "progetti". Ogni atto pedagogico, didattico, organizzativo dovrà tradursi in progetto, se vuole aspirare al suo budget.

Evidentemente, questa enfasi rischia di produrre una distorsione di valori ed ha già dato vita ad un curricolo parallelo: da un lato i progetti, spesso aggiuntivi e facoltativi, anche se ricchi di elementi innovativi; dall'altro, il "core curriculum", le discipline forti, gli aspetti fondanti della proposta formativa, che procede con i suoi ritmi tradizionali. Sono ancora pochi i Piani dell'Offerta Formativa che tentano di ricucire i due livelli del curricolo. Questa ricucitura "progettuale" dovrebbe essere presidiata proprio dalle funzioni obiettivo, per le quali proponiamo '#8211;dunque- un profilo culturalmente alto, immaginandole come una sorta di nervatura "pensante" della scuola dell'autonomia.

L'autonomia sembra '#8211;a volte- evocare l'affievolimento delle finalità disinteressate dell'istituzione scolastica rispetto alle domande assai più pressanti e contingenti del territorio, del mercato del lavoro, delle famiglie. Affermare che l'autonomia della scuola comporta una migliore "vicinanza" delle scuole alle comunità di appartenenza, sottolinea una forte domanda di identità, la ricerca di un legame comunitario, ma introduce anche il rischio di un prevalere di interessi "localistici" ed utilitaristici (G.De Rita-G.Bonomi, 1998).

La scuola dovrebbe, invece, qualificarsi come un "luogo istituzionalmente appartato", un po' defilato rispetto ai clamori del mondo, in cui procedere ad un severo e rigoroso vaglio critico dei tanti stimoli che i nostri ragazzi oggi ricevono da un universo multimediale ormai fuori controllo. Insomma la scuola non può essere troppo "client-oriented", non può inseguire tutti i saperi della contemporaneità, deve avere il coraggio di delimitare i suoi compiti, quasi essere orgogliosa della sua "splendida obsolescenza".

C'è una "lentezza" dell'educazione che non può competere con la velocità, l'efficienza, la spendibilità immediata (ma anche il consumo immediato) di tutto ciò che brilla nella società dell'"estasi della comunicazione". La scuola è il luogo di azioni ricorsive: in una relazione educativa le azioni, le parole, i gesti devono essere ripetuti parecchie volte. L'insegnamento non è un blitz veloce e vincente, confermato da riscontri tecnici e docimologici sempre più raffinati.

Invece, i Piani dell'offerta formativa hanno dato l'impressione di puntare a "convincere" utenti sempre più distratti, con "effetti speciali", quantità delle offerte, efficaci strategie comunicative (pagine web, fascicolo patinato, cd-rom allegato, ecc.). D'altra parte, la legge-salvadanaio (la legge 440/1997) che accompagna annualmente l'autonomia e la finanzia, sia pure in maniera ridotta, è intitolata programmaticamente all'"ampliamento e all'arricchimento" dell'offerta formativa: due concetti che sono agli antipodi di quella "sobrietà" di compiti formativi, di saperi e conoscenze fondamentali cui ci hanno richiamato in questi anni i "saggi" incaricati di esplorare i nuovi orizzonti culturali dell'educazione delle giovani generazioni.

L'autonomia di ricerca

L'autonomia non può avere come unico orizzonte la flessibilità, vista esclusivamente come manovra organizzativa su spazi, tempi, gruppi. Certo, l'autonomia è un'opportunità per organizzare al meglio i contesti dell'apprendimento, ma al fondo di tutto deve sempre rimanere il senso delle scelte educative, il gusto della ricerca, le domande sul valore dell'esperienza conoscitiva a scuola.

Dobbiamo dare ai ragazzi il senso dell'identità propria ed altrui, della memoria; aiutarli a de-banalizzare il "quotidiano", a scoprire il "senso" dei saperi, ricostruirli, vederli in una luce diversa per apprezzarli, per non consumarli troppo in fretta' Questo è ciò che chiamiamo formazione disinteressata, ma che forse è quella più utile anche per trovare un posto di lavoro: le professioni cambiano, le tecnologie evolvono, si entra e si esce da tanti lavori. Oggi c'è più intelligenza dentro il lavoro e serve una mente più "curiosa" per affrontare un problema, operare in un gruppo, portare a termine un compito con passione.

La scuola dovrebbe essere un ambiente molto stimolante per adulti e ragazzi che in essa abitano per tanti giorni all'anno; ma qui cominciano i problemi, perché servono numerose condizioni per costruire un buon "ambiente di vita, di relazione, di apprendimento"; molto dipende dalle persone, dalla loro capacità di ascoltarsi, di dialogare, di comunicare, di costruire un senso di appartenenza e di rispetto; un grande pedagogista come Bruner chiama tutto questo "arte della cortesia del dialogo".

Un buon ambiente di apprendimento richiede una organizzazione impeccabile di spazi, tempi, servizi, attrezzature, dotazioni strumentali, libri, ecc. E' però decisivo cosa i bambini trovano in quell'ambiente; ciò che fa la differenza tra una scuola e l'altra, tra una classe e l'altra, è la competenza degli adulti, la professionalità dei diversi soggetti, il clima umano, il sentirsi parte "intelligente" di un progetto condiviso.

L'autonomia, quando supera i rischi di una deriva organizzativistica, rappresenta un'opportunità per realizzare questo migliore ambiente di apprendimento, perché premia il protagonismo collegiale degli insegnanti, consente diritto di iniziativa, auspica "autonomia di pensiero" (G.Cerini-D.Cristanini, 2000).

L'articolazione delle professionalità

La scuola dell'autonomia richiede ai docenti un approccio professionale al loro lavoro e l'abbandono di un'ottica di routine. Questa maggiore libertà può consentire soluzioni assai originali nel campo dell'organizzazione didattica (periodi intensivi di impegno, struttura modulare dell'insegnamento, stage esterni per gli studenti, ecc.). La flessibilità è indispensabile per favorire la personalizzazione dei percorsi, per far fronte a domande sempre più individualizzate degli allievi, per avviare l'integrazione tra le diverse occasioni di formazione.

La trasformazione della scuola in senso autonomistico presenta alcune caratteristiche che influenzeranno sempre più la professionalità dei docenti:

la centralità del processo di insegnamento-apprendimento;

il passaggio da una prevalenza dell'aspetto trasmissivo a quello di mediazione culturale;
l'emergere di nuove responsabilità, funzioni, compiti (ad esempio, di tutoring);
il bisogno di conciliare l'autonomia culturale professionale del singolo insegnante con la collegialità e la cooperazione nel lavoro di team (A.M.Fasulo-L.Polizzi, 2001).
Per il docente della scuola dell'autonomia ben si adatta l'idea di "professionista in una istituzione" (o in un progetto), in cui si evidenzia la dimensione di una professione legata alla qualità della propria prestazione piuttosto che all'orario di servizio (che, tra l'altro, non riesce da solo a rappresentare la complessità dell'impegno dei docenti). Tutto ciò avviene, però, da parte di intellettuali e di professionisti che operano collegialmente nell'ambito di in un progetto educativo pubblico. Si va oltre il concetto di libertà di insegnamento, libertà di scelta, libertà metodologica, termini che pervadono abbondantemente l'impianto dell'art. 21 della Legge 59/97, per fondare l'identità e la progettualità collegiale di ogni istituto scolastico.

Per realizzare un progetto educativo condiviso, e quindi il senso dell'appartenenza ad una istituzione, con una comune assunzione di responsabilità, si richiede certamente una diversa cultura organizzativa nella scuola, che implica anche l'emergere di una articolazione interna di funzioni e di ruoli. E' in questo contesto partecipativo che nascono e si sviluppano le "funzioni obiettivo"; è in questa tensione tra soggettività e collegialità che viene a collocarsi l'identità, ma anche l'ambiguità, della nuova figura (né semplice insegnante, né totalmente altro).

La razionalità organizzativa

L'autonomia della scuola offre nuove possibilità agli insegnanti, ma è anche assai esigente: aumentano le responsabilità, si devono prendere decisioni su aspetti importanti della vita scolastica (l'organizzazione, il curricolo), si aprono nuovi rapporti con l'esterno, bisogna render conto dei risultati che si ottengono e (possibilmente) migliorarli. A tal fine, ogni istituzione deve acquisire una capacità organizzativa consapevole, interpretare una progettualità dinamica in interazione continua con l'ambiente esterno.

Tutto questo comporta l'esigenza di dotare la scuola delle competenze necessarie a gestire processi che vanno sempre più spesso oltre le pareti delle singole aule. Per farlo occorre valorizzare tutte le risorse professionali interne, chiedere ai docenti (almeno ad alcuni di essi, i più motivati) di ampliare il loro raggio d'azione, di occuparsi non solo dei problemi della propria classe ma, in qualche misura, di quelli dell'intera scuola.

Nasce da questa esigenza l'idea delle "funzioni obiettivo" o, comunque, di ruoli temporanei attribuiti ad alcuni operatori scolastici per presidiare e curare settori delicati e portanti del Piano dell'offerta formativa (POF).

Le aree di intervento non sono vincolanti, ma si riferiscono ad alcune funzioni indispensabili in ogni istituzione educativa:

ricerca educativa e formazione in servizio
progettualità educativa, didattica e metodologica
prevenzione del disagio, della dispersione e del disadattamento scolastico
documentazione dei processi organizzativi, educativi e didattici
comunicazione interna ed esterna alla scuola (genitori , Enti Locali, Associazioni )
controllo e monitoraggio del Piano dell'Offerta Formativa.
Al di là delle polemiche che hanno accompagnato la nascita delle funzioni obiettivo l'attivazione di figure di coordinamento costituisce un'importante strategia organizzativa, poiché la presenza di momenti di raccordo tra Collegio Docenti, Gruppi di lavoro e Commissioni in cui esso può articolarsi, contribuisce ad aumentare il livello interno della comunicazione, a controllare l'efficacia delle azioni progettuali e ad avviare forme di autovalutazione della scuola (M.Spinosi, 2001).

Forse è proprio questa la chiave del possibile "successo" delle funzioni obiettivo: non si tratta di inventare nuove gerarchie intermedie tra il dirigente scolastico e gli insegnanti, quanto piuttosto di mettersi in una posizione di "ascolto" e di "servizio" verso i colleghi, a sostegno delle imprese collegiali, dei gruppi di lavoro, facilitandone i compiti e stimolandone la produttività, con ricadute visibili sulle pratiche didattiche quotidiane.

Le funzioni obiettivo non sono i rappresentanti degli insegnanti (quasi una sorta di RSU della didattica !), né la "longa manus" del dirigente. In una organizzazione complessa come la scuola dell'autonomia, un funzionamento efficace si basa essenzialmente sul ruolo collaborativo di tutti gli operatori. Le decisioni, le responsabilità, la valutazione interna non sono compito esclusivo del dirigente o di pochi addetti. Risultano determinanti il coinvolgimento, la partecipazione, la motivazione, le competenze e la possibilità/capacità di decidere di tutti i membri dell'organizzazione. In questo senso si parla sempre più spesso di un "universo manageriale" piuttosto che del lavoro solitario del dirigente scolastico. Ed i collaboratori del dirigente non possono essere visti come i suoi "tentacoli", ma viceversa come l'emergere di una "leadership diffusa" nella scuola dell'autonomia, in grado di mobilitare tutte le risorse simboliche tipiche di una istituzione scolastica (l'identità, il clima, la cultura, le emozioni, ecc.).

Si è a lungo dibattuto se il ruolo del "nuovo" dirigente scolastico dovesse essere associato ad una preminente funzione "manageriale" (gestionale-organizzativa) o ad una necessaria "leadership educativa" (di orientamento culturale). Non è detto che le due prospettive possano essere interpretate e impersonate da una sola figura. I processi di influenzamento "reale" di un'organizzazione scolastica sono molto più complessi e raffinati e richiedono una lettura attenta della storia (stratificata) di un istituto, delle sue vicende, dell'autorevolezza dei soggetti che vi hanno agito, delle continuità e discontinuità, delle presenze/assenze.

Anche le funzioni obiettivo risentono di questa oscillazione di interpretazioni: si tratta del middle management, cioè dei quadri intermedi che collaborano con il dirigente scolastico nell'esercizio di funzioni prevalentemente organizzativo-gestionali o, piuttosto, sono figure espresse dal collegio dei docenti perché capaci di interpretare la "vision" della scuola, di raccogliere le energie professionali migliori e di proiettarle a vantaggio dello sviluppo dell'intera scuola (leadership diffusa) ?

Le "funzioni obiettivo" sono nate nell'ultimo contratto e potranno eventualmente "rivivere" all'interno del nuovo. Le prossime scelte contrattuali dovranno fare un po' più di luce sulla questione e riconoscere/sistematizzare le forme di diversificazione e arricchimento di professionalità che si sono manifestate in questi ultimi anni (A.Valentino, 2001).

Tra profili nazionali e scelte locali

Il vigente Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale della scuola (CCNL/1999), con l'introduzione delle "funzioni-obiettivo", cioè di ruoli temporanei all'interno dell'istituto, assegnati ad alcuni insegnanti designati dal Collegio dei docenti ha cominciato a porre il problema della cultura organizzativa della scuola autonoma.

Si può oggi ritenere che l'articolo 28 del CCNL/99 sia stato troppo rigido e pretenzioso nell'individuare a priori quattro aree funzionali alla migliore gestione del piano dell'offerta formativa, all'interno delle quali collocare le funzioni da assegnare a docenti disponibili e capaci. Anzi, la preventiva individuazione di settori potrebbe risultare contradditoria rispetto all'effettiva capacità di ogni scuola di individuare i temi strategici del proprio sviluppo. Ricordiamo però che l'indicazione contrattuale è puramente orientativa e che rimane salva la facoltà di ogni Collegio dei docenti di individuare specifici settori di intervento, ritagliando su di esse il profilo degli incarichi di funzione obiettivo (W.Moro, 2000).

Le analisi dei comportamenti tenuti dalle scuole dimostrano, tuttavia, una certa rispondenza delle indicazioni nazionali rispetto ai bisogni ipotizzati per il sostegno dell'incipiente autonomia. Rivediamo, allora, le funzioni di animazione/coordinamento attribuite a queste nuove figure. Esse riguardano:

Area 1: la promozione del Piano dell'offerta formativa, cioè il coordinamento dei diversi livelli di progettualità curricolare ed extracurricolare;
Area 2: il sostegno al lavoro dei docenti, cioè il coordinamento delle opportunità di sviluppo professionale del personale;
Area 3: gli interventi e i servizi per gli studenti, cioè il coordinamento del sistema dell'accoglienza e dell'orientamento;
Area 4: la realizzazione di progetti formativi d'intesa con Enti ed Istituzioni esterni alla scuola, cioè la promozione dei rapporti con i diversi soggetti del territorio.
Le tendenze ci dicono che l'assegnazione degli incarichi vede una lieve preferenza per le funzioni attinenti all'area 1 (circa il 27 % degli incaricati), per l'area 2 e per l'area 3 (con distribuzioni attestate sopra il 25 % ciascuna), con una netta flessione per l'area 4 (verso il 15 % degli incarichi attribuiti); per meno del 10 % dei casi l'individuazione dell'area non risponde ai criteri orientativi nazionali, ma ad una specifica scelta "locale".

Si può ipotizzare un atteggiamento "conservatore" delle scuole ? E' facile affermarlo, vanno però ricordati i notevoli condizionamenti che hanno caratterizzato l'avvio dell'esperienza: le contrattazioni "locali" per l'assegnazione delle figure delle scuole hanno favorito processi di convergenza su tipologie standardizzate di funzioni, così pure la strutturazione delle attività di formazione dei docenti incaricati (spesso ritagliati rigidamente sulle quattro aree), come i sistemi di verifica e di raccolta dei dati (ad opera dell'amministrazione). In generale, l'attività delle funzioni obiettivo è stata vista come consolidamento di azioni già in essere (circa il 65 % dei casi) e solo nel 30 % si può parlare di esplorazione e innovazione di nuove possibilità (più accentuata nell'area 2, piuttosto che nell'area 3).

Le "funzioni obiettivo" tra staff del capo e leadership "diffusa"

Il processo dell'autonomia, dunque, richiede l'emergere di più precise responsabilità del dirigente scolastico, dei suoi collaboratori, delle funzioni obiettivo designate dal Collegio dei docenti, di coordinatori e di referenti. Questo staff interno dovrebbe operare non tanto per la propria "promozione", ma con spirito di servizio, nella prospettiva di una valorizzazione di tutte le professionalità operanti nella scuola. Il nuovo equilibrio dei poteri e delle funzioni non è però scontato, anche per le incertezze dovute alla mancata riforma degli organi collegiali, dopo le innovazioni introdotte nella Pubblica Amministrazione a partire dagli anni '90 (improntate a criteri di decentramento, trasparenza, sussidiarietà, responsabilità, ecc.).

Ad esempio, il D.l.vo n. 59 del 6-3-1998 sulle funzioni dei dirigenti scolastici prevede che il Capo di Istituto, nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative ed amministrative, possa avvalersi di docenti da lui individuati (collaboratori), ai quali affidare specifici compiti gestionali ed organizzativi. In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato, il massimo organo consultivo del nostro ordinamento amministrativo. La sottolineatura è d'obbligo, per differenziare tali compiti da quelli più esplicitamente orientati al coordinamento didattico. Questi ultimi devono vedere un più diretto coinvolgimento e consenso della componente docente, nella sua dimensione strettamente professionale. Collaboratori e "funzioni obiettivo" sono quindi espressione di due istanze diverse. In particolare, le funzioni obiettivo rispondono al Collegio dei docenti e da questo organismo ricevono il loro mandato.

Questa potestà del Collegio si esplica soprattutto nella individuazione delle aree tematiche in cui sviluppare l'intervento (l'indicazione contenuta nel contratto nazionale di lavoro non è vincolante) e nel definire i requisiti e le caratteristiche di accesso alla funzione. Anche l'attribuzione degli incarichi fa capo al Collegio, ma non può essere la risultante di un anonimo meccanismo elettorale, che non consentirebbe di "sondare" la corrispondenza tra "qualità" del candidato e caratteristiche dell'intervento.

La realtà ci dice che il processo di scelta non è facile ed ancora più vago è il processo di delega. Va ricordato che, in base alla normativa vigente, la designazione dei docenti incaricati è di stretta competenza del Collegio dei docenti, che non necessariamente si avvale di un lavoro istruttorio da parte di un apposito gruppo di lavoro (questo avviene per il 30 % dei casi). I dati dei monitoraggi ci dicono che la scelta si gioca in primo luogo sulla dichiarazione di disponibilità degli insegnanti (quasi il 50 %); forte appare l'incidenza nel processo decisionale del dirigente scolastico (nel 20 % circa delle situazioni). Potrebbe essere considerata una ingerenza illegittima nelle prerogative del collegio: consideriamola una partecipazione legata alla fase istruttoria (di prima ricognizione delle disponibilità).

Il contratto formativo tra collegio dei docenti e insegnanti incaricati di funzioni obiettivo è assai fragile. L'affidamento sembra molto generico, quasi un "patto di fiducia" che si limita a riconoscere le caratteristiche dell'area (55 % dei casi), piuttosto che a definire con precisione i risultati attesi (solo il 30 %). Questa vaghezza finisce con il rendere assai aleatorie le procedure di valutazione finale dell'incarico.

Verso uno staff allargato

Il "puzzle" dei poteri interni all'istituto deve essere ricomposto con molta pazienza, con molto equilibrio e saggezza, tenendo conto che non tutte le tessere del mosaico sono definitivamente al loro posto. Abbiamo visto come dal 1° settembre 2000 (data di entrata in vigore del Regolamento per l'autonomia, Dpr 8-3-1979, n. 275) il dirigente possa già scegliere i propri collaboratori (a prescindere dal precedente meccanismo di elezione del Collegio dei docenti), mentre le funzioni-obiettivo '#8211;per la loro valenza tecnico-didattica- vengono designate dal Collegio dei docenti. Più incerta è la posizione del "vicario", per il quale è ormai urgente definire un profilo adeguato (una sorta di vice-dirigenza).

Tab. 2 - Le relazioni tra soggetti all'interno della scuola

La proposta di legge sugli organi collegiali (in attesa di essere esaminata dal Parlamento) prevede la possibilità per il Collegio dei docenti di articolarsi in momenti differenziati, ad esempio in dipartimenti disciplinari ai quali potrebbero essere preposti dei coordinatori (come referenti interni delle articolazioni tecnico-professionali). In sintesi, l'organigramma che ne potrebbe scaturire è assai variegato, ma con una sua logica interna: le figure ad alto tasso "didattico" dovranno trovare la loro legittimazione e rispondere al proprio gruppo professionale (il collegio dei docenti); le figure responsabili di aspetti gestionali-organizzativi dovranno godere della fiducia esplicita e quindi della delega del dirigente. In tal senso si esprime la normativa transitoria che deve conciliare due principi antitetici come quelli contenuti nel decreto delegato 416/1974 (il collegio elegge i collaboratori) e nel successivo decreto legislativo 58/1998 (il dirigente scolastico designa i collaboratori). Le "funzioni obiettivo" si riferiscono alla prima tipologia, anche se non dovrebbero essere scelte con una generica procedura elettorale, ma a seguito di una valutazione comparata delle competenze in possesso dei candidati disponibili.

Dai monitoraggi effettuati emerge il bisogno dei docenti incaricati di essere "riconosciuti" e "legittimati" dal dirigente scolastico. Gli insegnanti intervistati affermano che nel 55 % dei casi il dirigente ha conferito una delega "sostanziale", quindi con individuazione di precisi ambiti di responsabilità; il rimanente 45 % si percepisce come destinatario di una delega di tipo "formale". Va ancora ricordato che la delega di funzioni è attribuita dal Collegio dei docenti (al quale va anche rendicontata l'attività svolta); il dirigente scolastico potrà agire in qualità di presidente del collegio dei docenti, assumendosi in questa veste la responsabilità anche "formale" dell'attuazione delle sue deliberazioni. Una delega "formale" potrebbe così essere la spia non del disinteresse verso queste figure, ma del rispetto sostanziale delle prerogative del collegio dei docenti; così come una delega "sostanziale" potrebbe ricondurre la tipologia organizzativa delle funzioni obiettivo alla categoria troppo ristretta dello "staffing", cioè della squadra del "capo".

Abbiamo già osservato che questa interpretazione non è corretta, perché lo staff '#8211;in senso stretto- andrebbe riferita solo alle figure dei collaboratori scelti dal dirigente. Di fatto gli insegnanti incaricati di funzione obiettivo riescono a lavorare in team, facendo "gioco di squadra" (infatti, nel 60 % dei casi sono programmati incontri periodici tra i docenti incaricati). Nella stessa percentuale avvengono incontri sistematici tra funzioni obiettivo e dirigente scolastico (anche se con un tasso elevato di informalità) e con altre figure intermedie (collaboratori, vicari, ecc.). La trama dei rapporti interni si infittisce: nel 75 % dei casi si può parlare di una pratica di team stabilizzata. Gli stessi studiosi di modelli organizzativi mettono in evidenza che le categorie del middle management (chi opera come quadro intermedio) e della leadership diffusa (chi fa opinione nell'organizzazione) tendono ad avvicinarsi e a sovrapporsi: non è dato un management efficace senza una capacità di trascinamento e di influenzamento; non è data una leadership produttiva senza strumenti di carattere operativo e progettuale. In questa prospettiva, il "meglio della leadership è un'avventura condivisa intrapresa da molti".

"Lo staff si configura come una unità funzionale all'organizzazione che opera come centro di consulenza, di servizio, di assistenza a chi ha potere di coordinamento, di indirizzo e di controllo delle decisioni. Non si deve comunque ritenere che esso sia solo un organo al servizio del dirigente scolastico. Piuttosto si configura come risorsa essenziale per realizzare una partecipazione efficace, per esercitare la leadership diffusa, per valorizzare tutte le risorse umane dell'organizzazione, per condividere ed elaborare il progetto dell'istituto" (MPI-Direlem, Valorizzare i protagonisti, 1997).

Una funzione obiettivo che voglia evitare il doppio rischio di una delega totale (che significa solitudine e impossibilità a svolgere una qualche forma di coordinamento) o di una sovraesposizione di impegni (che porta ad analoghi risultati) dovrà agire nella prospettiva di favorire il formarsi di team di lavoro, ben inseriti nella storia dell'istituto, ed in cui l'esplicazione di funzioni di coordinamento sia vissuto come concreto aiuto al lavoro di gruppo e non come indesiderato ripristino di gerarchie (P.Appari, 2000).

Ci si può così concentrare su alcune funzioni indispensabili ad un migliore sviluppo dell'autonomia scolastica. Le finalita' di una articolazione organizzativa interna possono essere riferite a:

Una maggiore circolazione dell'informazione all'interno della scuola (funzionale ad un processo decisionale più consapevole e condiviso ) e all'esterno della scuola , con l'utenza e con gli Enti territoriali di riferimento;
Una maggiore razionalità e migliore utilizzo delle risorse interne per la qualificazione del sistema scolastico, in vista di un senso più unitario da conferire ai molteplici progetti che oggi "invadono" ogni scuola;
Il miglioramento della documentazione con l'obiettivo di una maggiore trasferibilità e rendicontabilità delle azioni intraprese, anche mediante un più sicuro utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Dall'azione dello "staff allargato" ci si possono attendere alcuni risultati minimi, quali:

Maggiore livello di coordinamento interno
Attivazione di un livello intermedio di consulenza e gestione
Funzionamento più efficace dei meccanismi decisionali
Maggiore controllo di efficacia delle azioni intraprese
Le figure di raccordo, pertanto, coordinano le attività previste nel piano dell'offerta formativa che sono a loro affidate, e per le quali agiscono su delega del Collegio dei docenti e con specifici compiti e responsabilità, attivando rapporti, consulenza e relazioni con i singoli e i gruppi, ma funzionano come STAFF ALLARGATO nel momenti in cui è necessario che tutte le attività convergano nella realizzazione del Progetto di scuola, in relazione alle diverse fasi in cui si può articolare l'azione organizzativa.

Come si dovrebbero formare e come sono state formate?

La messa a fuoco dell'identità delle "funzioni obiettivo" ha ricevuto un forte impulso dall'ampio programma di formazione realizzato nel triennio 2000-2002 per gli insegnanti neo-incaricati: forse un'offerta troppo scarna, ma assai diffusa e distribuita in ogni territorio. Al di là delle valutazioni che si possono esprimere sulla validità delle esperienze di formazione effettuate, c'è da osservare che il programma di formazione per le "funzioni obiettivo" '#8211;svolto nel triennio 2000-2002- ha dato luogo ad una ampia gamma di situazioni di ricerca, di confronto, di approfondimento ed ha visto lo sviluppo di nuove opportunità, come ad esempio:

l'attivazione di un sito web presso la BDP '#8211;ora INDIRE- particolarmente frequentato;
l'individuazione di responsabili locali, cui affidare la progettazione dei piani formativi;
lo sviluppo di aree interattive "forum-web" a livello provinciale (e quindi regionali) con l'assistenza di tutor di rete;
l'affidamento di moduli formativi ad agenzie, enti, associazioni;
la ricerca di forme di certificazione e attestazione delle conoscenze acquisite.
Non dobbiamo nasconderci le insoddisfazioni verso le azioni di formazione che si sono manifestate tra i partecipanti ai corsi, ma oltre ai ritardi nell'avvio delle iniziative (dovute in buona parte alle tradizionali pastoie negoziali amministrazione-sindacati e alle incertezze con cui ha operato l'amministrazione di fronte ad un evento così innovativo), andrebbe messa in conto l'interpretazione da attribuire a questa forma di aggiornamento obbligatorio (così è stato voluto dal Contratto). Piuttosto che corsi che abilitano a svolgere una funzione diversa dall'insegnamento (questa era l'aspettativa prevalente dei docenti incaricati di "funzioni obiettivo") avrebbero dovuto essere vissute essenzialmente come azioni di accoglienza, di accompagnamento, di consulenza in itinere. Si trattava di fornire un aiuto ai docenti "funzioni obiettivo" ad orientarsi tra le risorse culturali della scuola e del territorio, a favorire legami tra istituzioni, a costruire comunità professionali, anche con l'utilizzo delle reti telematiche. Una funzione nuova per la quale non tutte le strutture dell'amministrazione si sono dimostrate sensibili. L'impegno è stato comunque ampio ed i riscontri sull'intera esperienza assai positivi, ivi compresa la "forzatura" compiuta nel richiedere ai docenti l'accesso a nuove forme di comunicazione e apprendimento (in rete).

In particolare va segnalata l'ampia messe di dati informativi messi a disposizione dall'analisi degli scambi verbali avvenuti nei forum di discussione (M.Radiciotti, 2001) e la sintesi dei quesiti e delle FAQ che sono stati ospitati sul sito della BDP-INDIRE.

La domanda di formazione oscilla tra la ricerca di una specializzazione legata alla singola area funzionale e l'esigenza di padroneggiare alcune competenze di carattere trasversale, comuni alle diverse figure, e indispensabili per non trasformare gli incaricati di funzioni obiettivo in "profeti disarmati". Il profilo culturale deve rimanere elevato (connesso all'autonomia di ricerca), ma coniugarsi con una lettura dinamica delle procedure organizzative e gestionali.

In questi anni si è assistito dunque ad una evoluzione del modello formativo, superando l'ansia dovuta alla necessità di profilare la funzione area per area (questa ansia la si legge molto bene nei documenti di emanazione dell'amministrazione e dei sindacati) e costruendo invece opportunità di approfondimento sulle regole dell'azione organizzativa. I moduli formativi sono via via usciti dalle "nicchie di area" ed hanno riguardato nuclei tematici trasversali, quali:

PROBLEMATIZZAZIONE / PROGETTAZIONE

percezione dei problemi educativi / didattici/ organizzativi dell'istituto
ricognizione degli elementi problematici e loro definizione
azione di ricerca finalizzata alla possibile soluzione della situazione problematica
ipotesi di soluzione
eventuale piano di formazione che si ritiene necessario alla soluzione del problema
PIANIFICAZIONE educativa , didattica , organizzativa

individuazione degli obiettivi da perseguire
indicazione del risultato atteso
scelta di percorsi e strategie ottimali
individuazione delle risorse disponibili
CONTROLLO

analisi dei processi attivati
analisi dei risultati conseguiti
valutazione degli interventi effettuati
indicazione di coerenza ed efficacia dell'intervento programmato
DOCUMENTAZIONE

formalizzazione del processo
documentazione dei percorsi e delle scelte adottate
descrizione dei risultati ottenuti
modalità di comunicazione degli esiti dell'intervento
costruzione di un archivio progettuale e didattico
(da una scheda di lavoro di V. Monducci in D.Cristanini-M.Spinosi, 2001)

Le prospettive di sviluppo

Le azioni di formazione e di monitoraggio contribuiscono a delineare con più sicurezza le competenze che oggi vengono richieste a coloro che intendono svolgere funzioni che, in senso lato, potremmo definire di leadership educativa all'interno della scuola. Si tratta di "expertise" che privilegiano aspetti largamente trasversali e comuni a più profili professionali e che attengono a stili di relazione e di gestione piuttosto che a specifici contenuti o abilità particolari.

Trascinare Riflettere Gestire

Sensibilità interpersonale
Attenzione ai bisogni dell'utente
Interesse a migliorare
Influenza alla cooperazione
Impegno ad apprendere
Monitoraggio
Consapevolezza organizzativa
Autocontrollo
Spirito d'iniziativa
Capacità di costruire relazioni interpersonali
Fiducia in sé
Ricerca di informazioni
Sostiene lo sviluppo degli altri
Flessibilità
Autorevolezza
Leadership di gruppo
Lavoro di gruppo
Pensiero concettuale
Pensiero analitico
Impegno per l'organizzazione

Leadership Professionalismo Managerialismo
Fonte: R.Serpieri, La costruzione sociale della leadership in L.Benadusi-R.Serpieri, 2000.

Esiste dunque una dimensione gestionale-organizzativa delle competenze dei docenti incaricati di funzioni obiettivo, ma esse fanno riferimento a stili di intervento che privilegiano la capacità di strutturare un lavoro efficace, attraverso l'informazione, l'intraprendenza cognitiva, l'autorevolezza degli apporti. Insomma, il semplice "gestire" si sposta verso il "trascinare" cioè verso l'esplicazione di funzioni politico-simboliche, che implicano la capacità di costruire senso di condivisione verso i progetti dell'istituzione, di orientare in senso positivo le energie degli altri, cioè l'attitudine a sostenere lo sviluppo dei membri del gruppo. La riflessività (e quindi la capacità di autoanalisi e di autocontrollo nei rapporti con gli altri) appare quindi come la cifra interpretativa principe delle competenze del docente membro di staff.

A questo punto anche i modelli formativi dovrebbero essere approfonditi e rivisti. Non è sufficiente interpretare lo sviluppo professionale delle figure di sistema in termini di semplice cultura dell'organizzazione, né riferirsi ai tradizionali canoni dell'approfondimento di contenuti disciplinari, né intraprendere la scorciatoia dell'attenzione esclusiva alle dinamiche relazionali ed affettive: il modello più efficace sembra piuttosto essere l'approccio clinico-pedagogico, cioè la capacità di analizzare le dinamiche professionali all'interno di uno specifico contesto operativo come è la vita della classe e della scuola; ritornare sulla propria esperienza quotidiana, sulle sue fatiche, sulle delusioni e le soddisfazioni con la capacità di coglierne il "significato" profondo, di vederne gli impliciti, le dinamiche sottese, per farne oggetto di una solare interpretazione "pedagogica" (R.Massa, 2000).

E' impensabile che questo insieme di "expertise" possa essere offerto unicamente dal sistema universitario, come sembra emergere dalle proposte della Commissione Bertagna, poi rifluite nel disegno di legge delega in discussione al Parlamento (aprile 2002), che affida ai percorsi di specializzazione presso l'Università l'acquisizione di titoli spendibili per l'accesso a funzioni intermedie nell'organizzazione scolastica. Sarebbe contraddittorio che l'arricchimento della professionalità docente, vista come capacità di riflettere sulle proprie pratiche con strumenti concettuali sempre più approfonditi, fosse collocata all'esterno del contesto operativo in cui si esplica la professione.

Altro discorso è auspicare, anche partendo dalle esigenze di formazione, un rapporto più intenso (ma in entrambe le direzioni) tra sistema scolastico e sistema universitario. In caso contrario, verrebbe meno anche buona parte del senso che si può attribuire alla vicenda delle funzioni obiettivo, cioè un segno del dinamismo culturale nell'organizzazione scolastica e un'opportunità di crescita professionale per i suoi operatori, per fare in modo che la scuola torni ad essere un ambiente culturalmente stimolante per i ragazzi e gli adulti, "luogo di vita e di apprendimento per docenti e studenti", ove la professione docente potrà "tornare ad essere culturalmente e socialmente desiderabile, grazie anche a nuovi profili di carriera ed adeguati riconoscimenti economici".


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