«Discriminò la docente gay» Condannata la scuola cattolica
L’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovrà risarcire con 25 mila euro la docente, rappresentata dall’avvocato Alexander Schuster, e con 1.500 euro ciascuna la Cgil del Trentino e l’Associazione radicale «Certi diritti».
I l giudice del lavoro di Rovereto ha condannato per la prima volta in Italia una scuola paritaria cattolica per aver discriminato un’insegnante in base al suo (presunto) orientamento sessuale. L’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovrà risarcire con 25 mila euro la docente, rappresentata dall’avvocato Alexander Schuster, e con 1.500 euro ciascuna la Cgil del Trentino e l’Associazione radicale «Certi diritti». Il giudice trentino ha stabilito che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola» e che la docente «ha subito una condotta discriminatoria». A cui si aggiunge una «discriminazione collettiva» perché la condotta della scuola ha colpito «ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione» (da qui il risarcimento al sindacato e all’associazione per i diritti civili). «Finalmente ho avuto giustizia, sono stati due anni pesanti — commenta la docente, che per privacy ha chiesto di rimanere anonima —. Per difendersi hanno persino sostenuto che avrei turbato gli studenti con discorsi impropri sulla sessualità e si sono inventati che avessi una relazione con un’ex alunna. Falsità che in giudizio non hanno potuto giustificare con nessuna prova», aggiunge. Il caso risale al 16 luglio 2014 quando l’insegnante, precaria, fu convocata a contratto scaduto dall’allora responsabile dell’istituto, suor Eugenia Libratore, per parlare dell’eventuale rinnovo. La docente ha testimoniato che la madre superiora (deceduta a settembre scorso) le aveva detto di essere «venuta a conoscenza di alcune voci secondo le quali io avevo una compagna» e che «aveva problemi come dirigente dell’Istituto a rinnovare il contratto ad una persona ritenuta omosessuale», ma che «sarebbe stata disponibile a chiudere un occhio nei miei confronti qualora io mi fossi impegnata a risolvere il problema». Dopo il rifiuto dell’insegnante di dare informazioni sulla sua vita privata, il contratto non era stato rinnovato. Ora il giudice di primo grado ha stabilito che si è trattato di una violazione della legge antidiscriminazione sul lavoro del 2003. «Questa decisione fissa un punto chiaro — spiega l’avvocato Schuster —: i datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita» .
Elena Tebano