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«Costretti a fare ricerca in un sottoscala»

Giorgio Stassi è nella Équipe che ha scoperto l’interruttore delle cellule tumorali del colon retto Lavora grazie alle Donazioni del 5per mille «Quante mortificazioni»

08/03/2014
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l'Unità

MARIAGRAZIA GERINA

Certo dispiace non poter mettere neppure un ringraziamento allo Stato…». L’amarezza non abbandona mai il ricercatore italiano, nemmeno nel momento del successo. Giorgio Stassi, endocrinologo e ricercatore del Cnr, ha appena pubblicato un importante articolo sulla rivista internazionale CellStemCell in cui spiega come si possono bloccare le cellule staminali tumorali, responsabili delle metastasi nel tumore al colon. La scoperta fatta nel laboratorio di Fisiopatologia Cellulare e Molecolare di Palermo da lui diretto, in collaborazione con l’Istituto nazionale di tumori Regina Elena di Roma, è una di quelle notizie che dovrebbe ridare lustro all’Italia. E invece purtroppo quella che il professor Stassi racconta è la storia di una ricerca condotta a dispetto dello Stato, che dallo Stato si è vista chiudere in faccia tutte le porte. Eh no, Giorgio Stassi, palermitano tornato in Italia dopo una lunga fuga «statunitense», e i suoi 22 giovani ricercatori, quasi tutti under 30 con contratti a termine, pagati con fondi raggranellati tra un progetto e l’altro, non hanno molti ringraziamenti da fare allo Stato italiano. Da undici anni lavorano in un sottoscala. Nel Policlinico di Palermo non hanno trovato un posto più adatto per il laboratorio di Fisiopatologia Cellulare e Molecolare da lui diretto. «Almeno siamo proprio sotto la sale operatorie della chirurgia d’urgenza, una posizione strategica», si schermisce dal suo “sottosuolo” d’avanguardia il professore: «Certo stiamo parecchio stretti, siamo senza finestre e l’aria, a dirla tutta, è piuttosto rarefatta». Adesso sembra che verranno trasferiti “ai piani alti” del Policlinico. Ma non è quello che li farà sentire meno da “sottosuolo”. «La verità chiosa, amaro, Stassi è che in Italia la ricerca è tutta relegata nei sottoscala, non so se Renzi cambierà qualcosa, me lo auguro, ma noi ricercatori volenterosi dallo Stato non ci aspettiamo più nulla». In realtà, a ottenere qualcosa dallo Stato per mandare avanti lo studio sulle cellule staminali tumorali nel tumore al colon il professor Stassi ci hanno provato fino all’ultimo. «Per due volte abbiamo chiesto al ministero della Ricerca di poter accedere ai finanziamenti per i Progetti di interesse nazionale, per due volte siamo rimasti a mani vuote», racconta Stassi: «Si trattava di appena 50mila euro l’anno, i giudizi dei revisori esterni erano molto buoni, ma il ministero ci ha escluso, assegnandoci un punteggio di 0,25 più basso di quello richiesto. Insieme ad altri ricercatori abbiamo scritto per protestare contro i criteri adottati, non abbiamo mai avuto risposta». Stassi non si è dato per vinto e ha ripresentato il progetto sulle cellule staminali tumorali al ministero della Sanità per un finanziamento da 350mila euro in tre anni. Niente da fare: anche in questo caso le referenze internazionali non sono bastate. Risultato: in fondo all’articolo pubblicato su CellStemCell gli unici ringraziamenti sono per l’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. «A me dispiace firmare uno studio e dire e denunciare che lo Stato non mi ha sostenuto, è imbarazzante davanti ai colleghi degli altri paesi, ma è così». La ricerca che permetterà di bloccare le metastasi nel tumore al colon è costata appena 400mila euro in tre anni, ma ha visto la luce solo grazie ai fondi stanziati dall’Airc. «Altro che meritocrazia», si spazientisce Stassi, reduce da un’altra vicenda kafkiana. Per la seconda volta ha concorso per diventare Direttore dell’Istituto di biologia molecolare e immunologia del Cnr di Palermo. Selezionato come migliore candidato insieme ad altri due colleghi, si è visto sospendere la nomina perché al colloquio finale gli altri due concorrenti non si sono presentati. Era già stata emanata una delibera per cancellare tutta la procedura e ripartire da capo, poi il Cnr ha fatto marcia indietro, ma ancora non è chiaro come andrà a finire. «Per questa storia ho scritto anche a Renzi, sa», racconta Stassi. Una lettera che si conclude con una profezia amara: «I nostri figli non cresceranno in questa terra logorata dal sistema». Anche Stassi, in realtà, se ne era andato a lavorare in un prestigioso istituto di ricerca a Pittsburgh. Lì conobbe Ignazio Marino, all’epoca anche lui giovane cervello in fuga. «Era un chirurgo bravissimo». Poi, per ragioni diverse, tutti e due sono tornati in Italia. «Nel mio caso si trattò di una decisione familiare: stava per nascere il mio primo figlio e mia moglie voleva crescerlo qui», racconta Stassi. Un ritorno che fin dall’inizio ha avuto il sapore di una discesa “agli Inferi”. Dagli Usa a Roma, da Roma a Palermo. «Il rientro dagli Stati Uniti non è stato così doloroso quanto quello in Sicilia», ricorda Stassi. E non importa se dalla sua Palermo ora si è preso l’ennesima rivincita. «L’Italia è piena di ricercatori volenterosi, ma le istituzioni continuano a relegarli nel sottoscala». Per questo dal primo settembre il figlio che voleva crescere in Italia se ne andrà a studiare Boston: «Vuole fare l’ingegnere, magari un giorno lavorerà al Mit. E spero che lì resti». 


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