Corriere: Università, la riforma a rischio
Voto slittato, corsa per salvarla. Un bonus per i ricercatori
ROMA — La strada è in salita e piena di curve (politiche) pericolose. Per salvare la riforma dell’università il governo è pronto addirittura a cambiare strategia. E a giocarsi l’ultima carta: far modificare il calendario dei lavori alla Camera e progettare un intervento a favore dei ricercatori, la categoria più critica verso il ddl Gelmini.
Il problema numero uno è proprio quello dei tempi. Giovedì scorso l’esame della riforma da parte dell’Aula di Montecitorio è stato spostato dal 5 al 14 ottobre. Sembra poco, in realtà cambia tutto. Il 15 ottobre, cioè il giorno dopo, alla Camera comincia la sessione di bilancio che dura circa un mese e per regolamento costringe tutti gli altri provvedimenti ad aspettare in coda. Se sarà confermata la data del 14, quindi, la riforma non solo non sarà approvata prima che l’attività accademica entri nel vivo, come era nelle intenzioni del governo anche per evitare le proteste. Ma finirà su un binario morto, specie considerando l’eventualità delle elezioni anticipate a marzo, che comincia ad essere evocata anche all’interno della maggioranza e del governo.
Sarebbe una sconfitta per il centrodestra, che su questa riforma ha investito parecchio. E la fine di un disegno di legge che non solo ridisegna il sistema di governo delle università, riducendone l’autonomia, ma distribuisce le risorse in base alla qualità della ricerca e della didattica e reintroduce il concorso nazionale per i docenti. Misure, e il vero nodo è questo, che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha definito condizione essenziale per ripianare almeno in parte il taglio da un miliardo e 350 milioni di euro previsto nel 2011 per l’intero settore.
Ce ne è abbastanza perché la maggioranza tenti di modificare il calendario della Camera mettendo sul tavolo della prossima conferenza dei capigruppo due ipotesi: anticipare l’esame dell’Aula all’11 di ottobre oppure rimandare al 18 l’inizio della sessione di bilancio. In tutti e due i casi ci sarebbe qualche giorno per approvare in Aula la riforma e poi tornare al Senato, dove votare prima che anche lì cominci la sessione di bilancio. Possibile cambiare una decisione presa solo pochi giorni fa? Difficile ma non impossibile.
Il rinvio della settimana scorsa non è stato il frutto solo delle perplessità dell’opposizione sul disegno di legge ed in particolare sulla sua copertura finanziaria. Ma è stato uno dei primi segnali di un clima politico generale mutato, a poche ore dal voto di fiducia al governo Berlusconi che non ha certo chiuso le ferite del centrodestra. Non è dunque da escludere che un esame a freddo della questione possa portare ad una scelta diversa.
Per provare a spingere in questa direzione i tecnici del ministero dell’Istruzione stanno studiando la fattibilità di un emendamento che arriva dall’opposizione e prevede per i ricercatori un’indennità didattica, cioè una piccola aggiunta in busta paga. Per legge i ricercatori che lavorano nelle università non sono tenuti ad insegnare. La realtà è ben diversa, perché sulle loro spalle pesa circa il 40 per cento della didattica. Proprio per questo, in segno di protesta contro la riforma Gelmini, quasi la metà dei ricercatori ha annunciato che da quest’anno non farà lezione. L’indennità didattica sarebbe un modo per venire incontro alle loro proteste e — visto che l’idea originale è del pd Luigi Nicolais — anche alle perplessità dell’opposizione. Ma è una strada davvero percorribile?
Anche considerando una somma contenuta (intorno ai 150 euro netti al mese) e tenuto conto che i ricercatori che fanno lezione sono circa 15 mila, si arriverebbe ad un costo di 45 milioni di euro l’anno. Non pochi dal momento che basterebbe qualche milione in meno per far partire quel piano di assunzioni di professori associati (9-10 mila in sei anni) che nelle intenzioni del governo rappresenta la strada maestra per risolvere la questione ricercatori, per la quale si esclude qualsiasi ipotesi di stralcio. I tecnici del ministero al momento sono scettici. Ma pur di riuscire a tirar fuori la riforma dal binario morto dove è inaspettatamente finita, correzioni fino a qualche giorno fa impensabili adesso hanno tutto un altro aspetto.