didaweb-Elogio del gruppo docente *-di G.Cerini
Elogio del gruppo docente * Team docente sotto attacco. C'era da aspettarselo. E' ovvio che dietro tutto questo "parlar male" della pluralità docente ci sia un problema finanziario e di riso...
Elogio del gruppo docente *
Team docente sotto attacco. C'era da aspettarselo. E' ovvio che dietro
tutto questo "parlar male" della pluralità docente ci sia un problema
finanziario e di risorse decrescenti per la scuola (".cara scuola
elementare.ti amo.ma, quanto mi costi !."). Ma oggi si aggiunge dell'altro,
una pervicace volontà di rilanciare la mitica e rassicurante figura della
maestra unica, la "maestrina della penna rossa", perché -si dice- capace di
costruire un solido rapporto educativo, inevitabilmente a due sole facce,
tra maestro e alunno, senza incertezze, senza le sbavature di un
(ingombrante e inconcludente) gruppo docente.
Però il "team" è ormai amato dagli insegnanti e dai genitori, è entrato
nel nuovo immaginario della scuola elementare. Disporre di una pluralità di
figure e di relazioni educative è considerata dalle famiglie e dagli
insegnanti un'opportunità di arricchimento e di crescita per i ragazzi.
Sarebbe difficile contro-proporre un modello organizzativo diverso, magari
ripristinando la figura del docente unico, costellato da alcuni (o tanti)
"specialistici" con poche ore settoriali dedicate a discipline particolari
(lingua straniera, musica, educazione motoria e altro). E' una scelta già
fatta da alcune scuole private (non tutte, ad esempio le scuole elementari
salesiane hanno optato per una pluralità docente "temperata", con due
figure, come nel tempo pieno), forse per rassicurare gli utenti e
conquistarne dei nuovi.
Certo, non è facile far funzionare un gruppo di docenti (o di adulti).
Intanto, è un "vero" gruppo (cioè un insieme di persone che stanno insieme
per un obiettivo comune) ? o è un semplice e casuale accostamento di docenti
? C'è tra i membri del gruppo un comune sentire sull'educazione dei ragazzi,
un'etica professionale (ma anche un'estetica, cioè un'ipotesi di benessere
del lavoro di gruppo) ? Nel gruppo l'io viene "scalfito", perché è l'altro
(sono gli altri) ad entrare in scena. Nel gruppo "si è per l'altro". Entra
in crisi la propria identità. C'è una doverosa inquietudine in ogni gruppo.
La sicurezza non può essere imposta da regole formali (gli orari, le
discipline, un "capo-gruppo", un tutor.); verrà dopo, col tempo. Sarà la
storia del gruppo a consolidarla: il gruppo è un'entità che vive, cresce, si
sviluppa, può anche perire. Non basta curare le buone relazioni tra i
docenti del team, occorre un progetto culturale comune, da cui far
discendere una strategia didattica chiara e scelte metodologiche coerenti. E
un tale "valore aggiunto" non può essere richiesto solo alla scuola
elementare, ma anche ai licei, alla scuola media. Perché no ?
Non sempre le istituzioni (le norme, i contratti, le circolari) hanno
aiutato i gruppi a crescere. Sembra prevalere la "separazione" tra i
docenti, tra le discipline, tra gli allievi. La compresenza tra insegnanti
viene vissuta come "peste" da evitare. Si ripropone senza pudore il ritorno
tout court all'insegnamento frontale, alla sicurezza di un rapporto
asimmetrico (finalmente.ci sarà chi insegna.e chi apprende), alla dura
necessità della trasmissione del sapere, dell'in-segnare come "lasciare il
segno". E pensare che l'ultimo Bruner si è inutilmente affaticato attorno
all'"arte della cortesia del dialogo", tra adulti e bambini, al piacere
dello scambio, della interazione verbale (sugli oggetti del mondo), alla
conoscenza come frutto di una "narrazione condivisa" ove entrano in
gioco -nella vita della classe- gli occhi, le mani, la mente, le parole (dei
bambini e degli adulti) ma anche i loro sogni, le aspettative, le curiosità,
le culture.
Insegnare a conoscere e capire, ci dicono i migliori studiosi di questa
strana e misteriosa "scatola nera" che è l'apprendimento, significa
promuovere processi di scambio, di costruzione, di interazione, situati in
un ambiente ricco di segni e di immagini (di tecnologie e di artifici
"didattici"), dove si senta una pedagogia della compiutezza (e non della
parcellizzazione, delle unità didattiche "sfuse", delle schede e degli
esercizi per disciplina, degli orari incomunicanti). Certo, sono i difetti
possibili di un "modulo" che non funziona, di un meccanismo ad ingranaggi,
dove la divisione del lavoro viene imposta, dove le scelte non sono
negoziate, dove il gruppo viene vissuto come un peso, non come una risorsa.
Ecco perché è importante ripensare alla pluralità docente, dargli un
significato, trasformarla in una vera risorsa educativa. Ben venga la figura
del docente "tutor", di cui tutti oggi parlano (e noi lo faremo la prossima
volta); potrebbe contribuire a migliorare il funzionamento del gruppo
docente, a professionalizzarlo, a integrarlo: ma -per favore- senza
scorciatoie o infingimenti. Parlare di tutor, di leadership "diffusa", di
ascolto e condivisione è qualcosa di assai diverso dal ripristino
"ideologico" della figura del maestro unico.
* In corso di pubblicazione su "Vita Scolastica", settembre 2002, rubrica:
Pianeta insegnanti, a cura di Giancarlo Cerini.