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«È tutto nelle mani dei vertici L’innovazione? Si fa con i tagli»

«È come tenerci sotto scacco: se non accettate tutte le nostre condizioni, allora non assumiamo i precari. Ma non possiamo dire sempre sì».

05/05/2015
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Corriere della sera

ROMA «È come tenerci sotto scacco: se non accettate tutte le nostre condizioni, allora non assumiamo i precari. Ma non possiamo dire sempre sì». È agguerrita come e più degli altri, Federica D’Alessandro, 41 anni, insegnante in una scuola media di Roma. Anche se lei ormai è di ruolo.
Per quanti anni è stata precaria?
«Sei. Questo è il mio primo anno con un contratto a tempo indeterminato. Per ora sono insegnante di sostegno, ma da settembre avrò anche una cattedra per le materie che insegno, lettere. Quindi so cosa significa patire l’instabilità, girare per scuole diverse, lasciare i progetti appena iniziati, i frutti appena visti nascere. È anche per questo che sciopero».
Ma il ddl della Buona scuola assumerà migliaia di precari...
«Certo, offrendo loro una vita non molto diversa però. Con l’organico funzionale e le reti di scuole il rischio enorme che corrono molti colleghi è di ritrovarsi a girare come trottole da una scuola all’altra, senza poter offrire quella continuità didattica — e affettiva — che è la chiave di volta del nostro lavoro. E poi non bisognava collegare la riforma alle stabilizzazioni, le due cose andavano fatte in due momenti diversi, altrimenti suona come un ricatto».
Qual è l’aspetto della riforma che le piace di meno?
«Lo strapotere dei dirigenti scolastici: che avranno possibilità di assumere il personale, di scegliere i docenti che gli stanno più simpatici, di decidere in maniera quasi del tutto autonoma se richiamarli dopo tre anni oppure no. Così magari un preside preferirà solo uomini perché le donne rischiano di andare in maternità, e un altro solo giovani perché i professori più grandi possono essere meno flessibili. C’è il rischio che più che il curriculum si guardino le amicizie, le conoscenze, l’età, il sesso».
Ma è giusto che anche un professore sia valutato?
«La valutazione è giusta, ma deve essere oggettiva. Non è bravo un prof che obbedisce a testa bassa al dirigente».
Qualcosa di positivo c’è in questa riforma? Ad esempio il potenziamento di tante materie tagliate negli anni?
«Certo, dovrebbero farlo di più: penso al latino ridotto al liceo. Ma non si potenzia senza investire. Siamo alle solite: tutto si poggia sul volontariato dei docenti, spremuti a svolgere più compiti per far fronte alle esigenze e mai ricompensati. Si deve tornare a investire seriamente. Se non c’è carta per le fotocopie, se i fondi vengono dati alle private, si snatura il valore pubblico della scuola».
Sta dicendo che la riforma punta a far diventare la scuola un’azienda privata?
«Sì, esattamente: è quello che diciamo nella petizione inviata a Mattarella, che ha raggiunto 100 mila firme. Noi vogliamo una scuola democratica, che funzioni per tutti, continui a includere chi sta indietro, come i ragazzi disabili che ho seguito in questi anni e che ho dovuto lasciare quando mi terminava il contratto, che valorizzi tutti i professori».
Il bonus professori va in questa direzione, no?
«Un contentino: i soldi non mi sembrano così tanti rispetto a quello di cui davvero avremmo bisogno per aggiornarci».
Il sottosegretario Faraone dice: «Va bene protestare, ma basta bugie».
«Noi non diciamo bugie: semmai le dice chi sostiene di ascoltare chi vive la scuola ma non lo fa affatto e anzi allontana chi dissente».
Però deve ammetterlo: ogni volta che c’è una riforma della scuola c’è sempre il fronte del no, lo sciopero: perché?
«Perché le riforme non sembrano tarate sull’interesse della scuola e del suo migliore funzionamento, ma solo, come ricordo io, da Gelmini in poi, sull’idea di tagliare e risparmiare sulla scuola».
Valentina Santarpia
@ValentinaSant18
 


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