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Dazebao.org: Educazione e formazione. Com-petitività e Com-petenza

di Renata Puleo

16/06/2010
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Dazebao.org

Lavorare rende liberi. Lavorare stanca. Lavorare è fatica.: tre frasi, apparentemente logorate dall’uso, in realtà ricche ancora di vividezza metaforica e della forza del senso comune. La prima con i suoi echi concentrazionari, la seconda e la terza con l’ evidenza icastica consegnata alla memoria da un verso di Pavese e dal dialetto napoletano.

Nell’insieme di pratiche trasformative che rendono l’essere umano linguistico e laborans, c’è tutta la stratificazione culturale, colta e non, dell’immaginario collettivo. Parola e lavoro: mai come in questo inizio di secolo la connessione è stata evidente, attraversa le pratiche sociali, la legislazione, la tecnologia, e molto altro. Nel molto altro, e non certo lateralmente, sta il pensiero intorno all’educazione, che oggi si preferisce includere nel termine formazione.

Parola dalle frontiere mobili, definisce il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e l’avvio al lavorare adulto. Formar-si, come uscita dalla manipolazione adulta verso l’autonoma definizione del proprio spazio nel mondo. Passaggio per il quale sono sempre serviti, sia adulti in grado di spingere lontano la creatura piccola presa in cura, sia esperienze autentiche, e magari buoni libri. Formare, dove nella transitività del verbo si esprime l’effetto, sul soggetto da mettere in forma, della ideologia dominante. Per analizzare il nesso fra educazione e lavoro bisogna tornare ad interrogare le categorie socio-economiche e chiedersi, in questo ottuso scenario tardo-capitalista, che significano libertà e autonomia.

Sulla base di quelle che sono state definite le cambiali di Lisbona, in molti testi di commento alle direttive europee si può leggere che la Repubblica promuove l’apprendimento in tutto l’arco della vita, assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, coerenti con le attitudini e le scelte personali adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, con riguardo alle dimensioni locali, nazionale e europea. Istituzioni scolastiche, aziende e soggetti accreditati sono chiamati a realizzare il diritto-dovere di cui parlano i testi di ispirazione europea. Per inciso, va ricordato che il sistema dell’accreditamento svolge funzioni prima esclusivamente pubbliche, ed ha già creato in molti contesti terribili danni. Dunque, il diritto di cui si parla è di ricevere un’istruzione e di trovare un lavoro.

Il dovere consiste nell’effetto di restituzione di un sapere acquisito alla società in cui si vive. La crisi economica nella quale ci stiamo dibattendo, ci viene detto, è risolvibile mediante una spinta ad entrare sempre più nella logica della competizione come compra-vendita dei linguaggi, dei saperi, dei corpi. Amara, cinica, ricomposizione del corpo-mente operata dal mercato che, con la forza lavoro, compra anche la fatica fatta di pensieri e di parole. Competere sul mercato si traduce in competizione fra lavoratori, in un marasma legislativo che li vuole, da un lato liberi, come lo erano i contadini trasformati in forza lavoro all’inizio dell’era industriale, dall’altro subordinati alle regole del miglior offerente. Com-petitività e com-petenza hanno la stessa radice semantica, ma la cosa non consola. Nella capacità di dirigersi verso, di interrogare l’Altro nel fare comune, sta il significato profondo dei due termini. Questo ha ancora senso nelle attuali forme assunte dal lavoro e dal sistema educativo?


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