De merito. I sistemi di valutazione nei Paesi dell'Unione Europea
di Pino Patroncini
da ècole
Premessa – Un po’ di storia. Nel dibattito sulla valutazione (Invalsi, Brunetta. Aprea ecc.) si sente spesso dire: «L’Italia è l’unico paese europeo che non ha la valutazione delle scuole o degli insegnanti». Questa è solo una mezza verità, perché, se è vero che l’Italia ha “poca valutazione”, nel senso anche di pochi strumenti di controllo e di verifica, normalmente questa affermazione sottintende un tipo di valutazione o una sua finalità specifica, mentre sarebbe più giusto parlare di valutazioni al plurale o di diverse finalità della valutazione.E poi sarebbe giusto capire che cosa si intende per valutazione oggi, che non è esattamente quello che si intendeva cinquanta o trenta anni fa.
Infatti il tema della valutazione, sia esso del sistema scolastico, delle singole scuole e degli insegnanti è un tema che ha acquistato peso a partire dalla fine degli anni ottanta (ricordo che il primo convegno dellaCGIL Scuola sultema è stato nel 1989, quando ministro era − mi pare − Mattarella). Il tutto era legato anche al tema della valorizzazione professionale, che però fino a quel momento aveva ruotato più sulla questione degli orari (la CGIL Scuolaera per il full-time, battuta nel “referendum” del1985 afavore della “incentivazione spicciola”, sostenuto dalla CISL, scelta che fu alla base dell’istituzione del fondo di incentivazione, oggi FIS) che su quella della qualità professionale del singolo insegnante.
Ma negli anni Novanta il tema della valutazione ha preso una piega più aziendalista e neoliberista, un po’ dovunque nel mondo, parallelamente a quello che avveniva nel resto del sistema economico (pensiamo ai controlli di qualità o di processo o all’ISO 9000).
La valutazione degli apprendimenti
La valutazione degli apprendimenti, quella di cui si discute oggi quando si parla di valutazione Invalsi, è legata direttamente questo tipo di valutazione.
Da questo punto di vista prima degli anni Settanta la valutazione degli apprendimenti su prove standardizzate nazionali era presente in parte del Regno Unito¹, in Lussemburgo e in Olanda. Negli anni settanta venne estesa a tutto il Regno Unito e introdotta in Irlanda, Malta e Ungheria (che allora era ancora paese comunista).
È interessante notare però che fino agli anni novanta la finalità di questa valutazione era essenzialmente legata alla carriera degli alunni, e solo a partire dagli anni novanta ha assunto anche altre finalità come valutare la qualità delle scuole, fare classifiche ai fini delle iscrizioni, o valutare indirettamente gli insegnanti.
A tutt’oggi, a dimostrazione che l’Italia non sarebbe l’unico, non si avvalgono di questa valutazione degli apprendimenti altri 5 paesi UE (Austria, Slovacchia, Cipro, Danimarca e Bulgaria).
Valutazione e/o controlli
Naturalmente dire che in quegli anni negli altri paesi non c’era la valutazione degli apprendimenti come la intendiamo oggi , non significa dire che non c’erano altre forme di controllo o di verifica.
E questo vale anche per noi. Se pensiamo ad esempio agli esami di stato italiani, con le loro commissioni esterne e con le prove scritte nazionali (una volta erano così anche alle medie e non solo alle superiori) un certo controllo ed un certo strumento c’era, anche se magari nessuno in passato si è mai preoccupato di raccogliere i dati e anche se è risaputo che i metri di valutazione potevano e possono essere tuttora diversi. C’è da chiedersi piuttosto perché i sostenitori della valutazione degli apprendimenti sono poi gli stessi che volevano abolire le commissioni esterne agli esami di stato.
In passato c’erano le note di qualifica che venivano date dai presidi ai docenti (io ho fatto in tempo ad averle). Furono abolite ne 1974 con i decreti delegati.
C’erano anche ricadute sulla carriera docente: c’era il merito distino (abolito anch’esso nel 1974). E c’è tuttora (pochi lo ricordano) il fatto che la sanzione disciplinare della sospensione dello stipendio comporta uno o due anni di blocco della progressione stipendiale a seconda delle lunghezza della sospensione comminata.
Ma l’Italia ha avuto un corpo ispettivo ridotto rispetto ad altri paesi (il sottoscritto ha però fatto in tempo a fare un esame di seconda elementare – sic! Una volta c’era- nel 1957 dove fu esaminato non dal proprio maestro ma da un ispettore inviato appositamente dal provveditorato) e questo ha sempre fatto sì che i controlli fossero più blandi. Altri paesi, pensiamo ad esempio alla Francia, hanno invece sempre avuto sistemi di verifica e di controllo più rigidi con corpi ispettivi abbastanza ampi e attivi.
Due modelli di valutazione
Anzi da questo punto di vista la valutazione o, se si preferisce il controllo, si può distinguere in due grandi modelli, distinti soprattutto dalla diversa finalità: il modello francese e quello inglese.
Il sistema scolastico inglese si è sempre ispirato un modello di autonomie scolastiche, con ampia libertà nei mezzi e nei processi. In un simile modello la verifica finale diventava lo strumento fondamentale per garantire la uniformità del sistema, il fatto che tutti i ragazzi pur in modi forme diverse avessero seguito un medesimo curricolo nazionale. Il controllo era perciò un controllo di risultati.
Il sistema scolastico francese al contrario ispirandosi ad una scuola repubblicana impegnata a garantire la preparazione del cittadino e uno zoccolo comune puntava a un’omogeneità nei processi di preparazione. «In questo momento in tutte le classi della Francia si sta facendo la stessa lezione sullo stesso argomento» diceva Jules Ferry. Il controllo era perciò un controllo di processi.
Il primo modello ha dato luogo allo sviluppo delle agenzie di verifica (Ofsted, National curriculum ecc.), il secondo ad un congruo sistema di ispettori nazionali. Il primo modello è più esposto alle sirene dell’aziendalismo, come dimostra la recente storia scolastica inglese. Il secondo è più refrattario, ma non di meno è esposto a verifiche. Nei miei contatti con i compagni francesi questi si meravigliavano dello scarso controllo valutativo sul nostro lavoro ma si offendevano se paragonavo le loro valutazione (nonché la loro giungla retributiva!) a quella degli inglesi.
Valutazione o valutazioni?
È il caso dunque di parlare di valutazioni e non di valutazione.
La valutazione infatti può differire rispetto
- al metodo di svolgimento: esterna/ interna (autovalutazione), a tappeto/ campionaria, obbligatoria/ raccomandata/ facoltativa, diretta/ indiretta;
- a prove nazionali strutturate/ a prove decise autonomamente;
- agli effetti: pubblicazione dei risultati/ non pubblicazione, effetti stipendiali/ nessun effetto stipendiale, finanziamenti alle scuole/ nessun finanziamento;
- agli obiettivi o agli oggetti: valutare il sistema/ le scuole/ gli insegnanti/ gli studenti, valutare gli apprendimenti/ le competenze/ le conoscenze ecc., valutare i servizi/ le performance;
- a chi valuta: soggetti esterni (agenzie)/ soggetti interni, dirigenti/ ispettori.
Chi valuta che cosa
Partendo da queste considerazioni possiamo dire che valutano sia le scuole che gli insegnanti il Portogallo, l’Irlanda, il Regno Unito,la Francia,la Germania,la Polonia,la Repubblica Ceca,la Slovacchia,la Lituania, la lettonia, l’Estonia, l’Olanda, Cipro e Malta.
Valutano invece solo le scuolela Spagna,la Slovenia,la Romania e il Belgio fiammingo.
Valutano solo gli insegnantila Grecia,la Bulgaria(lo faceva già in epoca comunista), il Belgio francofono e germanofono.
In Danimarca, Grecia, Portogallo, Regno Unito, Estonia e Spagna vi sono apposite agenzie, talvolta esterne, che procedono alle valutazioni. Nel resto dei paesi queste ultime sono affidate per lo più a ispettori, capi di istituo o speciali dipartimenti governativi.
Ci sono poi paesi dove lo Stato non controlla direttamente le scuole, che sono affidare ai comuni, e quindi lo Stato valuta questi ultimi. E’ il caso di Svezia, Danimarca e Finlandia.
Molti di questi valutano però a campione: è il caso di Estonia, Spagna, Belgio fiammingo, Lituania, Ungheria, Polonia e Finlandia. Più che di vere e proprie valutazioni si tratta quindi di inchieste per tenere testato il sistema.
I risultati delle valutazioni vengono pubblicati solo nel Regno Unito, Repubblica Ceca, Olanda, Portogallo, Svezia, Ungheria, Belgio fiammingo e Slovacchia. Comunque quasi tutti i paesi che effettuano valutazioni sulle scuole comunicano i risultati, se non al pubblico, agli enti locali.
Ricadute stipendiali della valutazione
Vi è poi il problema delle eventuali ricadute stipendiali legate alla/e valutazione/i. Non è detto infatti che la valutazione serva a stabilire stipendi diversi tra gli insegnanti. In molti casi serve solo come rendicontazione di funzionalità o come monitoraggio della situazione o come strumento per individuare problemi e progettare miglioramenti. In altri casi elementi di valutazione, fatti salvi gli elementi di manifesta incapacità, servono a determinare gli stipendi solo in seconda istanza.
Anche qui bisogna sfatare alcune credenze diffuse. Innanzi tutto quella che riguarda il cosiddetto merito, entità metafisica di difficile definizione, per altro. Comunque non è vero che l’Italia sia l’unico paese che non lo riconosce. E’ in compagnia di ben 11 altri paesi UE: Belgio, Repubblica Ceca, Spagna, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Austria, Finlandia e Scozia.
Poi quella riguardante le carriere: in primo luogo non è vero che le carriere siano di per sé di stimolo per la qualità degli insegnanti e della scuola. La scuola migliore d’Europa, quelle finlandese, non prevede nessuna carriera. Uno nasce insegnante e muore insegnante, a meno che, come da noi, non faccia il concorso a preside.
In secondo luogo non è vero che la carriera sia sempre alternativa agli scatti di anzianità, come vuole Brunetta ma come spesso si è sentito anche dire in Cgil: Francia, Germania, Spagna e altri paesi prevedono in forma diversa le carriere ma prevedono anche gli scatti di anzianità. Inoltre queste carriere anche se in qualche modo si legano a elementi di valutazione (ma talvolta solo indirettamente), non nascono in questi paesi dalla valutazione stessa, ma piuttosto dalla esistenza di “corpi” docenti ( noi in Italia diremmo ruoli) diversi nella attualità o nella storia di questi sistemi scolastici.
I casi tedesco e spagnolo
È il caso della Germania: qui esistono sette “corpi” diversi in relazione ad un sistema scolastico molto frammentato non solo per gradi ma anche per ordini: ci sono i maestri che insegnano nella scuola primaria, altri che insegnano nella secondaria inferiore di tipo professionale (hauptschule), ci sono professori che insegnano nella secondaria inferiore di tipo tecnico (realschule), altri in quella di tipo ginnasiale (gymnasium) e nel liceo, e altri ancora che insegnano nelle scuole tecniche superiori, altri nelle scuole speciali (sonderschule) per portatori di handicap o alunni in difficoltà. Per ognuno di questi ruoli corrispondono livelli di preparazione diversa che, tra studi universitari e percorsi abilitanti, variano dai 7 ai 12 semestri. La carriera consiste nel passare da uno all’altro di questi ruoli avendo colmato naturalmente i semestri mancanti². Solo in questo senso c’è una valutazione: come in ogni università o corso abilitante alla fine c’è comunque un esame.
La Spagnaha una situazione analoga ma più ridotta: ci sono maestri che insegnano alle elementari e altri nei primi due anni delle medie e poi professori della secondaria. Anche qui la carriera consiste nel passare da un ruolo all’altro, sempre avendo raggiunto i dovuti titoli (diplomadura e licienciadura). I professori arrivati ad una certa età possono concorrere a un posto di “cattedratico”, un po’ come da noi una volta c’era il merito distinto.
Il caso francese
InFrancia per lomeno l’origine delle carriere docenti è più o meno la stessa e risale a due fenomeni: l’espulsione dei gesuiti (che gestivano i licei) nel 1700 e la frammentazione scolastica che a livello di obbligo si è risolta in Francia solo nel 1975 con la costituzione della scuola media unica.
La espulsione dei gesuiti diede luogo alla predominanza degli agregès, denominazione che oggi indica i 50.000 superprofessori superpagati ma che in origine indicava i docenti laici dei licei. Corpo di elite perchè i licei ( come da noi per altro) erano di elite (e a pagamento nonostante fossero a un certo punto diventati statali), e comprendevano anche le cosiddette piccole classi, cioè le elementari e le medie indirizzate al liceo.
A fianco di queste scuole si erano sviluppate nell’ottocento le scuole comunali, frequentate dai figli delle classi popolari, inizialmente fino alla quinta elementare, poi con classi successive fino ai 14 anni di età ma tenute da maestri. Poi tra le due guerre furono istituiti anche college comunali (scuole medie preliceali a “prezzo ridotto”). Insomma negli anni cinquanta in Francia c’erano ancora ben cinque tipi di scuola media e nei sessanta tre.
In alcune insegnavano maestri e non professori. In altre insegnavano ora gli uni ora gli altri a seconda delle materie. In altre professori dei licei (laurea quadriennale detta maitrise) e in altra ancora professori ma con titoli inferiori (laurea triennale detta licence). Questi ultimi soprattutto furono il portato della scuola di massa: fu adottato per loro un concorso speciale, detto certification (meno difficile della agregation che reclutava gli agregè) e furono chiamati certifiè o con le sigle CAPES (secondaria) e CAPET (licei tecnologici e professionali). Ma fu data loro anche data la possibilità di passare da certifiè ad agregè dopo un certo numero di anni di ruolo mediante un concorso interno (agregation interne).
Data la limitatezza dei posti (sono appena 50.000 gli agregè) per permettere comunque progressioni di carriera i due ruoli furono sdoppiati e furono istituiti i cosiddetti hors-classes in cui si entra dopo sette anni nel ruolo di appartenenza con un concorso per titoli a cui concorrono anzianità e risultati ottenuti nelle valutazioni periodiche che fanno gli ispettori e i capi di istituto (da sempre, a prescindere da questa finalità).
In ognuno di questi ruoli sono state poi introdotte diverse velocità di percorrenza delle anzianità a cui si concorre con gli stessi punteggi: grand-choix 30%, choix 50% e progressione normale 20%. La progressione normale consente di raggiungere il massimo retributivo in 30 anni, la più veloce in 20.
Tutto ciò riguardava fino a pochi anni fa solo la scuola secondaria. Macon l’introduzione della laurea quinquennale per gli insegnanti elementari anche la scuola primaria si è trovata di fatto ad avere due corpi o ruoli distinti: gli istituteurs (titolo biennale dopo la maturità) e i professeurs des ecoles (titolo quinquennale). Anche agli istituteurs con una certa anzianità è stata data la possibilità di passare nel ruolo dei professeurs mediante un concorso per titoli interni in cui oltre all’anzianità contano le valutazioni periodiche degli ispettori.
Il caso polacco
Anche in Polonia coesistono avanzamenti stipendiali per anzianità (uno ogni due anni fino al 30° anno) con una carriera che prevede una valutazione.
Qui la cosa è pensata come una serie di step che portano progressivamente da una condizione “precaria” a una condizione sempre più stabilizzata: si inizia come apprendista, poi si passa a contratto, poi a nomina e infine a insegnante di carriera. Ognuno di questi passaggi richiede la qualifica richiesta, un periodo di pratica valutato e l’approvazione di commissioni diverse a seconda del passaggio.
L’avanzamento d’anzianità tuttavia non è molto elevato: 30% in trenta anni!
I casi inglese e portoghese
Situazioni in cui l’avanzamento stipendiale è invece esclusivamente legato alla valutazione sono quella inglese e quella portoghese.
Nel caso inglese l’insegnante per ottenere il passaggio di gradone deve sottoporsi ad una valutazione periodica concordata, che non esclude l’ispezione e l’osservazione in classe. Il ruolo decisivo lo ha comunque il capo di istituto che, sentito il valutatore, ha la facoltà di raccomandare all’organo di gestione la collocazione stipendiale dell’insegnante.
In caso di cambio di scuola tuttavia il ciclo di valutazione può ricominciare dall’inizio. La progressione è veloce: può avvenire in 5 anni con un avanzamento all’anno.
Dal 2000 è stata istituita anche una seconda scala per cui l’insegnante può, sempre in base a valutazione, chiedere il passaggio. In questo caso ci si aspetta che l’insegnante si renda disponibile anche per compiti di responsabilità anche se questi non sono esplicitamente elencati in partenza ma solo nel contratto finale. Il passaggio a questa seconda scala richiede una valutazione di performance, fatta dal capo di istituto ma stavolta confermata da un esaminatore esterno appositamente formato a livello nazionale. Compito del candidato è dimostrare i risultati raggiunti sulla base di criteri nazionali.
Esiste anche la possibilità di un passaggio ad un terzo ruolo, quello dell’advanced skill teacher, che avviene con una valutazione esclusivamente esterna e che obbliga a lavorare solo per l’80% nelle proprie classi e per il 20% a fornire supporto organizzativo e didattico ad altre scuole o classi.
Anche in Portogallo l’avanzamento stipendiale è ormai esclusivamente legato a una valutazione, che viene fatta sulla base della relazione di un docente che deve rendicontare ogni tre o quattro anni (due all’inizio, e cinque alla fine) il lavoro svolto per ottenere il passaggio al gradone stipendiale successivo. Se la valutazione dovesse risultare per due volte negativa l’insegnante viene allontanato dall’insegnamento e riconvertito. Vi è anche una valutazione straordinaria a cui un insegnante può sottoporsi alla fine di un periodo di formazione specialistica o cumulando 15 anni di servizio e un risultato massimo nelle valutazioni ordinarie.
Ultimamente in Portogallo vi è stato un giro di vite del governo (socialista!) che ha appesantito i controlli e le verifiche (le rendicontazioni sarebbero meno autogestite di quanto fossero prima) determinando uno scontro con i lavoratori della scuola e i sindacati.
Conclusioni
Come si può vedere è comunque difficile giungere a generalizzazioni sia sul fronte della valutazione di sistemi scolastici o delle scuole che su quello degli insegnanti. Questo dovrebbe imporre a tutti di andarci più cauti su aspetti di questo genere.
Non esiste un modello unico collaudato di valutazione di sistema. Perciò se rivuole diffondere una cultura della valutazione piuttosto che copiare a caso o inventarsi un altro sistema ancora sarebbe meglio partire dalla diffusione e dalla discussione diffusa dei dati che ci sono già.
Quanto alla valorizzazione del lavoro degli insegnanti, più che da una valutazione che ancora è tutta da costruire, se proprio si vuole partire con un ragionamento di carriere (comunque non ce lo ordina il dottore!) si può partire dai più evidenti scompensi retributivi: che dire, ad esempio, delle maestre, che oggi si pretendono laureate, e che ancora si tengono bloccate al sesto livello?
NOTE
1. I paesi UE sono 27 ma i sistemi scolastici sono almeno 35 perché il Regno Unito ne ha 4 (Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord), il Belgio 3 (a seconda delle comunità linguistiche) ela Germania, dove la scuola dipende dai 16 Laender, ne ha praticamente 4.
2.La Germaniaè anche uno degli 11 paesi UE che riconosce un incentivi alla formazione (compreso il raggiungimento di titoli superiori o diversi da quelli utili per il ruolo occupato). Gli altri sono il Belgio fiammingo,la Danimarca, l’Estonia,la Spagna,la Lituania, l’Ungheria, l’Olanda,la Poloniaela Svezia.