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“Così scopriamo i geni non basta essere i primi della classe”

Anna Maria Roncoroni, dirigente del Mensa: il lavoro di selezione è complesso, in Italia le eccellenze sono alcune decine di migliaia

01/10/2016
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la Repubblica

Elena Dusi

E' in genere tra la fine delle elementari e l’inizio delle medie che un piccolo talento diventa riconoscibile. «Temo che alla fine del liceo possa essere tardi. Rischiamo di lasciare per stradatalenti non valorizzati» dice Anna Maria Roncoroni, psicologa, socia del Mensa (l’associazione internazionale che raccoglie il 2% della popolazione più intelligente del mondo) e responsabile dei programmi per gli under 16, presidentessa dell’Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione e rappresentante italiana allo European Council for High Ability.

Di quanti ragazzi stiamo parlando?
«Di circa il 2% della popolazione scolastica. In tutto in Italia saranno alcune decine di migliaia di ragazzi, se non oltre».
Come si riconoscono?
«La capacità di riconoscerli non si improvvisa, e allo stesso tempo è il cardine di qualunque programma di valorizzazione. L’eccellenza scolastica è il primo criterio cui si spesso si va a guardare, ma non necessariamente è il migliore. I ragazzi più preparati infatti non sono necessariamente i più talentuosi. Alcuni di loro considerano la scuola noiosa e troppo nozionistica. Altri hanno problemi a relazionarsi con gli altri, e questo potrebbe incidere sui voti. Poi ci sono i geni del computer che si danno da fare fuori dalla scuola, magari trascurando il loro lavoro sui banchi. Nemmeno il quoziente intellettivo è un criterio valido sempre. Scovare i piccoli geni è un lavoro di scouting che non ha regole fisse ed è molto delicato. Dovrebbe essere affidato a dei professionisti ».
Come funziona all’estero?
«Moltissimi paesi hanno programmi speciali per questi ragazzi. L’Italia è abbastanza in ritardo da questo punto di vista. In Israele i bambini fra 7 e 9 anni vengono sottoposti a test sia linguistici che matematici. Anche in Gran Bretagna la selezione avviene presto. Olanda, Germania e Austria hanno delle scuole ad hoc, o delle sezioni speciali all’interno delle scuole normali. A questi ragazzi viene consentito, per esempio, di seguire materie nelle classi superiori. In Italia questo viene permesso a volte, grazie alle regole sull’autonomia scolastica, quando uno stesso istituto ospita elementari e medie. Ma poi ci si scontra con il tetto delle superiori. Lì la mobilità verticale in genere si blocca».
Qual è l’età migliore per iniziare a coltivare un giovane talento?
«Credo che l’età migliore per essere inseriti in un percorso speciale sia quella delle scuole medie, quando il carattere, l’emotività e la capacità di avere relazioni con gli altri si sono consolidati. Resta ovviamente fondamentale che il ragazzo abbia voglia di seguire una strada più rapida. Altrimenti bisogna rispettare il suo desiderio e aspettarlo. Alcuni ragazzi sono ad esempio molto dotati, ma non sanno reggere alla pressione».
I problemi emotivi sono molto diffusi fra questi ragazzi?
«Non più del resto della popolazione ».
Una volta scovato, qual è il modo migliore per valorizzare un piccolo genio?
«Rendere flessibile il suo percorso scolastico fin dall’inizio. Per questo intervenire alla fine del liceo secondo me è tardi. Un ragazzo dotato dovrebbe avere la possibilità di accedere all’università dopo 11 anni di studio, saltando un paio di classi, e dovrebbe avere la possibilità di laurearsi prima del tempo. Il modello cui penso è un po’ quello dei vecchi conservatori, in cui il percorso era flessibile e si adattava alle capacità dello studente, rendendo possibile diplomarsi a 14 anni. Oggi i ragazzi talentuosi all’estero hanno un dottorato anche a 21 anni. Da noi è impossibile far prima dei 23, quando si è saltato un anno e si è scelta una scuola internazionale. Il risultato? Molti di questi geni si annoiano tantissimo a scuola e appena possono, all’università, vanno all’estero».

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