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DON'T TOUCH MY BRAIN

Don't touch my Brain Pietro Folena 27/10/2005 La giornata del 25 ottobre 2005 segnerà in profondità q...

27/10/2005
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Don't touch my Brain
Pietro Folena 27/10/2005


La giornata del 25 ottobre 2005 segnerà in profondità questa stagione sociale e politica. Non solo perché ha preso forma e visibilità un nuovo soggetto sociale e politico ne ha scritto su Il Manifesto, in modo assai convincente, Loris Campetti. Ma anche perché in qualche modo si apre già un conflitto col futuro possibile governo: ha come oggetto non solo le destre (il ddl Moratti), ma le politiche liberali e aziendalistiche (la legge Zecchino) che le sinistre hanno prodotto nelle università e nella formazione. Interroga prima di tutto noi, parlamentari "radicali", naturalmente simpatizzanti di questa causa, che hanno cercato di evitare che a causa dell'irresponsabilità del Ministro Pisanu e dei comportamenti delle forze dell'ordine, questa giornata finisse in un dramma. Interroga chi ha fatto la spola tra la piazza e il Parlamento. Interroga l'Unione e il suo leader. Per quello che mi riguarda, attraversando il corteo, passando per i vicoli e i tafferugli, davanti Montecitorio e alla Sapienza, mi sono sentito addosso alcuni interrogativi.

Il primo è il senso di quel "Don't touch my brain" con cui gli studenti bolognesi partecipavano al corteo. E' la presa di coscienza, l'autoriconoscimento, la rivendicazione di soggettività del cervello, del pensiero, della conoscenza e della sua libera trasmissione nell'epoca in cui si vuole brevettare tutto. C'è qualcosa che abbiamo già visto nei decenni precedenti, ma mai espresso in modo così vitale, legato alla propria esistenza. C'è una critica radicale a un'idea di sviluppo, di lavoro, di civiltà che si è retta attorno alla convinzione che la privatizzazione della vita, dei beni comuni, di ogni attività economica, sociale e culturale fosse il motore del pianeta. Il pensiero altermondialista che su questo punto ha prodotto elaborazioni importanti- dai forum sociali si sposta ai luoghi di produzione del sapere. I paradigmi novecenteschi anche a sinistra- sembrano travolti da questa domanda di libertà e di autodeterminazione. La politica istituzionale può incontrare la radicalità di queste domande solo se si pone il problema della conoscenza come bene comune, non privatizzabile, che si può scambiare liberamente e gratuitamente, motore di un'idea alternativa di economia e di società.

Il secondo interrogativo l'ho letto nello striscione con cui si è svolta, il 26 ottobre, la conferenza stampa del movimento. "Contro il governo della guerra alla cultura". Di "genocidio culturale" parlavano cartelli e slogan della manifestazione. Si tratta di termini polemicamente ispirati alla nuova retorica bellicista di questi anni dalla guerra al terrorismo a quella leghista contro i clandestini, dalla guerra alle prostitute a quella in salsa felsinea ai lavavetri-, adattati e trasportati nel mondo della conoscenza, laddove si rischia la nuova selezione di classe, tra ricchi e poveri, la nuova omogeneizzazione ideologica da parte del mercato e dei consumi, la nuova precarizzazione di massa (salari da fame, incertezza del futuro, estrema ricattabilità) come condizione moderna di subalternità e di schiavitù. C'è un nesso tra condizione studentesca, legge 30 e lavoro in affitto, precarizzazione universitaria e blocco degli ordini professionali verso i giovani. E' l'altra faccia della soggettività operaia esplosa a Melfi e in altre lotte che muovono dalla vita dall'oppressione nella fabbrica, all'esproprio di altre parti della propria esistenza, dalle condizioni pietose dei treni per i pendolari e dei trasporti pubblici al costo insopportabile degli affitti-; che muovono dalla nuova domanda di democrazia e di rappresentanza sindacale che viene dai metalmeccanici (anche nel Congresso CGIL); che partono nel pubblico impiego che scopre la propria funzione di soggetto sociale dei beni comuni. Non si apre ora il bisogno di un incontro tra queste soggettività? Non hanno attorno alla liberazione della vita, alla propria dignità e al diritto alla conoscenza- interessi e obiettivi comuni?

"Il nostro tempo è adesso e cominciamo ora". Il terzo interrogativo è qui, nel forte e irriducibile proclama di autonomia di questo movimento. Ha vinto il 25, malgrado le violenze e le cariche: ha circondato il Parlamento. "Gli studenti assediano il Parlamento", hanno scritto i grandi giornali. Che quindi si pone il problema del potere e della politica. E' tuttavia un movimento privo di avanguardie ideologizzate. L'unica, forse, per le sue pratiche attive, è l'area della disobbedienza. Martedì ha fatto fronte a provocazioni e azioni politiche di settori delle forze dell'ordine manovrati dalla destra. Sono testimone diretto dell'incredibile diversità di comportamenti tra le presenze ufficiali delle forze dell'ordine, e alcuni settori mossi da spirito di vendetta, di persecuzione personale, oltreché da aperte pressioni politiche da parte di AN. Poteva finire molto peggio. Ma poiché questo è un movimento che dura, e poiché Genova è nella memoria di tutti e giustizia non è stata fatta-, dovremo tutti essere nei prossimi giorni consapevoli e attenti. Il movimento mi pare molto conscio della necessità di far valere l'irriducibilità del proprio punto di vista con la radicalità delle mani alzate o del gelato offerto a Selva. Ai partiti, anche quelli più "vicini" e alla politica tradizionale si guarda con diffidenza. Non ci sono e non ci saranno "governi amici", è stato detto e ripetuto. Ora all'Unione non serve blandire questa generazione, ma dimostrare anzitutto di comprendere che ha bisogno oggi e domani di questo conflitto, e dei conflitti sociali; e poi, coi fatti, di saper interloquire con queste domande, e di saper prospettare anzitutto con la proposta di abrogare le leggi Moratti e la legge Zecchino- un'altra idea di politica, di cultura e di università rispetto a quella, blairiana e insostenibilmente debole, degli anni '90.


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