De Luca non sa che i bambini preferiscono stare in aula
Un teatrino ormai diventato stucchevole e crudele. Stavolta De Luca bullizza una bambina
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di Fabrizio Roncone
Puntuale, come ogni venerdì, Vincenzo De Luca interviene su Facebook. Collegato in diretta, seduto alla scrivania, sicuro nella sua personale liturgia visionaria, grottesca, un miscuglio di propaganda e puro cabaret. Un teatrino ormai diventato stucche-vole e crudele. Stavolta De Luca bullizza una bambi-na. Il governatore della Campania sta lì a spiegarci le misure che ha adottato per le scuole, annuncia che da lunedì chiuderà anche quelle dell’infanzia. Poi — sapete come fa, è il solito trucco — di colpo rallenta, sospira, la voce gli si spezza. Lo sguardo vitreo, i denti serrati.
Qualche secondo di pausa. Poi subito riparte e racconta che lui, in queste settimane, non ha mai incontrato neanche una mamma disposta a portare i figli a scuola, tutte le mamme hanno compreso la gravità dei dati del contagio. «E tuttavia mi è capitato di vedere un’intervista a una mammina, con una bella mascherina di tenden-za...». Il giornalista, continua De Luca, ha chiesto a questa signora cosa pensasse della chiusura delle scuole, e allora lei ha risposto che sua figlia, piangendo, le ha detto di volerci proprio andare, a scuola, perché vuole imparare a scrivere.
«Credo sia l’unica bambina d’Italia che piange per andare a scuola... Questa povera figlia evidentemente è una Ogm, cresciuta con latte al plutonio». Lasciamo stare l’aggressività delle parole. Si commenta da sola. Qualcuno dovrebbe però spiegare a De Luca — il cui immaginario è chiara-mente fermo a Gian Burrasca interpretato da Rita Pavone — che le scuole italiane possono avere muri scrostati e termosifoni spenti: ma sono luoghi dove i bambi-ni vanno volentieri. Lo abbiamo capito durante lo scorso lockdown. Noi sui balconi e loro lì, tristi, nella solitudine della loro cameretta (i fortunati che ne hanno una). Senza più voglia di disegnare, stanchi persino dei video-giochi. A tutti mancava il compagno, la compagna di banco. Quel dolcissimo rumore della campanella.