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Docenti, un anno di prova prima del contratto a scuola

Il Recovery e i concorsi

10/05/2021
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Il Messaggero

Gli obiettivi sono a dir poco ambiziosi. Al punto da far dubitare della loro realizzabilità nei tempi relativamente brevi indicati nero su bianco: se non fosse che la riforma del reclutamento degli insegnanti risulta inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato dal governo italiano a Bruxelles, ed è stata descritta dettagliatamente nelle schede (in inglese) allegate al testo principale. Il nuovo meccanismo, che punta a rendere centrale ai fini dell'assunzione definitiva del docente la valutazione della scuola in cui insegnerà (al termine di un anno di prova) è destinato ad accompagnare i programmi di spesa che in materia di istruzione attingono a risorse europee per quasi 20 miliardi. E dovrà diventare operativo nel 2022, mentre attualmente il governo è impegnato in una corsa contro il tempo per garantire l'avvio del prossimo anno scolastico anche grazie ad una nuova massiccia regolarizzazione di precari.
SQUILIBRIO TERRITORIALELa riforma permetterebbe di superare definitivamente proprio il sistema per cui sulle cattedre si alternano insegnanti precari. Allo stesso tempo, il governo punta a ridare smalto alla professione del docente, rendendola più attrattiva per i neo-laureati come obiettivo professionale e non come ripiego in particolare nelle aree del Paese in cui mancano altre occasioni di lavoro. Questo, almeno nelle intenzioni, porterebbe a superare anche il cronico squilibrio territoriale (in particolare tra Nord e Sud del Paese). La necessità di un cambio di modello è sottolineata in maniera esplicita nel testo, nel quale si legge che «l'incremento della qualità punta a garantire agli studenti un adeguato accesso alla conoscenza» e che questa sfida richiede «il superamento della vecchia figura del docente che si è formata negli anni 70-80» per passare a quella «presente nelle migliori pratiche dell'Unione europea».
Vediamo nel dettaglio come dovrebbe funzionare il nuovo reclutamento. L'idea è quella di semplificare le procedure puntando sulla formazione degli insegnanti per tutta la durata della carriera. Il primo passo è la definizione di graduatorie basate sia sui titoli dei candidati sia sul risultato di una prova di concorso svolta in forma digitale, come quelle che si stanno sperimentando in altri ambiti della pubblica amministrazione.
Da questi elenchi si attingerà per la copertura di tutti i posti vacanti. I vincitori (provvisori) a quel punto verrebbero assegnati alle scuole per un anno di prova: passaggio già esistente nella normativa attuale ma che diventerebbe decisivo per chi vuole ottenere un contratto stabile. Il successo di questo secondo test non implica un miglioramento della posizione in graduatoria, perché il neo-docente avrebbe il vincolo di rimanere nella stessa scuola per almeno tre anni. Il punto-chiave è che a gestire la selezione sarà la scuola stessa, che in questa logica avrebbe interesse a trattenere gli insegnanti più bravi per gli anni successivi e simmetricamente a non confermare quelli la cui prestazione è stata giudicata meno valida. Nello scenario ideale quindi gli istituti scolastici attingerebbero alle graduatorie di coloro che hanno già superato il concorso semplificato per coprire le sostituzioni annuali, per poi stabilizzare le loro posizioni al termine dell'anno di prova. Viene specificato che la selezione verrebbe portata avanti non solo sulla base delle conoscenze, ma anche dalla capacità di insegnamento e di relazione con ragazzi e genitori. Il piano prevede anche di rivedere l'attuale meccanismo dei crediti formativi per le discipline psico-pedagogiche e i metodi di insegnamento. Questo per garantire la qualità ed evitare che l'acquisizione dipenda solo dal pagamento dei relativi corsi.
Luca Cifoni


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