«Docenti e didattica sono da ripensare Non scarichiamo le colpe sui presidi»
Intervista a Tullio De Mauro
Presidi con funzioni manageriali. Più insegnanti assunti. Prof scelti direttamente dalle scuole a seconda del bisogno. Premi a chi fa meglio il proprio lavoro. Studenti nel mondo del lavoro già durante l’anno. Professor De Mauro, il 2017 sarà l’anno in cui finalmente la scuola italiana farà un passo in avanti?
Linguista, ministro dell’Istruzione con il governo Amato, professore e presidente della Fondazione Bellonci, Tullio De Mauro sorride: «Oggi (ieri per chi legge, ndr ) è Sant’Elpidio, che, come dice il nome, è il santo della speranza. Dunque, si può sperare che il nuovo anno non sia peggiore dei precedenti. Ciò che chiamiamo scuola è dappertutto un organismo complicato e diversificato, tanto più in un Paese con realtà per conto loro altrettanto diverse ed eterogenee. Le norme della “buona scuola” erano e sono assai lontane dall’aver tenuto conto di questo. Vedremo i singoli interventi previsti e in parte ora in via di attuazione che rimbalzi avranno in concreto nelle diverse realtà».
Gli studenti italiani trarranno dei benefici reali da tutte queste novità? Cioè: avranno davvero prof più preparati, lezioni più interessanti, saranno più motivati?
«Gli studenti delle scuole dell’infanzia e delle elementari hanno avuto finora, e dagli Anni 80, una delle migliori scuole del mondo, come, per le elementari, dicono i risultati delle indagini comparative internazionali (e come troppi dimenticano). Per le scuole dei gradi ulteriori,in particolare per le superiori, avere insegnanti più preparati e lezioni più interessanti richiede un ripensamento radicale dei modi di formazione e di aggiornamento in servizio degli insegnanti in funzione di un altrettanto radicale ripensamento dei contenuti didattici e dei modi di farne oggetto di reale e durevole apprendimento. In Francia con modi più bruschi, in Finlandia con saggia cautela, si sta andando su questa via. Questo sforzo di chiamata a raccolta di esperienze pratiche e di studio è mancato ai provvedimenti governativi. Prima o poi dovremo deciderci a farlo».
In Italia l’immagine degli insegnanti continua a essere non all’altezza della sua importanza per la vita degli individui. Stipendi tra i più bassi d’Europa e scarsa considerazione dall’opinione pubblica. C’è un modo per cambiare tutto ciò in profondità?
«Cambierà se e quando il Parlamento e un governo decideranno di fare dell’istruzione scolastica e dello stato della cultura di adulte e adulti un oggetto specifico e periodico della loro attività e, come c’è ogni anno la discussione e definizione di una finanziaria, ci sarà annualmente una “culturale”».
I presidi sono uno dei nodi della riforma: hanno un ruolo sempre più centrale e manageriale. Farà bene alla scuola tutto ciò?
«In omaggio a Sant’Elpidio, si può sperare che non faccia troppo male. E che non si scarichi sui presidi la responsabilità di quanto non funzionerà nelle scuole».
Contro la dispersione scolastica la ministra Giannini pensa di aprire sempre più la scuola anche oltre l’orario di lezione. È d’accordo?
«Sarebbe, anzi è assolutamente necessario che l’Italia attivi, come fanno altri Paesi e come da anni ci chiede con insistenza l’Ocse, un sistema organico di educazione degli adulti che svolga le sue attività negli istituti scolastici, nei due terzi della giornata in cui sono un mausoleo vuoto e devono invece diventare, come è stato detto, “fabbriche della cultura”. Le condizioni della popolazione adulta italiana, in cui assai più di due terzi hanno difficoltà a leggere un qualunque testo scritto, non possono non riflettersi su ragazze e ragazzi e ostacolare gravemente il lavoro della scuola, oltre che pesare negativamente sull’intera vita sociale».
Cosa pensa dell’alternanza scuola-lavoro con studenti che trascorrono dei giorni di scuola nelle aziende o negli uffici?
«L’idea è buona, ad avviso di molti. Ma le modalità di attuazione richiedono di essere collegate a quel ripensamento cui ho accennato. Altrimenti rischia di far solo confusione. Anche qui, però, sarebbe stato e sarebbe necessario considerare quel che avviene altrove nel mondo e quel che di positivo si è realizzato in Italia in anni passati negli istituti tecnici».
Claudia Voltattorni