Da 15 anni niente soldi per la scuola
Sprechi a parte e corruzione, ma a conti fatti la spesa per l’insegnamento e l’edilizia scolastica praticamente non s’è mossa. Lo rivela un’analisi di due studiosi, Nicola Salerno e Stefania Gabriele, che hanno anticipato i risultati macro più importanti
Pasquale Almirante
Dal 1996 al 2012, anticipa Il Sole 24 Ore, la spesa complessiva in termini reali, ovvero deflazionati sulla base della serie storica dell’indice IPC Istat, risulta invariata.
Significa che i circa 54 miliardi contabilizzati nel 2011 equivalgono, in termini di parità di potere di acquisto, all’aggregato di uscite registrato nel 1996. La spesa in questione va dai servizi per la pre-infanzia fino al completamento delle scuole medie superiori; ovvero per utenti da 0 a 19 anni.
In pratica la costante retorica secondo cui «non bisogna mai disinvestire sull’istruzione» è solo retorica, perché si è proceduto al contrario.
Ecco allora il primo “fatto stilizzato” sulla curva della spesa in conto capitale, che dal ’96 al 2001 s’impenna fino a valori doppi per poi crollare subito dopo, a causa dell’entrata in vigore il Patto di stabilità interna (2001), quell’elegante strumento che in un assetto di semi-federalismo fiscale e amministrativo come il nostro s’è tradotto in un taglio secco ai trasferimenti dalla Stato alle amministrazioni periferiche.
Il secondo “fatto stilizzato” lo si incontra poi tra il 2008 e il 2009, seguendo questa volta la curva della spesa corrente. Dopo aver zigzagato attorno a un più o meno 20% è riprecipitata sugli stessi valori reali nel 1996 dopo i tagli lineari varati dal Governo Berlusconi (ministro dell’Economia Giulio Tremonti e al Miur Mariastella Gelmini).
Naturalmente, si legge sempre sul Sole 24 Ore, la non-crescita della spesa pubblica per la scuola è stata diversa tra il 1996 e il 2012, tra regione e regione.
Ci sono casi in s’è verificato un taglio secco per le uscite in conto capitale (Basilicata, Sicilia e Liguria) e casi in cui le variazioni di crescita percentuale annua sono ben sopra l’inflazione.
Due esempi per tutti:in Basilicata la spesa nominale è passata dai 36,4 milioni di euro del ’96 ai 22,8 del 2012 (-2,33% annuo), mentre in Umbria l’andamento è stato opposto, con variazioni annue del +9,62%.
Minori ma non meno importati le divaricazioni sulla spesa corrente, cresciuta in termini nominali dell’1,22% annuo nel quindicennio in Basilicata, mentre nella più ricca e fortunata provincia autonoma di Bolzano è lievitava anno dopo anno su medie del 7,49%.
A gennaio, quando il Governo varerà il piano per la buona scuola, sarà bene tener sotto mano le tabelle e l’analisi dei due studiosi, che possono tornare molto utili