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De merito. Libertà di insegnamento e controlli dall'esterno

di Paolo Chiappe

15/05/2011
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da ècole

I problemi posti dalla pretesa di imporre i test Invalsi. La questione Invalsi ha degli aspetti immediati e altri di lungo periodo. Scatena forme di resistenza, è una fase dello scontro permanente tra scuola ministeriale (dominante e prepotente ma vuota) e scuola degli insegnanti, perdente ma “piena” e quindi mai del tutto omologabile. Questa lotta si ripete sotto i governi di ogni colore e la resistenza degli insegnanti non è corporativa perché con tutte le sue miserie e grandezze la scuola degli insegnanti è finora quasi l’unica incarnazione  della scuola di polis, dell’educazione sociale  laica e in tendenza anche di pace (i governi finiscono sempre per accostare la scuola alla guerra e al mondo militare), e lo sarà ancora quasi da sola, almeno fino a quando non avremo una vera nuova ondata di domanda sociale di istruzione, con rivendicazioni qualitative e non solo quantitative ben determinate da parte di famiglie e scolari, imprese e intellettuali,  cosa che sembra abbastanza lontana. Questo non significa rifiutare il concetto di intervento di valutatori esterni. Significa invece che non è possibile pensare a un sistema sano di valutazione a sostegno delle scuole senza combattere:

a. il nuovo tentativo di comprimere la libertà e direi la dignità dell’insegnamento collegando una presunta misurazione dei risultati al trattamento economico dei singoli;

b. il sistema di valutazione degli alunni che si usa nella scuole con gravi responsabilità culturali e storiche degli stessi insegnanti italiani che sembrano affezionatissimi a queste pratiche;

c. il sistema di certificazioni (cosiddette) di qualità fornite da pseudoenti che sono essi stessi per primi di oscura qualità e principi;

d. gli atteggiamenti difensivi di insegnanti e genitori;

e. il ruolo di (per lo più pavidi) rappresentanti del governo nelle scuole svolto dai dirigenti scolastici.

Invalsi è un carrozzone governativo autoritario e anche inefficiente e miserabile, visto come sfrutta il lavoro dei precari. I test a risposta chiusa possono misurare solo alcune conoscenze e  abilità elementari, inoltre sono facilmente falsificabili. I test rischiano di generare uno dei peggiori mostriciattoli, una scuola il cui obiettivo non dichiarato è insegnare a superare i test. La visione positivista del controllo oggettivo mediante test è dunque vecchia e superata ormai anche negli Usa loro patria, ovunque si riconosce che la valutazione deve avvalersi di strumenti complessi incrociati e di rendiconti discorsivi oltre che della presenza in luogo dei valutatori e di un approccio non ostile. Tutte le volte che qui di seguito si parla di misurazione dei risultati delle scuole si deve quindi intendere una misurazione approssimata, non deterministica, ottenuta mediante strumenti complessi e incrociati e non mediante una procedura meccanica e lineare, soprattutto si deve intendere una misurazione di percorso e che tiene conto del contesto sociale e non solo del banale risultato finale.

Dall’altro lato il futuro delle scuola pubbliche statali è affidato alla capacità di essere (o continuare ad essere) notoriamente superiori non solo nell’accoglienza nel pluralismo e nell’egualitarismo, ma anche e soprattutto nei risultati di apprendimento, quindi prima o poi esse devono accettare e anzi rivendicare un sistema di controllo della qualità non mercantile ma per quanto possibile scientifico.

La valutazione delle scuole d’altra parte è legata in molti modi  alla valutazione che fanno le scuole degli alunni. Purtroppo in questo momento il sistema dei voti in uso non misura (nel senso inteso sopra) i livelli raggiunti né i percorsi ma è un sistema burocratizzato di incentivi e sanzioni, adattato di volta in volta a considerazioni tattiche molto approssimative e improvvisate che poco hanno a che fare con il livello reale delle prestazioni (dinamicamente intese). Le schede e griglie poi di valutazione introdotte negli ultimi venti anni a integrazione del sistema dei voti numerici per la correzione delle prove scritte e orali e  inserite nei Pof sono in sostanza operazioni di maquillage, vissute come uno dei tanti adempimenti cartacei. La formulazione di obiettivi da raggiungere ai vari livelli inclusi sempre negli stessi Pof sono spesso giri di parole intepretabili ad libitum e a cui riferirsi con formule liberatorie nei verbali degli scrutini. La prassi nella correzione delle prove degli esami di Stato  è quella di dare una valutazione sintetica e solo a posteriori adattare a questa la compilazione della scheda analitica (anche perché l’inverso produrrebbe valutazioni bassissime e per lo più ingiuste, visto come sono fatte le schede). In conseguenza anche di tutto ciò è stato possibile l’esproprio di fatto dei risultati della maturità sostituiti per l’accesso universitario da improvvisati test selettivi e arbitrari, fatto grave e umiliante per le scuole, di cui non si parla abbastanza. La libertà di insegnamento è quindi minacciata dall’esterno ma anche dall’interno, dalla abitudine difensiva di adattamento formale alle nuove o vecchie norme e dall’incontrollabilità o inconfrontabilità dei criteri valutativi anche se questo è servito a difendere nicchie e territori di qualità dall’aggressione burocratica e dalla colonizzazione ministeriale.

Il ruolo dei genitori è stato anch’esso abbastanza adattativo e tattico e c’è poco interesse finora al livello di preparazione reale raggiunto dai figli, troppo alla promozione e al voto, il tipo di domanda di formazione che viene dalle famiglie è decisivo nel mantenimento o superamento di questo status quo ambiguo in cui l’insegnante/insegnamento che non crea grane è privilegiato, la facciata della scuola è accettata come sostanza e nessuno è spinto ad assumersi dei rischi, necessari per sviluppare la qualità.

Sarebbe dunque auspicabile che in futuro la parte democratica della scuola riuscisse a proporre e imporre una propria soluzione al problema della valutazione della qualità delle scuole, al di là della necessaria resistenza alla completa colonizzazione ministeriale di cui questo carneadesco Invalsi è il cavallo di Troia.

Potrebbe essere un sistema di ispezioni ma meglio chiamarlo di sostegno alle scuole che faccia interventi analitici e valutazioni discorsive, il tutto a campione o su specifica richiesta, senza valutatori permanenti: i membri di questo corpo potrebbero essere eletti dalle scuole per un triennio con aggiunta di professori universitari in missione, il lavoro di sostegno dovrebbe essere globale ma anche ben articolato per aree di apprendimento e mettere l’accento sui percorsi sui contenuti e le abilità non sulle procedure cartacee e legali (al contrario delle certificazioni di qualità in uso).

Accanto a ciò sarebbe bene recuperare in qualche modo la confrontabilità reale dei risultati dell’esame di stato e (solo successivamente) utilizzare questi risultati come credito principale per il diritto individuale di precedenza nelle iscrizioni universitarie. È da notare che le forze che portano avanti il potere dell’Invalsi sono anche quelle che hanno cercato di svuotare il ruolo di certificazione nazionale dell’esame di Stato.

Si può pensare a incentivi per chi lavora nelle scuole definite difficili e di frontiera (per esempio accumulo di due anni di anzianità per ogni anno).

Solo in seguito all’avvio di un sistema amichevole e di sostegno di può pensare anche a misure quali la chiusura delle scuole che per tot anni non riescono a modificare l’eventuale trend negativo, decisa dall’organismo centrale di sostegno ispezione del tutto indipendente dal ministero, il tutto nell’ottica di una riduzione dei poteri discrezionale del ministero in modo analogo a quelli del ministero della Giustizia a favore di organizzazioni imparziali e neutre di chiaro statuto scientifico e composizione indipendente.


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