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È fuga dall’istruzione tecnica: in 10 anni -117mila iscritti

Le motivazioni di questa profonda inversione di tendenza nelle decisioni di famiglie e studenti sono diverse, sia di natura didattica, sia soprattutto politiche.

13/06/2017
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Il Sole 24 Ore

Claudio Tucci

È fuga dall’istruzione tecnica: nell’ultimo decennio questo segmento della scuola superiore che sforna geometri, ragionieri e periti nei campi della meccanica, elettronica, trasporti, chimica, tessile, ha perso quasi 120mila studenti, 117.122 ragazzi per la precisione, toccando, nel 2016/2017, l'anno scolastico appena conclusosi, il minimo storico di appena 821.078 alunni (si pensi che a fine anni '90 gli studenti iscritti “al tecnico” si attestavano intorno al milione).

La fotografia del Miur 
Demografia a parte (che pure pesa, con una natalità ai minimi termini) è ormai un po' che gli istituti tecnici sono abbandonati al loro destino. Lo testimonia il calo delle iscrizioni al primo anno: dal 2010, anno dell'ultima riforma, in poi, le scuole tecniche, suddivise in due macro-settori Economico e Tecnologico e 11 indirizzi, vengono scelte da meno un giovane su tre (30,5% del totale degli iscritti alle superiori). Allo stesso tempo, sono aumentati i ragazzi nei licei: in 10 anni di quasi 40mila unità (l'anno del “sorpasso” è stato il 2007/2008, quando le statistiche forniteci dal ministero dell'Istruzione segnano, in quel periodo, 931.749 studenti ai licei, 930.578 negli istituti tecnici).

I motivi del crollo 
Le motivazioni di questa profonda inversione di tendenza nelle decisioni di famiglie e studenti sono diverse, sia di natura didattica, sia soprattutto politiche. Sotto il primo profilo, c'è sicuramente un carente orientamento alle medie (gli istituti tecnici scontano ancora la sbrigativa e ingenerosa etichetta di scuole di “serie B”). C'è poi il numero elevatissimo di discipline nel biennio iniziale (in classe si sta 32-33 ore a settimana, a seconda di come viene collocata l'ora di geografia economica, contro le 28 ore di un liceo, opzione scienze applicate); e la “pratica” laboratoriale è scarsa: «Oggi, per esempio - racconta Maurizio Chiappa, preside di un istituto tecnico - materie come fisica e chimica hanno ciascuna una sola ora laboratoriale a settimana, prima erano due. Anche disegno è sceso da tre ore a una sola. Per non parlare di informatica: qui gli alunni fanno didattica sul campo per appena tre ore a settimana».

Male ragionieri e periti elettronici-elettrotecnici 
Così facendo gli istituti tecnici hanno attenuato, o forse sarebbe meglio dire perso, quell'identità professionalizzante, che invece la riforma del 2010 puntava a sviluppare. Il segnale più evidente è la caduta di nuovi alunni nei vari indirizzi: dal 2010/2011 al 2016/2017 le iscrizioni al primo anno all'Elettronico-elettrotecnico sono passate dal 3,2% del totale iscritti alle superiori al 2,6% (una diminuzione del 20% circa - qui a pesare sono programmi un po' datati e che mettono insieme specializzazioni diverse fra loro). In discesa pure l'indirizzo Cat (ex geometri - dove peraltro è quasi sparito l'insegnamento del diritto); e quello Amministrazione, finanza, marketing (le iscrizioni si sono ridotte da 11,9% a 7,8%). Più o meno resistono gli indirizzi di Meccanica e Moda; in leggera crescita Informatica, Chimica e Trasporti.

La soppressione della dg Istruzione tecnica 
Il punto è che da anni l'istruzione tecnica è “terra di nessuno”: gli ultimi i ministri dell'Istruzione si sono voltati dall'altra parte (la legge 107 neppure ne parla pur riformando l'istruzione professionale), e addirittura Maria Chiara Carrozza, in ossequio alla spending review, ha soppresso la cabina di regina ministeriale (la direzione generale per l'Istruzione tecnica). Siamo, inoltre, l'unico paese al mondo a non avere una struttura interdipartimentale dedicata alle scuole tecniche e professionali, e al legame con imprese e territori.

A poco sono valsi, finora, gli appelli del mondo politico/istituzionale: su questo giornale, nel tempo, si sono espressi a sostegno dell'istruzione tecnica, tra gli altri, Romano Prodi, Luigi Berlinguer, Mariastella Gelmini, Cesare Damiano, Maurizio Sacconi, Valentina Aprea.
La mancanza di attenzione a questo mondo sta facendo danni: ogni anno sono circa 60mila i profili che le aziende non riescono a trovare, quasi tutti profili tecnici; un dato che stride con un tasso di disoccupazione giovanile che in Italia, seppur in calo, si attesta comunque intorno al 37% (peggio di noi in Eurolandia solo due paesi, Spagna e Grecia). Un peccato mortale, se si pensa, che fino agli anni Novanta, l'istruzione tecnica ha guidato lo sviluppo industriale italiano, creando ricchezza, prodotto, innovazione. 

Il Miur: migliorare l’aspetto comunicativo 
«Non c’è dubbio che qualcosa si sia bloccato - ammette Fabrizio Proietti, dirigente del Miur che si occupa di istruzione tecnica -. Tuttavia l’offerta didattica resta valida: l’indirizzo Amministrazione, finanza e marketing, per esempio, contiene nel proprio curriculo tutte quelle competenze, dall’imprenditorialità al digitale, che Europa2020 ritiene strategiche. Certamente, va migliorato l'aspetto comunicativo».

Confindustria: basta dimenticarci dell’istruzione tecnica 
«Siamo all’emergenza - ha tagliato corto il vice presidente per il Capitale umano di Confindustria, Giovanni Brugnoli -. Non riusciamo a trovare tecnici specializzati per le nostre aziende e nemmeno a coprire il turn-over dei prossimi anni. Dobbiamo certamente potenziare l'orientamento. Ma bisogna coinvolgere famiglie e docenti per far vedere loro quanta impresa c'è nel territorio, e quali opportunità riesce a offrire ai giovani preparati. Siamo il secondo Paese manifatturiero d'Europa, il settimo nel mondo. Dobbiamo fare in modo che tutti ne siano più consapevoli affinchè si acquisisca cultura industriale e coerenza di comportamenti. Basta dimenticarci dell'istruzione tecnica”.


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