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Corriere: «Università pagata ai primi mille in Italia»

Idea della Gelmini dal 2010. Scelta del ministero

05/08/2009
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Corriere della sera

Il progetto Adesso chi ha ottenuto il punteggio massimo riceve mille euro

ROMA — Tasse universitarie pagate, dal­l’immatricolazione alla laurea, per mille campioni della maturità. Il monte premi del­l’esame di Stato potrebbe aumentare di qua­si quattro volte a partire dal 2010. Non è che al ministro dell’Istruzione, l’idea di Fioroni di premiare l’eccellenza — un assegno da mille euro ai superbravi che hanno ottenuto il 100 e lode — dispiaccia. Però vuole anda­re oltre.

Per la Gelmini quel «bonus» distribuito «a pioggia», a giudizio insindacabile delle commissioni, senza nessuna verifica sull’uti­lizzo effettivo che ne viene fatto (dovrebbe servire per acquistare libri, sussidi didattici o finanziare viaggi d’istruzione, ma nessu­no controlla) non basta più. Va sostituito con qualcosa in grado di sostenere adeguata­mente il proseguimento degli studi. Invece di distribuire 1000 euro a 3500-4000 ragaz­zi, meglio restringere il numero degli «eccel­lenti » garantendo a ciascuno dei nuovi «campioni» una dote in grado di accompa­gnarli fino alla laurea senza problemi.

«La meritocrazia è la più alta forma di de­mocrazia — ha detto il ministro Gelmini —. Purtroppo l’appiattimento verso il basso av­viato dal ’68 fa sentire ancora i suoi effetti disastrosi». «Questa — ha aggiunto — è la prima di una serie di iniziative che riguarde­ranno il merito e il diritto allo studio univer­sitario ».

Per ora si tratta solo di un’idea che dovrà essere trasformata in una direttiva. Ma i punti essenziali sono già stati fissati. Per co­minciare non saranno le commissioni della maturità a decidere chi dovrà essere premia­to. Sarà una commissione ministeriale a sce­gliere i mille campioni della maturità valu­tando le prime e seconde prove scritte che hanno superato una scrematura a livello re­gionale.

Probabilmente si dovrà anche tenere con­to dei diversi indirizzi dell’esame di Stato, stabilendo per ciascuno delle quote. A parti­re dalla maturità 2011, se verrà introdotta la terza prova scritta gestita dall’Invalsi, la co­siddetta prova oggettiva, non è escluso che quei risultati potranno avere un peso deter­minante nella formazione della graduatoria. Anche se non c’è alcun commento ufficia­le da parte del ministro Gelmini, nei corri­doi di viale Trastevere non sono mancate neppure questa volta — il cento e lode è sta­to introdotto nel 2007 dall’ex ministro Fioro­ni con l’obiettivo di accrescere nelle scuole il prestigio di chi studia — battute ironiche sulla distribuzione geografica dell’eccellen­za, concentrata al Sud. È evidente, anche al di là dei licei meridionali — non mancano altri esempi — che i criteri con cui si attribu­isce oggi il 100 e lode sono in molti casi di­scutibili. L’idea della commissione naziona­le, il possibile ricorso a criteri di valutazione più oggettivi, dovrebbero liberare le scuole e i professori da pressioni ambientali che fi­niscono per togliere credibilità all’esame di Stato.

L’idea di non far pagare le tasse universi­tarie ai mille campioni della maturità, so­prattutto se accompagnata da altre misure di sostegno, potrebbe produrre anche qual­che minimo effetto positivo sulla mobilità, uno dei più grossi problemi del nostro siste­ma, dove spesso si passa dall’esame di terza media alla discussione della tesi di laurea senza varcare i confini del comune o della provincia. Il riconoscimento del merito — sei bravissimo e quindi non paghi le tasse universitarie — rappresenta, anche se con effetti limitati a mille studenti, un’inversio­ne di tendenza. In molti atenei il vento sta cambiando. L’eccellenza, le qualità indivi­duali cominciano a essere rivalutate rispet­to al peso che il reddito ha sempre avuto nel diritto allo studio.

Oggi la principale difficoltà che incontra­no le università nello sforzo di sostenere i ragazzi meritevoli ma provenienti da fami­glie poco abbienti consiste proprio nell’ac­certamento del reddito reale, impresa se non impossibile molto complicata di fronte a certe categorie. Il risultato è che il figlio dell’operaio e dell’impiegato statale, nono­stante la busta paga dei genitori, finisce qua­si sempre nella categoria dei «ricchi» e non ha diritto a nulla o quasi.


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