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Dalla rinascita al declino

di Pietro Greco

06/03/2013
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l'Unità

«È il giorno più felice della mia vita!». La Città della Scienza che è bruciata ieri notte a Bagnoli – l’antico quartiere operaio di quella che era la terza città più industrializzata d’Italia, Napoli – ha ricevuto molti importanti riconoscimenti. Per intenderci: il suo fondatore, Vittorio Silvestrini, fisico di grande classe, uomo dotato di pensiero visionario, è l’unico italiano ad aver vinto il Premio Descartes dell’Unione Europea per la Comunicazione della Scienza. Ma nessun riconoscimento eguaglia quello di questa bambina di colore, alunna di una scuola elementare di uno dei quartieri più poveri di Napoli, entrata qualche mese fa per la prima volta nella Città della Scienza perché co-protagonista, con i suoi compagni, di un progetto di ricerca sulla sostenibilità ecologica. La bambina si è divertita, imparando ma anche insegnando. Com’è nella missione di un museo scientifico di nuova generazione. Ecco cosa rischiano di perdere Napoli e l’Italia intera se la Città della Scienza non verrà prontamente ricostruita: un luogo dove si crea – con fatica, ma con intensità – una matura e solidale cittadinanza scientifica. Dove ogni anno 350mila visitatori – ma è giusto dire attori – per lo più giovani e giovanissimi sperimentano la costruzione partecipata di una moderna e democratica società della conoscenza.
Ma c’è di più. La Città della Scienza era (è) un modello di sviluppo economico sostenibile. Fornisce un’indicazione concreta – forse l’unica possibile – alla città e al Paese. Denuncia clamorose mancanze. Non più di trent’anni fa Bagnoli era un’immensa area produttiva che con l’Ilva poi Italsider poi ancora Ilva, con altre grandi fabbriche e con l’indotto dava occupazione a circa 15mila persone. Il quartiere era il cuore pulsante di Napoli, città industriale. Oggi Bagnoli è un deserto. Un deserto post-industriale. Un deserto inquinato. L’unico fiore produttivo era (è) Città della scienza, che dà lavoro a poco un centinaio di persone: una media azienda.
Poi è venuta quella che Ermanno Rea ha chiamato la dismissione. E Napoli è rimasta senza industrie. E senza idee. Non ha saputo leggere, non ha saputo trovare un posto nel nuovo mondo che stava emergendo. Che non è solo quello della nuova globalizzazione. E neppure solo quello delle speculazioni finanziarie. È anche quello dell’economia fondata sui sapere. Della produzione di beni il cui valore è dato dall’alto tasso di conoscenza aggiunto. Napoli – questa è stata la grande intuizione di Vittorio Silvestrini, fisico dal pensiero visionario, ovvero capace di visione – doveva reagire alla condizione di declino puntando sulla costruzione di una società democratica della conoscenza.
Ed è così che, insieme a un gruppo di collaboratori di grandi capacità, ha creato dal nulla la Città della Scienza, la più grande d’Italia. Una delle più grandi e originali d’Europa. Una città che ha tre caratteristiche. La prima è quella – tipica di un museo scientifico di nuova generazione – di promuovere la cultura scientifica. Di luogo in cui si apprende non solo e non tanto la scienza, ma il ragionamento scientifico, che, come si sa, è un sofisticato gioco (e la parola non è casuale) tra il pensiero razionale rigoroso (le certe dimostrazioni di Galileo) e di verifica empirica (le sensate esperienze di Galileo). I musei di nuova generazione sono «hands on», come dicono gli inglesi: dove è vietato non toccare. Dove le esperienze sono davvero sensate, fatte con i sensi. Ma i musei di nuova generazione sono anche quelli dove «si toccano» gli argomenti sensibili al confine tra scienza e società. La palestra dove si allena la cittadinanza scientifica. È il luogo fisico delle «sensate esperienze», con le sue tre palestre, l’Officina dei Piccoli, il Planetario, gli spazi per le mostre permanenti e temporanee che ieri notte è andato distrutto.
Il secondo carattere della Città della Scienza è quello di luogo di incubazione di imprese. Di luogo dove si stimola la crescita di attività produttive fondate sulla conoscenza. Neppure questa è un’idea originale in sé. Cosa sono gli i «Parchi della Scienza» se non luoghi che si propongono di creare nuova impresa? Ma l’originalità a Bagnoli è nell’aver messo insieme cittadinanza ed economia. Partecipazione politica e imprenditorialità sostenibile.
Non basta. C’è un terzo carattere che rende unica la Città della Scienza di Bagnoli. La mancanza di ogni sciovinismo scientista. L’idea forte che la cultura dell’uomo è una e una sola. E che si può imparare giocando e integrando, piuttosto che faticando e dividendo. Non mancano, alla Città della Scienza, i punti deboli. Eppure tutti riconoscono che quello di Bagnoli è un fiore dai colori vivacissimi. Il guaio è che è un fiore che brilla nel deserto. L’esempio non è stato imitato. L’indicazione non è stata seguita. Bagnoli e Napoli sono rimaste, appunto, un deserto industriale.
L’Italia intera un concentrato di vecchia industria. Altrove non è andata così. La Ruhr, in Germania, ha subito un processo di de-industrializzazione ancora più profondo ed esteso di quello napoletano. Ma lì, nella Ruhr, hanno saputo reagire. Hanno disinquinato e riqualificato il territorio. Hanno ricostruito un nuovo tessuto produttivo, fondato sulla conoscenza. Proprio come indica il modello di Silvestrini.
Ma il fisico emiliano non si è trovato solo nella condizione del visionario inascoltato. La Città della Scienza di Bagnoli ha avuto, negli ultimi anni, difficoltà finanziarie. Per colpe essenzialmente non sue. Vanta una montagna di crediti, soprattutto dallo Stato che, nelle sue diverse articolazione, non rispetta gli impegni. Città della Scienza ha dovuto così costruire una collina di debiti. La collina è cresciuta e ora sta divorando la montagna, nell’indifferenza di una parte rilevante di Napoli e dell’intero Paese. Per tutti questi motivi l’incendio di ieri notte non è solo una drammatica e concreta realtà. È anche una metafora. La metafora di una metropoli, di Paese, di un modello economico che sono in declino e non sanno di esserlo. Che si rifiutano di riconoscerlo. Che non riescono a trovare una soluzione.
«Ricostruiamo», ha dichiarato ieri a caldo Vittorio Silvestrini con indomita determinazione. Non sarà facile. Ma non c’è altra possibilità. Se la Città della Scienza sarà ricostruita in tempi rapidi, allora significa che Napoli e l’Italia hanno ancora una capacità reattiva. Se la Città della Scienza non sarà ricostruita in tempi brevi significa che il declino, nel golfo e nel Paese, è ormai irreversibile


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