Cosa vogliono le famiglie
L'emergenza asili nido
Chiara Saraceno
Sarà il governo degli asili nido ha affermato Il nuovo ministro dell’Economia appena insediato, probabilmente lasciando nello sconcerto chi si aspettava priorità più hard. E il nuovo-vecchio presidente del Consiglio nella lunga lista di cose da fare di cui sono state piene le dichiarazioni programmatiche ha parlato esplicitamente di contrasto alla povertà educativa, di investimento sui bambini fin dalla più tenera età, per contrastare la cristallizzazione delle disuguaglianze sociali che si formano già nei primi anni di vita. Il tutto in un’ottica di sostegno alle scelte di fecondità.
Non possiamo che rallegrarci che i bisogni educativi della prima infanzia siano entrati, almeno simbolicamente, nell’agenda politica, anche se non è la prima volta. Promesse in questo campo, così come su una razionalizzazione del frammentato sistema di trasferimenti legati alla presenza di figli, sono state fatte da tutti i diversi governi che si sono succeduti in questi anni. Sono rimaste per lo più lettera morta, sconfitte da altre priorità o dalla difficoltà di avviare un serio ridisegno delle politiche per l’infanzia. Talvolta rese più difficili dall’introduzione di un ennesimo bonus. Anche l’annuncio del nuovo governo di azzerare il costo del nido per i redditi bassi, pur motivato da buone intenzioni, rischia di fare un buco nell’acqua. Già oggi, infatti, il costo del nido per le famiglie a basso reddito è praticamente azzerato nella maggioranza dei Comuni, anche se i criteri, non solo per definire la retta, ma anche per stabilire priorità di accesso possono variare molto da un Comune all’altro. Il costo può sicuramente essere un vincolo per famiglie a reddito medio, che possono trovarsi nella fascia più alta, insieme ai più abbienti. Definire i nidi un servizio educativo a tutti gli effetti, com’è la scuola dell’infanzia e elementare, e non a domanda individuale, imporrebbe di rivedere la distribuzione dei costi. Aiuterebbe anche le famiglie in cui la mamma non è occupata o c’è una nonna disponibile, a interrogarsi sulle opportunità di sviluppo cognitivo e relazionale che in questo modo negano ai loro figli. Certo, occorre che l’offerta di nidi sia molto più abbondante dell’attuale, per coprire potenzialmente tutti i bambini sopra l’anno di vita, e di buona qualità. Occorre anche introdurre maggiore flessibilità nel modello organizzativo, per venire incontro sia alle diverse necessità delle famiglie, dei genitori, non tanto per allungare il tempo di frequenza, quanto un uso più modulare e facendo dei nidi luoghi dove i genitori possono trovare consulenze competenti su come meglio agire il proprio ruolo genitoriali.
La consapevolezza che ci troviamo ad un passaggio cruciale, che non può essere affrontato con proclami spot e neppure con soluzioni semplicistiche ha mosso un gruppo di studiosi/e e di importanti associazioni che lavorano con i bambini in vari settori a provare a verificare se sia possibile mettere insieme competenze e punti di vista, in funzione di advocacy , senza nulla togliere alla specificità di ciascuno, anzi per creare sinergie e massa critica importante. Perché il benessere dei bambini non rimanga un riferimento rituale in una agenda politica che ha tutt’ altre priorità.