Disabilità a scuola, le lacrime e le soluzioni
Gianna Fregonara
Un ragazzino che deve ripetere la prima media è stato rifiutato dalla scuola del Comune di residenza della sua famiglia, Villafranca in Lunigiana, perché la classe è piena e per giunta, dice il preside, c’è un bambino con disabilità. I genitori arrivano a scuola con gli avvocati. Il ministero alla fine ammette il nuovo bambino a scuola. E invia gli ispettori. Cercheranno di capire chi ha ragione e chi ha torto. Forse sia il preside che i genitori, che in questi mesi estivi, non sono riusciti a trovare una soluzione ad un problema che un problema non dovrebbe essere. È possibile che quando si parla di studenti disabili e di studenti ripetenti, scatti automaticamente l’emergenza, il codice rosso: problema irrisolvibile senza crearne altri? Lo sanno bene i genitori dei bimbi disabili, che proprio in questi giorni sono costretti a tenerli a casa in attesa che arrivino gli insegnanti di sostegno, di solito gli ultimi ad essere designati per le cattedre. Succede anche che vengano invitati dagli stessi presidi a fare ricorso al Tar per ottenere quello che sulla carta è un diritto e che nella realtà viene regolarmente calpestato. In alcune regioni, tra le quali la Sicilia e la Sardegna, le cattedre di sostegno sono state usate per permettere agli insegnanti di restare vicini a casa anche se non hanno la specializzazione. Finché non scoppierà un altro caso in un’altra scuola e torneremo ad occuparci dei problemi dei bambini, di quelli che hanno problemi e dei loro compagni che hanno il diritto di essere aiutati ad accogliere e integrare un loro compagno in difficoltà. Salvo poi commuoverci per le storie belle e coraggiose di chi i problemi li ha superati con una medaglia alle Paralimpiadi, sfidando tutto e tutti. Sarebbe forse più utile se ci chiedessimo quanto sudore, quanta fatica e forza di volontà ci sono dietro queste vittorie. E anche quante lacrime.