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Ecco Pape, Priya e Stephen i ragazzi che ce l’hanno fatta

Dallo sbarco a una nuova vita: è la parabola di molti immigrati che non si arrendono

09/10/2013
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la Repubblica

VLADIMIRO POLCHI Pape Alassane, Priya Mary, Stephen, Tamas Laszlo. Sono tanti gli eroi dell’immigrazione. Un caleidoscopio di facce e storie che parlano di sbarchi, centri d’accoglienza, precariato e poi l’approdo: un posto di lavoro, un titolo di studio, una nuova vita. Sì, perché spesso chi lascia la casa e rischia la vita in un lungo viaggio è la “meglio gioventù” del Paese d’origine. È la stessa parabola di Cécile Kyenge, prima ministra “nera” della Repubblica, a raccontare molto della nuova Italia multietnica: la sua storia parte da Kambove, nella provincia congolese del Katanga, passa per un periodo da precaria, un impiego da badante, la professione di medico oculista e arriva a Roma in Largo Chigi 19, sede del ministero dell’Integrazione. Ma molti altri, come lei, possono dire: «Ce l’ho fatta». Priya Mary Angshalah Gnanaseeelan, per esempio. Priya è una bella ragazza di origine tamil e detiene un record: è stata la prima donna laureata della sua comunità in Sicilia. Il suo sogno si è realizzato il 10 novembre del 2011: una laurea a Palermo, 110 e lode, in tecniche di radiologia medica per immagini e radioterapia. Una titolo che vale doppio, visto che Priya ha sempre lavorato durante gli studi. Oggi vive a Londra, si è sposata, ha un bambino e continua a studiare. Ha scelto il ramo medico, dice, per aiutare i suoi connazionali. Priya deve ringraziare qualcuno: i suoi due fratelli che vivono in Germania: «I miei genitori hanno problemi di salute e non lavorano. Se non ci fossero stati i miei fratelli, non avrei potuto mantenermi. Questa laurea è stata sentita da tutta la comunità: il giorno della proclamazione erano tanti, parenti e amici, intorno a me». Ci sono poi gli “invisibili”, quelli arrivati da irregolari e poi usciti alla luce del sole. Pape Alassane Fall è uno di loro. Classe 1975, si è lasciato alle spalle il Senegal ed è arrivato in Italia nel maggio del ’99, senza visto, né permesso. Per tre anni è stato irregolare: «Lavoravo come ambulante in Sardegna. Vendevo calzini e occhiali». Poi l’incontro: Pape Alassane si innamora di una ragazza sarda e la sposa. Con le nozze arrivano anche i documenti e una vita da regolare. «In Sardegna però non c’era lavoro – ricorda – e per questo sono venuto in Veneto, dove viveva mio fratello minore. Qui mi sono messo a lavorare in una fabbrica che costruiva passerelle per yacht. Ma i turni erano pesanti e il mio sogno restava quello di usare la mia laurea in informatica». Così Pape mette da parte qualche soldo, si licenzia e, nel 2007, apre la sua agenzia. Oggi lavora come grafico, ha molti clienti, vive a Mirano in provincia di Venezia e ha due bambine. «Ho avuto qualche difficoltà all’inizio – ammette – perché un senegalese che parla di tecnologia suona strano alle orecchie degli italiani. Poi le cose sono andate meglio». Sarà anche perché oggi a sentirlo parlare, Pape sembra più un veneto, che un africano. Stephen invece è stato addirittura un bambino-soldato. A sei anni le forze governative liberiane hanno ucciso i suoi genitori. Da allora viene addestrato a impugnare le armi e a diventare un guerriero. Uccide, violenta, ruba. Nel 2009, quando in Liberia cambia il regime, riesce a fuggire: un lungo viaggio a piedi attraverso il deserto che lo porta fino in Libia. Qui si imbarca per Lampedusa. Peccato che la sua richiesta d’asilo venga bocciata dalle autorità italiane. Per Stephen non rimane che la clandestinità. Poi finalmente approda all’ambulatorio per migranti del policlinico di Palermo. Stephen ha un grave disagio psicologico, non dorme e ha flashback continui delle violenze vissute. Dopo una lunga terapia e con l’aiuto del teatro Stephen si libera del passato. A 19 anni è il protagonista di uno spettacolo in giro per i teatri di mezza Italia: lavora per la compagnia “Exstranieri” del regista palermitano Giuseppe La Licata. Si guadagna da vivere e ha ottenuto il permesso di soggiorno. Non mancano poi rovesciamenti degli stereotipi: perché se gli stranieri tolgono lavoro, talvolta lo danno anche. Stando a una ricerca Cnel del novembre 2011, la media è alta: un assunto italiano ogni due imprese di immigrati attive. Un esempio? Tamas- Laszlo Simon, ungherese, nato a Marosvasarhely 45 anni fa, è arrivato in Italia rischiando la vita: ha attraversato a nuoto il Danubio al confine con la ex Yugoslavia nel 1985. Con l’idea di fare qualcosa di buono per il mondo dove vivranno le sue due figlie, nel 2008 fonda a Roma “Eadessopedala”: il corriere in bici ecologico. La scintilla gli è scattata quando ha letto la storia di due fratelli di Budapest, che avevano avviato un servizio di pony express in bici. E così ha pensato di poter ripetere il “miracolo” anche nella città eterna. Oggi Tamas- Laszlo ha vinto il “Money-Gram Award 2013” nella categoria innovazione, impiega 12 persone, tutte italiane (spesso laureate) e per il 2013 stima un giro di affari di circa 100mila euro. Il suo scopo? Ambizioso: fare circolare 50.000 automobili in meno quotidianamente sulle strade di Roma.


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