Don Milani visto dalla stampa
LA SOLIDARIETA' NECESSARIA (Pubblicato il 3 maggio 2002 su Quotidiano col titolo: SCUOLA E STATO SOCIALE La riforma e il sogno di don Milani) Di fronte alle stranezze del mondo, chi vi...
LA SOLIDARIETA' NECESSARIA
(Pubblicato il 3 maggio 2002 su Quotidiano col titolo:
SCUOLA E STATO SOCIALE
La riforma e il sogno di don Milani)
Di fronte alle stranezze del mondo, chi vive riflettendo sull'esperienza terrena dell'uomo non può fare a meno di fare una considerazione di senso, aldilà di quanto sapientemente è fissato nei trattati delle scienze sociali autonome.
Un aspetto importante, spesso determinante, dell'esistenza di un uomo è che essa è caratterizzata dalla sua vocazione alla lotta: alla lotta contro sé stesso, prima, per affermare la sua personalità e alla lotta contro gli altri, poi, per affermare la sua volontà di supremazia.
Così accade, quasi sempre, che più egli raggiunge risultati apprezzabili sul piano delle condizioni materiali personali e più stenta a controllare la sua voglia di potere e di sopraffazione nei confronti degli altri. Questa china si protrae fino a raggiungere parossismi che qualsiasi essere di buon senso (lo stesso mondo animale può fornire limpidi esempi) eviterebbe di raggiungere, non fosse altro che per l'istintivo spirito di conservazione connaturato in tutti gli esseri viventi.
La storia dell'umanità ci ha, tra l'altro, insegnato che quanto più le classi dominanti di una determinata società raggiungono il benessere economico tanto più in quella società finiscono col prevalere sistemi di governo ispirati da linee di pensiero che si rifanno ad un certo liberalismo strisciante, da definirsi meglio individualismo economico o senz'altro liberismo se non si vuole offendere troppo l'idea liberale. Tali sistemi assumono forme diverse, ma tutte, sostanzialmente, hanno in comune la tendenza a minare le fondamenta dell'assetto statuale retto sui diritti delle persone. Tutto ciò si può toccare oggi con mano nella fase storica che il mondo attraversa.
Tra queste forme ce ne sono alcune più moderate, come quelle che stanno prevalendo negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Italia e in Francia (solo per fare qualche esempio) ed altre, più tetre, che ormai non hanno più nulla del liberalismo e che declinano verso l'assolutismo come quelle già affermatesi in Israele con Sharon e in Austria con Haider e come quelle che ambiscono di affermarsi in Francia con Le Pen, in Inghilterra con Griffin e, perché no, in Italia con Bossi.
Le forme di governo più moderate sopra richiamate hanno una caratteristica in comune: il welfare state va assumendo sempre più un profilo basso perché, ad esempio, la solidarietà anziché essere intesa come principio su cui fondare il sistema di tutele dei diritti fondamentali per ciascun cittadino, viene intesa, nella migliore delle ipotesi, come forma di carità, di solidarietà personale che non giova per nulla all'obiettivo che ogni Stato moderno deve porsi: compiere il massimo sforzo per l'emancipazione dei suoi singoli cittadini. Le altre forme, quelle più tetre, addirittura finiscono col negare il welfare state e, nella aberrante scala dei principi alla quale fanno riferimento, la solidarietà deve cedere il posto all'esclusione.
La strada verso queste ultime forme è pericolosamente in discesa ed è molto facile oggi scivolare fino al fondo di essa se non si pone un freno cercando di affermare uno Stato sociale dal profilo alto.
Si vuole qui portare un solo esempio, traendolo da un ambito significativo dell'organizzazione sociale, qual è quello dell'istruzione che spesso l'uomo ha trasformato in strumento per esercitare il suo potere.
Don Lorenzo Milani, parroco di Barbiana e fondatore dell'omonima scuola, al quale il 19 maggio prossimo è dedicata una marcia pacifica per la qualificazione e il rilancio della scuola per tutti e per ciascuno, con partenza da Vicchio del Mugello (tra i promotori la CGIL Scuola), ci ha lasciato una ricca eredità di pensiero. Questa dovrebbe essere messa di più a frutto nella formazione iniziale ed in itinere degli insegnanti perché induce spunti di riflessione dei quali gli insegnanti e la scuola tutta, oggi, hanno bisogno più che mai, proprio per contribuire a contrastare le tendenze deleterie cui ho accennato sopra.
La necessità di partire da una conoscenza reale, profonda e non di routine degli alunni, come persone, e del loro ambiente di vita, la necessità si sopperire a ciò che l'ambiente non può fornire loro con un tempo scuola più lungo, di colmare il divario tra chi possiede gli strumenti linguistici e chi non li possiede, la costante preoccupazione che deve avere l'insegnante di fornire le giuste motivazioni allo studio ed altre indicazioni ancora che scaturiscono dalle Sue lettere rappresentano acquisizioni del pensiero pedagogico che, ancora oggi, nonostante i lenti passi in avanti fatti in questi 50 anni, la scuola italiana non riesce a praticare compiutamente, anzi vengono rimessi continuamente in discussione.
Don Milani insiste; nella sua celebre Lettera ad una professoressa: 'La riforma che proponiamo '#8211; Perché il sogno dell'eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme. I- Non bocciare. II- A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. III- Agli svogliati basta dargli uno scopo.'
La riforma del sistema educativo proposta oggi dalle destre in Italia, oltre al confuso tentativo operato di strumentalizzazione anche della figura di questo grande intellettuale ed apostolo (nel documento Bertagna sembrava quasi che il pensiero di Don Milani, esplicitamente citato, fosse l'ispiratore della proposta) ha il chiaro intento di andare in una direzione completamente opposta a quella che aveva in mente il prete di Barbiana.
Il ridimensionamento del sistema d'istruzione pubblico, la riaffermazione della frammentazione del sistema, la scelta precoce a tredici anni tra Licei, da un lato, e Istruzione e Formazione professionale dall'altro, il buono scuola, approdato da quest'anno anche in Puglia, in un'ottica di subdolo e preoccupante antistatalismo e tante altre ciliegine sparse qua e là nel progetto in discussione in questi giorni in VII Commissione Istruzione del Senato negano, di fatto, il principio della solidarietà, come sopra è stato esplicitato, ricacciando indietro nel ghetto delle loro condizioni socio-ambientali di partenza le giovani generazioni che si affidano alla scuola. Tutto ciò sembra essere funzionale solo al restringimento degli spazi di democrazia e alla riproduzione della classi dirigenti come accadde all'inizio del ventennio fascista.
Certamente, questa non è la scuola che voleva Don Milani e, dunque, il desiderio di lanciare un appello sorge spontaneo nel cuore di chi crede nei valori diffusi dalla Sua opera e diventa bisogno di comunicazione: è necessario resistere!
BRINDISI 1 MAGGIO 2002
MARIO CAROLLA
Don Milani e la voce degli ultimi La distanza tra l'esperienza di Chiesa vissuta dal priore di Barbiana e quella di oggi don Roberto Sardelli
Il prossimo mese è l'anniversario della nascita di don Lorenzo Milani. Nasce, infatti, il 19 maggio 1923 il priore di Barbiana, autore con i suoi ragazzi di Lettera ad una professoressa e di Esperienze Pastorali, educatore alla non violenza e al parlar chiaro e senza riguardi, quando si tratta di difendere i diritti degli ultimi. In questi anni sono stati molti gli scritti e le biografie dedicate a questo prete scomodo, nei mesi scorsi un contributo importante è venuto da Maurizio Di Giacomo ( Don Milani - Tra solitudine e Vangelo - Ed. Borla Euro 20,66 - L. 40.000). La ricchezza di documenti e testimonianze, edite e inedite, di questo "Don Milani" rende il lavoro di Di Giacomo un'opera da leggere. Per me è molto difficoltoso farne una lettura neutrale: ho conosciuto don Lorenzo nei primi anni 60 e conosco Maurizio. Ma perché tutto non si risolva in una celebrazione che tranquillizzi le anime pie sempre bisognose di adorazione e le anime empie sempre bisognose di canonizzare, alcune cose bisogna pur dirle. 1) Da tutte le 415 pagine di Di Giacomo abbiamo la visione di una chiesa e di una società civile che si ascolta. Non mancano i contrasti spesso feroci e laceranti, non mancano i colpi bassi, ma ci si parla e ci si ascolta, si ha paura e si ha coraggio, si discute. Mi sembrano trascorsi mille anni luce!
Oggi non è più così. Dalla Costa, Milani, La Pira, Florit, don Borghi, gli operai, la scuola, Mazzolari, Balducci, i Tribunali, le minacce, le solidarietà, Costa e la sua confindustria (Es. pag. 91 ss) sono tutte realtà diventate simbolo di una chiesa che reagisce, di una società che interroga e si interroga, che, nel bene e nel male si pone il problema "che fare?". A questa chiesa così ansiosa oggi corrisponde una chiesa silenziosa, una chiesa dove un gruppo di potere ha commesso un delitto: ha ucciso la ricerca, il dibattito, la critica. Abbiamo una chiesa che si convoca per l'applauso. "Essor ou déclin de l'église"? 2) Dalle pagine del "Don Milani", Maurizio di Giacomo presenta un "priore" che alla chiesa e alla società non è smanioso di presentare un pacchetto "prendere o lasciare". Egli apre delle questioni che i benpensanti vorrebbero tener chiuse. Proprio in questa prospettiva la sua testimonianza diventava inquietante e pericolosa,e continua ad essere tale perché a quelle questioni, fino ad oggi, non si sono date risposte. Leggasi, ad esempio, le bellissime pagine dedicate alla nascita e alla condanna di Esperienze Pastorali . 3) Al di là delle polemiche mi sembra che il libro di Maurizio Di Giacomo metta in luce due essenzialità della proposta di don Lorenzo: a) La scelta visibile della povertà e degli ultimi. La sua forza, la sua libertà nascono da questo. Egli ha il coraggio di strappare la povertà dalla nicchia dell'intimismo clericale e ne fa la base per gridare, gli ultimi per lui, non saranno più e solo oggetto di beneficenza, di elargizione da "elemosinaria apostolica", ma soggetti di diritto. Quali ragazze barbanesi sono portatori di diritti e noi si è utili nella misura in cui ci mettiamo loro dietro. Se si tratta di lottare, di rischiare, di andare in tribunale, di essere malmenati, noi con loro, senza accampar privilegi, ma allo scoperto. Ecco allora che, Libero, Edoardo, Eda, diventano personificazioni di un dramma più vasto, specchio di un mondo che i monti del Mugello non potranno racchiudere. Non si capirebbe appieno la portata delle sue proposte senza questa visione degli ultimi. Ed egli lo farò da profeta inserito nel suo tempo. Certo, anche gli uomini del palazzo sono immersi nel tempo, ma c'è chi lo fa partendo dal potere e chi lo fa partendo dalle vittime, c'è chi lo fa partendo dal CIC (Codice di Diritto Canonico) e chi partendo dal Vangelo. Don Lorenzo lo farà partendo da qui, dagli ultimi. b) Don Lorenzo sa - nel libro di Di Giacomo è documentato con accortezza - che l'esperienza umana deve precedere quella religiosa e non è strumentale. Qui si colloca l'intuizione della scuola come itinerario esigente e severo di crescita, di liberazione, di elevazione umana. E la sua sarà una scuola laica dove l'unico criterio che prevale su ogni altra considerazione è l'amore per i ragazzi e per il ruolo che si è chiamati a svolgere. Egli proporrà una scuola come scelta di vita, come luogo di riscoperta e riappropriazione del linguaggio soprattutto parlato e scritto senza alcuna ombra di snobismo caramelloso. Mi sembra di sentire la eco delle pagine che Gramsci dedica allo studio e del pedagogista sovietico Makarenko. Ed ora ecco alcune cose che secondo me meriterebbero di essere chiarite e che don Lorenzo avrebbe senz'altro chiarite se la morte non ce lo avesse sottratto così giovane: 1) I rapporti tra scuola privata, che in Italia è prevalentemente di confessione cattolica, e la scuola di Stato.
Alle volte sembra che egli faccia valere valutazioni di carattere moralepiù che strutturale. Oggi, le influenze dei flussi migratori, vere transumanze umane, sulla elaborazione pedagogica e sulla scuola, impongono di riscoprire la scuola di Stato come spazio educativo unico e comune, capace di garantire la libertà di tutti. La diffusione della scuola privata non può che preludere alla frantumazione del tessuto sociale. 2) Non mi convince il suo snobbare l'esperienza dei preti operai che pur gli era nota. In altre circostanze egli dirà mansiones multae sunt (pag. 215).
3) Don Lorenzo insiste molto sull'apprensione dei linguaggi razionali. L'abbiamo fatto e lo facciamo tutti perché siamo tutti figli di Aristotele e del cogito. Ma l'esperienza della condizione del lavoro contadino ed operaio non si è depositata solo nella parola, vi sono altri canali linguistici che sfuggono alla razionalità, ma non per questo sono men veri
Compiti a casa? Premiano i ricchi, puniscono i poveri Un saggio di Meirieu, pedagogista francese, rilancia una battaglia di don Milani e del '68
Manuela Trinci Fonte di conflitti e di un interminabile braccio di ferro familiare, i compiti a casa sono il tormentone della vita quotidiana. Cassa di risonanza per affrontare il tema cruciale della motivazione allo studio, quell'"io devo", o diversamente declinato "tu devi" o "noi dobbiamo", fare i compiti ha smosso, negli anni, migliaia di "indagini orientative", dato voce a illustri opinionisti, nonché moltiplicato discutibili manualetti su "come fare un tema alle elementari" e così via. Ma dove collocare la "piaga" dei compiti a casa rimane questione insoluta, e non si insisterà mai abbastanza sul fatto che qualsiasi rinvio sistematico dello studio a casa è in realtà un rinvio alle ineguaglianze sociali e familiari degli studenti. Lo urlavano i "contestatori" nel '#8216;68, lo scriveva don Lorenzo Milani, ben trentacinque anni fa, in Lettera a una professoressa. E non si pensi a un tema astratto: disporre di una stanza propria in cui studiare, consigliarsi in famiglia sui propri metodi di studio, non significa per niente essere in condizione di eguaglianza con chi studia in una stanza con la televisione accesa, senza sostegno e senza altro consiglio che l'esortazione di rito "Studia". A Philippe Meirieu, insegnante, direttore dell'Institut National de Recherche Pédagogique, nonché padre di quattro figli e uomo di sinistra, il merito di aver riportato alla ribalta l'incandescente problema, con questo libro I compiti a casa (Feltrinelli, pagg.119, Euro 9.) I paradossi nei quali ci si imbatte sono infiniti - sottolinea a più riprese Meirieu. Ache serve la scuola se i ragazzi aspettano ansiosi la fine delle lezioni per tornare a casa a "sgobbare", a preparare cioè interrogazioni e verifiche? "A scuola si sta attenti, ma i compiti si fanno a casa", è la frase che continua a ripetersi, inalterata, dagli scolari del libro Cuore ai giorni nostri. La classe, in effetti, funziona ancora troppo come una chiesa, mentre sarebbe necessario diventasse un'officina, un luogo in cui si sfruttano risorse, un luogo di sodalizio con il maestro, che non si limita a parlare, ma che spiega sotto gli occhi degli allievi e ne segue gli apprendimenti, da non ridursi alla semplice ricezione di informazioni le lezioni a scuola da "ripassare" a casa. Conseguentemente esorta l'autore - i genitori non devono trasformarsi in professori d'ortografia.
Roma, 2 maggio 2002