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È rivolta contro la “pesa” dei voti di laurea in base all’ateneo: frenata pure dalla Camera

Tranne Studicentro, tutti gli interventi contrari alla norma che, con la riforma della PA, vorrebbe far valutare, per l'accesso ai concorsi pubblici, non solo il voto finale ma pure l’università frequentata. Dal Miur prendono le distanze: serve una riflessione più generale. Anche per Marco Meloni (Pd), promotore dell’emendamento, bisogna definire meglio il criterio di delega e le intenzioni del governo.

04/07/2015
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La Tecnica della Scuola

Alessandro Giuliani

È proprio il caso di dire che ha creato un “vespaio” l'emendamento, approvato alla Camera, al ddl di riforma della pubblica amministrazione (a firma del deputato del Pd Marco Meloni) che prevede la possibilità di valutare, per l'accesso ai concorsi pubblici, non solo il voto di laurea, ma anche l'ateneo di provenienza.

Sette studenti su dieci, a seguito di un'indagine di Skuola.net su un campione di circa 500 allievi, si sono detti assolutamente contrari a dare tutta questa importanza all'ateneo di provenienza e di questi più di 1 su 2 crede che una decisione del genere non faccia altro che aumentare le disparità tra gli studenti.

"Questa norma classista - ha commentato Alberto Campailla, portavoce di Link Coordinamento Universitario - rappresenta un ulteriore attacco agli studenti e a quegli atenei, soprattutto del sud, già oggi fortemente penalizzati per via delle scarsissime risorse che ricevono dal Fondo di Finanziamento Ordinario".

Per l'Unione degli universitari "si tratta, di fatto, di un forte indebolimento del valore legale del titolo di studio, che si sta facendo passare in sordina, con un vero e proprio colpo di mano".

"Se questa norma diventa definitiva - dichiara Marcello Pacifico, presidente dell'Anief - si violenteranno diversi principi costituzionalmente protetti, come la parità di accesso al pubblico impiego, il principio di uguaglianza e di ragionevolezza. Con il risultato che le università italiane, già in crisi di iscrizioni, diventeranno terreno per soli ricchi".

Anche per Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil, se passerà la norma "diminuiranno ulteriormente le iscrizioni, soprattutto nel sud anche per l'assenza di una seria legge sul diritto allo studio. Siamo di fronte all'ennesima scelta classista del Governo a scapito dei figli delle persone che con grandi sacrifici mandano i propri figli alle università".

Pollice verso anche da rettori: il presidente della Crui, Stefano Paleari, già ieri ha espresso la sua posizione - "se esiste il valore legale del titolo di studio la laurea deve pesare allo stesso modo. Oppure hanno pensato di intervenire abolendo il valore legale del titolo di studio?".

Il rettore di Roma Tre, Mario Panizza, è stato altrettanto esplicito: "Propongono la brutta copia del modello americano. Considero una boutade la media del voto dei singoli atenei come indice di serietà".

Solo Studicentro ha mostrato interesse per la proposta, perchè "spesso le università si adagiano sulla certezza di rilasciare un titolo legale che, invece, appare sempre più antiquato rispetto al mercato mondiale".

Dal Miur, fonte Ansa, arriva una posizione intermedia, quasi di imbarazzo: "il tema del valore della laurea, data la sua delicatezza, deve essere inserito all'interno di una riflessione più generale che riguarda il mondo dell'università".

Ma è nel tardo pomeriggio del 3 luglio che giunge, via Facebook, la dichiarazione che sa più di frenata: a fornirla è Marco Meloni, il propositore dell’emendamento che ha dato il là alla norma approvata. “ritengo opportuno precisare che la mia originaria proposta emendativa – scrive il deputato democratico - prevedeva semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea quale filtro per la partecipazione ai concorsi pubblici. Ciò sia in ragione sia della previsione – in altri miei emendamenti approvati ieri– di meccanismi concorsuali più moderni ed efficienti, sia della effettiva disparità di valutazioni tra classi di laurea omogenee nei diversi atenei. Il filtro selettivo verrebbe così lasciato interamente ai concorsi pubblici”.

“Successivamente, nell’ambito di una riformulazione dell’emendamento presentata dal relatore del provvedimento d’intesa col governo, si è introdotto un criterio di delega rivolto a valutare il voto minimo di laurea in relazione a due parametri, da precisare comunque in sede di decretazione delegata: uno, forse eccessivamente ampio e tale da definire una differenziazione tra atenei, relativo a “fattori inerenti all’istituzione”, e un altro, certamente più chiaro e condivisibile, relativo al voto medio di laurea di “classi omogenee di studenti”.

“Credo sia opportuno, a questo punto, un supplemento di riflessione: se il governo e la maggioranza intendono mantenere questa impostazione, è necessario definire con maggiore dettaglio il criterio di delega e le intenzioni del governo sulla sua specificazione nel successivo decreto. In alternativa, ritengo che tornare alla mia proposta originaria - conclude Meloni - possa consentire di raggiungere ugualmente un risultato positivo”.


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