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Corriere: «Una vita da precaria. Buttata via»

Rita Clementi si batte per le sorti dei precari della ricerca: «Serve una riforma seria»

04/10/2008
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Corriere della sera

Rita Clementi, ex ricercatrice di 46 anni: «Pubblicavo i miei lavori, per questo ero un pessimo esempio»
Un contratto dopo l'altro a Pavia per studiare i linfomi. Poi lo stop. «Ora faccio il medico» MILANO — «Lavoravo da anni in quello stesso istituto, facevo ricerca, pubblicavo i miei lavori sulle riviste scientifiche. Insomma, ero un pessimo esempio». Forse è per questo che Rita Clementi non ce l'ha fatta, ha scelto di mollare piuttosto che insistere a lavorare in condizioni che lei definisce «impossibili». Come lei tanti altri, «pessimi esempi» di un universo, quello della ricerca precaria, a rischio di implosione.
Due specializzazioni, tre figli, stagioni di precariato alle spalle, Rita Clementi oggi ha 46 anni. Ne aveva qualcuno di meno nel 1990, quando si è laureata in medicina. Prima la laurea, poi le specialità — due, pediatria e genetica medica, con qualche impiego provvisorio tra una e l'altra. Il tempo sufficiente per farsi un curriculum di rispetto e poi lanciarsi nel mondo del lavoro. Che per Rita significava ricerca: «Ore e ore di laboratorio, magari tornarci la sera, dopo che hai messo a letto i tuoi figli, per mettere i batteri in incubazione durante la notte e guadagnare un giorno di lavoro l'indomani. Sacrifici, certo, ma era la professione che avevo scelto e che, nonostante tutto, sceglierei di rifare».
Oggi Rita quella professione non può più farla: scaduto anche l'ultimo contratto, finita l'ultima la borsa di studio, per lei nel mondo della ricerca non c'è più posto. O almeno così le hanno detto. «Quando sei precario — racconta — sei sempre in balia di qualcosa. Quello che per i lavoratori assunti è un diritto per te è ogni volta un favore da chiedere. Niente ferie, niente tredicesima, non puoi neanche ammalarti. Se resti incinta ti sospendono la borsa: io ho avuto la maternità solo grazie ai contributi che pago come medico. E oltre ai diritti garantiti per legge ci sono anche quelli di altra natura». Tipo? «Quello di pubblicare i propri lavori, per esempio: tanti precari non possono farlo e magari non risultano fra gli autori di un lavoro del quale hanno la piena paternità».
Lei è stata più fortunata, dice: «Non mi è mai capitato di non poter restare a casa quando i miei figli erano malati ma a qualcuno succede anche questo». Dopo gli studi Rita Clementi ha lavorato sempre a Pavia, all'Università e al Policlinico San Matteo. Dal 1998 in poi si è occupata di un gene che, secondo le sue ricerche, potrebbe essere messo in relazione con i linfomi, dimostrandone una possibile predisposizione genetica. Una ricerca che si è interrotta nel 2005, insieme ai contratti di Rita. Quanti ne ha firmati? «Ormai ho perso il conto, penso nell'ordine dei sei». Un po' più di uno all'anno e sempre con la minaccia del mancato rinnovo: «Fanno contratti di un anno, due. Ma in due anni una ricerca è appena avviata».
E se i contratti finiscono, la ricerca si blocca: «Magari qualcun altro la riprende in mano, ma riparte da capo e anni di lavoro e conoscenze finiscono sprecati». Un danno per chi ha lavorato ma anche — «e soprattutto», sottolinea Rita — per chi di quella ricerca avrebbe potuto godere i frutti: «L'utente finale, il cittadino». E i frutti, nel suo caso, si vedevano: «Avevo le mie conferme — spiega — ho pubblicato su riviste prestigiose come il New England Journal of Medicine.
E poi il fatto stesso che ti rinnovino il contratto ti autorizza a pensare che ritengono che vali».
Vali, ma fino a un certo punto, quello in cui non servi più. Per Rita è arrivato nel 2005: «Ho capito che lì, per me, non c'era più futuro e ho preferito andarmene. Ora lavoro come medico, da libera professionista, e provo come posso a continuare la mia ricerca». Mai pensato di fuggire all'estero? «Con tre figli non era possibile. Ma penso di farlo ora». Proprio per quei tre figli, spiega, «per dar loro un futuro che qui in Italia non possono avere». Una fuga messa in atto a malincuore. Nel frattempo Rita si batte per le sorti dei precari della ricerca: «Sessantamila, praticamente metà della forza lavoro. In Italia non ci rende conto che siamo di fronte ad un problema sociale. La soluzione non sono i tagli ma una riforma seria dei meccanismi di reclutamento, pulita, basata sul merito e sulle valutazioni ex post». Con alcuni colleghi ha scritto una lettera aperta a Rita Levi Montalcini in difesa della ricerca libera: «Sulla stampa italiana — racconta — non ha avuto una grande eco. L'abbiamo mandata a Science, l'ha accettata in due minuti».
Giulia Ziino La battaglia


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