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Corriere: Università, il divario delle rette 1.300 euro al Nord, 260 al Sud

Gli studenti del Mezzogiorno pagano poco grazie alle esenzioni E i servizi, quindi, sono scadenti Non si vogliono scontentare famiglie e ragazzi secondo questa logica: prezzi bassi per un’offerta scarsa

19/07/2009
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Corriere della sera

Il Comitato di valutazione fornisce i numeri di un’enorme differenza Molti atenei vorrebbero aumentare le tasse ma sono frenati dalla crisi

ROMA — Nell’università di Lec­ce — ateneo finito al penultimo po­sto nella graduatoria sulla qualità del Sole 24 Ore — la tassazione me­dia si aggira intorno ai 350 euro l’anno. Senza scomodare il Mit o al­tre università americane da 40 mila euro l’anno, si tratta di una cifra su­periore di soli 150 euro rispetto a quanto una famiglia spende per mandare un figlio al liceo. Al Poli­tecnico di Milano, primo nella stes­sa graduatoria, uno studente spen­de mediamente quattro volte tan­to. Tra i due estremi si posizionano decine e decine di università con una caratteristica comune: più si scende a Sud più le tasse calano. Ca­lano, spiegano i rettori, in ragione del minor reddito delle famiglie e quindi dell’esenzione totale o par­ziale cui hanno diritto gli studenti, ma anche per una precisa scelta di chi governa, quella di non sconten­tare famiglie e studenti, secondo questa logica: ti offro poco ma chie­do poco. Eppure il danno, per le stesse università, è rilevante. «Le 18 università delle regioni che fan­no capo all’Obiettivo 1 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sarde­gna, Sicilia, Molise), dove il Pil pro capite è inferiore al 75 per cento della media Ue — ricorda il filologo Corrado Petrocelli, rettore dell’uni­versità di Bari — nel solo 2006 han­no ricevuto, per ragioni di reddito, 229 milioni di euro in meno rispet­to a quelle del Centro-Nord». Un da­to che fa paura, se si pensa che il taglio di 700 milioni di euro previ­sto per il 2010 dalla Finanziaria ri­schia di portare al collasso il nostro sistema.

La differenza di contribuzione tra Nord e Sud è davvero forte. I da­ti raccolti dal Cnvsu (Comitato na­zionale di valutazione del sistema universitario) parlano chiaro: la tas­sa compresa tra i 1.000 e i 1.500 eu­ro l’anno negli atenei del Nord è quella più comune (33,9 per cen­to). Succede anche al Centro (21,5%). Nelle università del Sud in­vece troviamo in questa fascia solo il 7,4% degli iscritti. Nelle universi­tà del Sud la fascia di tasse in cui si concentra il maggior numero di stu­denti è quella compresa fra i 300 e i 400 euro (20,4%). Nel Nord a paga­re quel tipo di contributo è solo il 3,4%, il 5,8% al Centro.

Se esaminiamo i dati del Cnvsu sugli esoneri dalle tasse universita­rie divisi per macroaree le conclu­sioni non cambiano. La maggior parte di giovani che usufruiscono di questa provvidenza si trova nel Sud. Più esattamente il 18% — cal­colato sugli iscritti in corso — gode di un esonero totale mentre il 19,5% ha diritto a un esonero par­ziale. Nel Nord-Est abbiamo rispet­tivamente un 15,4% e un 8,3%. Nel Nord-Ovest un 12% e un 3,5%. Il Sud è certamente penalizzato, ri­spetto al Nord e al Centro, da un mi­nor reddito delle famiglie. Tuttavia questa differenza che certamente esiste giustifica un simile divario nei contributi? I dati del Cnvsu la­sciano spazio a domande che da tempo attendono risposta. Compre­sa quella più inquietante, sulla veri­dicità delle dichiarazioni al fisco: come è possibile che figli di operai e di impiegati con stipendi bassi non rientrino nei requisiti necessa­ri per godere delle provvidenze per il diritto allo studio, mentre figli di professionisti con redditi meno ac­certabili riescono a farvi ricorso?

I rettori degli atenei del Sud so­no consapevoli dell’anomalia dei contributi degli studenti. Circa un terzo dei 60 mila iscritti, ricorda il rettore di Bari Corrado Petrocelli, gode di esoneri totali o parziali. L’università ha avviato una politica di miglioramento dei servizi (disa­bili, iscrizioni online, biblioteche, edilizia) senza la quale diventa im­possibile per qualunque rettore au­mentare le tasse. Ma anche così non sarà facile alzare i contributi. «Nel nostro territorio sono venuti meno 35 mila posti di lavoro — spiega il rettore —. Cinquanta stu­denti mi hanno già annunciato che il prossimo anno non potranno pa­gare le tasse». Giovanni Latorre, ret­tore dell’Università della Calabria (tassazione media circa 600 euro su un reddito medio di 18 mila euro), l’unica del Sud che aderisce al grup­po Aquis (11 atenei che si battono per la qualità), ricorda che ogni an­no vengono completamente esone­rati dal pagamento delle tasse 8.000 studenti su 35 mila, e che le compensazioni da parte dello stato a Cosenza come altrove non sono mai arrivate. «Aumentiamo costan­temente le tasse — dice —. Il no­stro sistema di imposizione è iden­tico a quello della Sapienza di Ro­ma ma i nostri studenti, per le con­dizioni di reddito, pagano media­mente 100 euro in meno».

Un piano che prevede un aumen­to delle tasse, a partire dai fuoricor­so, è stato appena varato dall’uni­versità di Palermo, che con i suoi 360 euro di tassazione media figura come la terza università più a buon mercato d’Italia. Palermo ha fatto un grande sforzo per migliorare i servizi però deve fare anche i conti con una diminuzione delle entrate, ha affermato il rettore Roberto La­galla. L’ateneo prevede di incassare da 35 milioni a 40 milioni di euro entro il 2010.

Il Politecnico di Bari (ha guada­gnato il ventesimo posto nella gra­duatoria del Sole 24 Ore) vanta in assoluto la tassazione più bassa tra gli atenei statali, appena 300 euro. Corrispondono al 7% del Fondo di finanziamento statale. Il Politecni­co pugliese potrebbe esigere dagli iscritti tre volte tanto di tasse. Per il rettore Salvatore Marzano è un van­to. «Stringeremo la cintura fino a quando potremo — afferma — . Ab­biamo scelto di non gravare sulle fa­miglie. I servizi che offriamo co­munque sono dignitosi». «Lo scor­so anno abbiamo chiesto un au­mento di 60 euro ai nostri studenti — aggiunge il rettore —. C’è stata una protesta e ci siamo fermati a 30 euro. Riconosco che li abbiamo abi­tuati male».

Nessuna protesta nell’altro Poli­tecnico, quello di Milano, dove è in vigore la tassazione media più ele­vata. «Abbiano un ottimo rapporto con gli studenti — dice il rettore Giulio Ballio —. Diamo loro tanti servizi (orientamento, servizio di placement, laboratori didattici, ser­vizi per handicappati) e loro accet­tano il nostro sistema di tassazio­ne ». «La tassazione — continua Bal­lio — deve corrispondere alla quali­tà dei servizi: a questo scopo abbia­mo istituito una commissione pari­tetica formata da rettore, direttore amministrativo, funzionari e stu­denti con il compito di controllare la qualità dei servizi». Il gettito di tasse del Politecnico di Milano, se­condo il ministero dell'Università, supera non di poco l’importo mas­simo consentito per legge. «Ma i fondi che riceviamo dallo Stato — conclude il rettore Ballio — sono in­feriori al dovuto di 40 milioni di eu­ro. I nostri conti sono giusti».


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