Corriere: Usa, la guerra del plagio tra studenti e docenti
Tempi difficili per la generazione del «copia e incolla», decollata con Internet. Una facoltà scopre che 40 ingegneri si sono laureati con lavori altrui e chiede di ripetere le prove
Linea dura nei campus sulle tesi copiate. Arriva un software che smaschera chi imbroglia
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Tempi duri, in America, per la «generazione copia e incolla». Quando arrivano nelle università, gli studenti vengono catechizzati, in primo luogo, sulle tecniche da seguire per redigere un lavoro accademico «corretto». E se vengono sorpresi a copiare saggi e tesi, le sanzioni, un tempo assai blande, sono ormai pesanti: sospensioni, nei casi più gravi espulsioni e, a volte, perfino la revoca della laurea.
Il plagio in campo artistico o l'appropriazione indebita parziale o totale di testi altrui nelle accademie sono fenomeni vecchi come il mondo. Che per molto tempo non hanno fatto scandalo: Shakespeare ha tratto la trama di diversi lavori teatrali dalle opere dei suoi contemporanei, senza vedere intaccata per questo la sua fama. Anche le biblioteche universitarie sono state popolate per secoli di alacri ricopiatori di prose altrui. «Se copi un autore commetti un plagio, ma se ne copi molti fai una ricerca» è un vecchio adagio che rende bene il clima di tolleranza per un fenomeno a lungo considerato quasi fisiologico.
Una tolleranza ancora diffusa in molti Paesi, dalle università italiane a quelle cinesi, ma non più in quelli anglosassoni dove — tanto nell'arte quanto nelle accademie — il 2006 è stato l'anno della lotta senza quartiere al plagio. Con una variegata coda di eccessi e situazioni grottesche.
PLAGI CELEBRI — DanBrown è stato processato, ma è sopravvissuto all'accusa di aver copiato da un altro autore la trama del Codice da Vinci, mentre Kaavya Viswanathan, studentessa di Harvard e autrice di un romanzo di grande successo ( How Opal Metha Got Kissed, Got Wild and Got a Life) è stata messa alla berlina da tutta la stampa — fino all'umiliazione suprema del ritiro dell'opera dalle librerie deciso dall'editore — dopo che l'Harvard Crimson, il giornale del campus, aveva scoperto interi brani del libro copiati da una novella di Megan McCafferty. Mel Gibson è stato accusato da un registra messicano di aver copiato da un suo film del 1991 alcune scene della sua ultima opera, Apocalypto. Anche Bob Dylan è finito nel tritacarne per alcuni versi delle ballate del suo ultimo album ( Modern Times) quasi uguali a quelli di Henry Timrod, un poeta dell'800.
Anche lo scrittore Ian McEwan si è preso, in Inghilterra, i suoi schizzi di fango, ma nel suo caso le accuse si sono rivelate pretestuose: spalleggiato da autori come John Updike, Thomas Pynchon e Martin Amis, è stato ben presto riabilitato.
È andata peggio a William Swanson, amministratore delegato della Raytheon (elettronica militare): il suo libro nel quale spiega ai manager come diventare dei veri leader, ha venduto molto, ma quando si è scoperto che alcune delle sue 32 regole erano copiate da un manuale scritto da un ingegnere nel 1944, la Raytheon lo ha multato e gli ha ridotto lo stipendio.
Tanta severità si spiega, almeno in parte, col culto della civiltà contemporanea per l'originalità, come spiega il giurista Richard Posner (giudice di corte d'Appello, docente della Chicago University e acuto osservatore della società americana) nel suo Piccolo libro dei Plagi pubblicato la settimana scorsa negli Usa.
Posner nota che nei secoli scorsi non ci si scandalizzava per i plagi e nemmeno per fenomeni di segno opposto, come l'abitudine di Rembrandt di firmare come sue opere dipinte dai suoi assistenti: oggi finirebbe in galera per truffa.
COPIONI NELL'ERA DI INTERNET — Nelle università, però, il mutamento di clima ha a che fare soprattutto con l'avvento dell'era di Internet. Negli ultimi dieci anni i docenti hanno combattuto una battaglia impari: come individuare i lavori accademici degli studenti tratti da un web che offre milioni e milioni di pagine su mille argomenti? Le cose si sono ulteriormente complicate col diffondersi dei paper mill,
vere fabbriche di tesine. In Gran Bretagna questo mercato vale 3-400 milioni di euro. Il sito più attivo, «Ukessays.com», ha 3500 specialisti che collaborano all'assemblaggio dei testi. In America vanno per la maggiore «Sparknotes.com» e «123helpme.com».
Un fenomeno giudicato allarmante dagli atenei non solo per la sua diffusione (oltre un terzo degli studenti ammette spontaneamente di aver presentato almeno una volta un testo copiato come un lavoro originale), ma anche per il «salto di qualità» portato da Internet: un tempo per appropriarsi di un testo bisognava fare una ricerca in biblioteca e poi, nel copiarlo, bisognava per forza leggerlo.
Oggi con Internet si fa tutto alla velocità della luce: basta un click, la lettura è un optional.
IL SOFTWARE ANTI COPIA E INCOLLA — Per un po' le università hanno cercato di fare leva sulla moral suasion: iniziative come il «Center for Academic Integrity» della Duke University si stanno moltiplicando. Ma la vera svolta è arrivata un anno fa con l'introduzione sul mercato di software specifici anti «copia e incolla». È il caso di «Turnitin», il sistema più diffuso, basato su un algoritmo che confronta il testo presentato dallo studente con decine di milioni di tesine, articoli di giornale e testi accademici. Il servizio ha un costo (80 centesimi di dollaro per ogni studente iscritto) ma funziona bene. In molti istituti è stata una strage: ammonizioni a raffica e, come detto, anche qualche espulsione. All'Ohio University sono state addirittura revocate alcune delle 40 lauree in ingegneria basate su tesi rivelatesi totalmente copiate.
In molte università, com'era prevedibile, gli studenti sono in rivolta: considerano l'uso di questi software una misura poliziesca, accusano i professori di partire da una presunzione di colpevolezza e sostengono che «Turnitin» viola i diritti di proprietà intellettuale degli studenti (i lavori analizzati finiscono automaticamente nel «database» della società). Alcuni degli atenei più blasonati hanno fin qui evitato di usare questi sistemi d'indagine, affermando di confidare nel senso di responsabilità degli studenti. Altri, come l'università del Kansas, hanno deciso di non rinnovare l'abbonamento a Turnitin, dopo il primo anno di sperimentazione. Ma si tratta di casi isolati: gli atenei che usano la tecnologica per combattere il «copia e incolla» tecnologico sono ormai centinaia. E non sempre gli studenti si ribellano. A differenza dell'Italia, dove il titolo di studio ha valore legale «a prescindere», negli Usa è il prestigio e la credibilità dell'insegnamento di un ateneo a dare valore alla laurea. Chi spende decine di migliaia di dollari per studiare nelle migliori università ha tutto l'interesse a evitare un'inflazione di laureati «scopiazzatori».
LA RIVOLTA DEGLI STUDENTI — Il rigore, però, a volte diventa rigidità e i richiami all'etica producono spesso la reazione risentita di studenti che non ci stanno ad essere gli unici accusati. Così, alla fine, sono finiti sotto accusa anche docenti e rettori. Gli studenti più intraprendenti hanno, infatti, cominciato a utilizzare il software antiplagio anche per analizzare i lavori accademici dei loro professori e i discorsi pubblici dei capi degli atenei. Ricerche che hanno fatto arrossire vari mostri sacri del mondo accademico. La vittima più illustre: il professore emerito di Stanford ed ex ministro degli Esteri, George Shultz. Invitato a tenere la Kissinger Lecture alla Biblioteca del Congresso Usa, Schultz ha pronunciato un discorso che si è rivelato in buona parte tratto da un articolo comparso sulla rivista dell'università di Yale. Peccato veniale, visto che l'autore è un collaboratore di Schultz, ma la regola di Stanford (mai usare lavori altrui senza citare la fonte) è ferrea: Schultz si è dovuto scusare.