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Corriere: Università, progetto che piace solo ai rettori

di ALBERTO BURGIO

14/11/2009
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Corriere della sera

Caro direttore, dopo avere ridotto di 4 miliardi di euro in cinque anni i finanziamenti statali al­l’Università, ora il governo inten­de riformare il sistema universi­tario a «costo zero». La Carta di Lisbona fis­sa al 3% (nel 2010) la percentuale del prodot­to interno lordo da investire nella ricerca, l’Italia è ferma all’1,1. E, invece di prevedere nuovi investimenti in questo settore, a det­ta di tutti strategico per competere sul pia­no internazionale, riduce ulteriormente le risorse già insufficienti. Basterebbe questo dato per capire di che tipo di riforma si trat­ti.
Ciò nonostante, il progetto del governo piace alla Conferenza dei rettori e alla Con­findustria. Come mai? Non occorre «pensar male», basta leggerlo. A meno che il Parla­mento non introduca modifiche sostanzia­li, la riforma prevede un forte incremento dei poteri attribuiti ai rettori (che non sa­ranno più espressione dell’intero corpo do­cente, ma verranno eletti da una ristretta cerchia di ordinari) e ai consigli di ammini­strazione. I quali saranno composti per al­meno il 40% (potrebbero essere anche la maggioranza assoluta) da membri esterni all’ateneo, scelti dal rettore. Imprenditori e banchieri — non si sa a che titolo — avran­no funzioni di indirizzo e di programmazio­ne finanziaria, e potranno persino decidere l’attivazione o la soppressione di corsi di studio. La Costituzione afferma che la scien­za è libera e lo è anche il suo insegnamen­to, ma è noto che non sono, questi, tempi propizi per quel venerabile documento.
Di sicuro il progetto del governo non en­tusiasma i 60-70 mila precari che da anni attendono il proprio turno per accedere ai ruoli dell’università. Non si tratta di «fan­nulloni ». Nella gran parte dei casi, sono stu­diosi, non più giovani, che hanno acquisito competenza e capacità e conquistato rico­noscimenti anche anche all’estero. Salvo ra­rissime eccezioni, per loro l’avventura si concluderà amaramente, poiché soldi non ce n’è e i concorsi rimangono bloccati. C’è qualcuno che si domanda se questo è giu­sto e anche quante risorse investite nella formazione e nell’addestramento di queste persone andranno sprecate?
Il governo progetta di precarizzare la fa­scia dei ricercatori. Si è detto che la proget­tata riforma introdurrebbe in Italia il siste­ma tenure track , in base al quale chi instau­ra un rapporto di collaborazione con una università viene assunto solo se ha conse­guito buoni risultati e dimostra adeguate ca­pacità. Quel che non si dice è che il sistema dei tenure prevede l’immediato stanziamen­to delle risorse necessarie all’immissione in ruolo di tutti gli aspiranti. Il ddl del gover­no affida invece la sorte dei nuovi «ricerca­tori a tempo determinato» all’eventuale chiamata da parte di un’università, che do­vrebbe ricavare le risorse necessarie dal pro­prio magro bilancio. Il vero nome di questa finta tenure è precarizzazione. È vero, senza «maggiori oneri per la finanza pubblica» non si può fare diversamente. Ma almeno si abbia l’onestà di dichiararlo.
Docente universitario e candidato alle elezioni europee nella lista Prc-Pdci


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