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Diritto allo studio, tutto da rifare

I tagli alle regioni mettono a rischio le borse di studio per gli universitari. Paleari, presidente della Conferenza dei rettori: «Tutelare i bravi ma indigenti»

27/10/2014
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Mentre le Regioni sono in attesa di incontrare il governo per definire le proprie controproposte alla legge di Stabilità, centinaia di universitari non sanno ancora se potranno permettersi le costose trasferte per studiare fuori casa. I tagli di fondi pesano sulle borse di studio, mettendone a rischio almeno la metà. Ma è solo un problema di soldi? «No», almeno secondo il presidente della Crui, la conferenza dei rettori: «In Italia abbiamo un sistema di diritto allo studio largamente insufficiente e anacronistico», spiega Stefano Paleari.

Premiare i virtuosi

«Non è possibile che nascere in una regione piuttosto che in un’altra determini la fortuna o la sfortuna di poter studiare», spiega Paleari, secondo cui il sistema è completamente sbagliato, e andrebbe totalmente riorganizzato, eliminando quella componente regionale che lo distorce e lo rende spesso iniquo. «Bisognerebbe lanciare una consultazione tra Stato, Regioni e studenti, i tre soggetti coinvolti, e trovare qual è il modello giusto». Suggerimenti? «Secondo me bisognerebbe partire dal concetto di premi per i più virtuosi: se siamo riusciti ad arrivare ad un sistema per cui a regime il 18% del Fondo per le università andrà agli atenei competitivi, allora dovremmo trovare un metodo che permetta di assegnare anche le risorse per gli studenti in maniera analoga. Fare una riflessione sul diritto allo studio significa offrire a tutti le stesse possibilità e tutelare i ragazzi bravi ma indigenti». Solo dopo, secondo il rettore dell’università di Bergamo, si può parlare di fondi.

Il confronto (impietoso) con l’Europa

Un tasto che resta comunque dolente, nonostante il piccolo successo ottenuto dal ministro Giannini, che ha resto stabili anche per i prossimi anni i 150 milioni di rifinanziamento del Fondo ordinario. «Siamo di fronte ad una stabilizzazione che quanto meno ci mette al riparo da ulteriori tagli - precisa Paleari - per cui non possiamo che salutarla come un fatto positivo. Inoltre è un fatto propedeutico all’adozione dei costi standard: perché è evidente che non potremmo sostenere dei tagli e delle limature nelle spese correnti senza avere la certezza delle risorse. Ma è chiaro che ci stabilizziamo su valori minimi: gli 800 milioni di tagli dal 2009 sono consegnati alla storia. Basti pensare che mentre l’Italia spende in media 100 euro ad abitante per la spesa in istruzione universitaria, in Germania e Spagna si aggira sui 300, in Svezia supera i 600, in Norvegia i 700. Questo significa che paga all’Europa la propria parte come numero di abitanti, ma poi riceve in base al numero di ricercatori, che sono sempre meno. Per fortuna almeno in Finanziaria ci viene concessa la possibilità di assumere ricercatori con contratti triennali, e di reclutare professori ordinari: così almeno ci avviciniamo all’obiettivo, che è quello di ridurre l’età del corpo docente».


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