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«È giusto che un alunno capisca in modo chiaro se ha lavorato bene o no»

Intervista al Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini

22/11/2010
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Corriere della sera

di Lorenzo Salvia

ROMA — «Ho visto l’appello che arriva dalla Francia. Ma la mia è una delle riforme di cui vado più orgogliosa, non ho alcun ripensamento. Anzi». In Italia il voto in numeri alle elementari è ricomparso nel 2008, insieme al 5 in condotta e al maestro unico. Un ritorno al passato sul quale il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini non ha cambiato idea: «Proprio nei primi anni di scuola, quelli cruciali per la sua crescita, un bambino deve capire in modo chiaro se il lavoro che ha fatto va bene oppure no. Altrimenti che messaggio pedagogico gli diamo, che va sempre tutto bene?». Allora in Italia furono in molti a criticare quella scelta, sollevando gli stessi dubbi dell’appello firmato anche da Daniel Pennac. E’ davvero giusto ed utile infilare un bimbetto di sei anni in un meccanismo di competizione che lo rincorrerà per tutta la vita? E non c’è il rischio che un 4 o un 5 possono segnarlo per tutta la vita (non solo scolastica)?

«È chiaro — risponde il ministro — che bisogna evitare traumi ai più piccoli e quindi, specie nei primissimi anni, ci può essere una certa elasticità nella valutazione. Ma questa tolleranza, che i maestri conoscono bene, non va confusa con l’assenza di giudizio, che rischia di non far capire allo studente se sta seguendo il percorso giusto oppure no». Come spesso accade la linea iniziale è stata poi ammorbidita. È vero che alle elementari sono tornati i voti numerici ma è anche vero che il giudizio non è scomparso. La circolare del ministero che ha tradotto in pratica la riforma ha specificato che il maestro, se vuole, può accompagnare il voto con un breve commento. Non solo. Perché altre circolari ministeriali spiegano nel dettaglio il meccanismo del cosidetto incremento, che consente di promuovere anche chi è rimasto sotto la soglia del 6.

Ma al di là degli aspetti tecnici il problema è culturale. «Non bisogna aver paura dei numeri — dice il ministro — semmai i genitori dovrebbero temere quei giudizi fumosi e quelle valutazioni astruse in cui si poteva dire tutto ed il contrario di tutto». Ed è qui che la questione esce fuori dalle scuole. La pagella delle elementari con il voto in numeri è sparita in Italia nel 1977. A prendere il suo posto è stata la cosiddetta scheda personale dell’alunno, con i giudizi analitici e descrittivi, fiumi di parole che spesso costringevano i maestri a scrivere piccolo piccolo pur di non uscire dai margini. Una scelta che alcuni videro come uno degli effetti dell’onda lunga del ’68, quando la parola eguaglianza andava più di moda della parola differenza. Ed è proprio a questa interpretazione che si richiama il ministro dell’Istruzione per spiegare la sua scelta di allora: «L’appello degli intellettuali francesi si richiama proprio a quel tipo di scuola e di visione del mondo che ho sempre contrastato. Un modello dove va tutto bene, ed è meglio cancellare la severità altrimenti chissà cosa potrebbe succedere». All’epoca qualcuno la accusò di voler dare un messaggio più politico che scolastico, di non pensare alla scuola ma solo a rassicurare le famiglie. Il pedagogo Benedetto Vertecchi disse che si rivolgeva a chi era andato a scuola prima del 1977, quando i voti c’erano ancora, per tranquillizzarli e dire «stiamo ricostruendo la scuola che avete conosciuto voi». Interpretazione che ancora adesso il ministro Gelmini respinge con forza: «I numeri hanno il pregio della chiarezza e proprio per questo vanno usati con misura, come del resto sanno fare i maestri italiani. Ma credo sia importante dare ai nostri ragazzi un giudizio comprensibile sul lavoro che fanno. Fin da piccoli hanno bisogno di una scala di valori, altrimenti avranno l’impressione che è sempre tutto uguale».


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