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Corriere: Un «centro europeo per la ricerca» Le idee per fermare la crisi degli atenei

Dal «manifesto francese» alle proposte di Torino. Ossola: in Italia risorse inadeguate

19/05/2009
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Corriere della sera

Il confronto tra i rettori. Decleva: la riforma è un bisogno reale. Ballio: sistema scollegato dal mondo produttivo
DAI NOSTRI INVIATI
TORINO — «È ormai evidente che l’università francese non è più solo in crisi. È prossima all’agonia». Inizia così il manifesto firmato da oltre 550 professori d’Oltralpe: dai filosofi Gauchet e Karsenty al giurista Carcassonne, dal matematico Demailly al sociologo Dubet. «Personalità prestigiose — scriveva sabato, in prima pagina, Le Monde — che si dichiarano partigia­ne di un’autonomia degli istituti nel rispetto della collegialità e critiche verso la concorrenza delle grandes ecolés (le élites dell’amministra­zione,
ndr) », proponendo l’istituzione di un «servizio propedeutico» per garantire a tutti i neodiplomati il diritto a proseguire gli studi ma anche una riforma del sistema di recluta­mento dei docenti.
Il manifesto «per la rifondazione dell’univer­sità » è l’ultimo atto del movimento di contesta­zione d’Oltralpe. Venticinque settimane di ma­nifestazioni, professori e studenti a braccetto nelle piazze. In Francia, dunque. Ma anche in Spagna, contro il «processo di Bologna», cioè l’armonizzazione a livello europeo dei titoli di studio superiore. E in Italia, dalle proteste con­tro i tagli dello scorso autunno agli scontri di ieri mattina a Torino.
Che sta succedendo, dunque, all’università — in Italia, in Europa, nel mondo? Di certo, a sentire Giulio Ballio, c’è che «questo non è il ’68. Allora la contestazione era degli studenti contro i professori; oggi c’è una saldatura. Per­ché la crisi che attraversa l’università, a livello europeo, è il risultato di una miscela esplosi­va ». Elenca il rettore del Politecnico di Milano: «Studenti aumentati esponenzialmente dagli anni ’70, docenti e richiesta di risorse pure. Nu­meri non sostenuti da sbocchi professionali e finanziamenti adeguati, in un sistema scollega­to dal mondo produttivo».
A Torino, in un Castello del Valentino illumi­nato dal tramonto, si è appena conclusa la pri­ma giornata del G8 delle università: 41 rettori e presidenti di ateneo provenienti da tutto il mondo, riuniti per discutere di economia, eti­ca, ecologia ed energia. E, soprattutto, per «ri­vendicare — spiega Enrico Decleva, presidente della Crui (la conferenza dei rettori) — il ruolo autonomo e insostituibile del sistema universi­tario ». Un ruolo che «torni a essere fattore stra­tegico, come lo è già stato in alcuni momenti chiave della storia». Là fuori, però, l’Onda pre­me.
Perché anche in Italia, all’interno dello stes­so mondo accademico, si muovono forze criti­che che spingono per una riforma «dal basso». «Le proteste sono il segno che l’università sta cambiando. E oggettivamente la riforma è un bisogno reale: dall’ultima sono passati trent’an­ni, e già eravamo in ritardo su Francia, Spa­gna ».
La crisi, dunque, esiste. «Ed è una crisi di re­putazione, credibilità, autorevolezza», sintetiz­za il rettore del Politecnico torinese Francesco Profumo. Pei Gang, presidente della Tong Ji University di Shanghai al G8 di Torino, trova parole antiche per un concetto attualissimo: «Il nome della mia università viene da una frase idiomatica cinese, e significa 'molte persone sulla stessa barca'. Ecco, oggi noi, che veniamo da ogni angolo del mondo, siamo tutti sulla stessa barca». «Quello che colpisce — concor­da Profumo — è l’uniformità di linguaggi: in Giappone, 6-7 anni fa hanno iniziato sperimen­tazioni analoghe a quelle sorte in Europa».
Un fronte comune contro la crisi, dunque. Dal Collège de France, a Parigi, gli fa eco Carlo Ossola: anche per lui la «rifondazione» è neces­saria, e deve avvenire a livello comunitario. «Il contesto di un quadro di riferimento europeo è un bene: c’è una 'generazione Erasmus' che spero possa divenire il fulcro di una cittadinan­za europea condivisa — spiega —. Questa reci­proca permeabilità pone tuttavia le università europee in collaborazione e insieme in competi­zione. A questo dato si deve aggiungere un si­stema comunitario del finanziamento alla ricer­ca; le risorse destinate dai singoli Stati alla ricer­ca sono insufficienti rispetto alla competizione internazionale. Se non troppo burocratizzata, la ricerca dovrebbe essere competenza della Co­munità ».
Risposte globali per un problema comune. A Torino, ieri, Profumo invitava a «invertire le tendenze del passato, tese alla stratificazione e alla frammentazione», lanciando la proposta di un «Centro globale di ricerca virtuale» sullo svi­luppo sostenibile. L’Italia, del resto, avrebbe so­lo da guadagnarci. Un po’ perché, riassume Os­sola, «da noi la situazione è molto più grave. Non sono state destinate risorse neppure suffi­cienti a coprire parte dei debiti che stanno strozzando i bilanci degli atenei». Dagli altri Pa­esi, poi, potremmo mutuare strutture «come l’agenzia per la valutazione del sistema univer­sitario — ricorda Decleva —. La Gran Bretagna ce l’ha da anni, la Francia è partita, la Spagna pure. Quanto ai tagli, sono imposti dalla realtà. Il problema è trovare la misura». Marino Regi­ni, prorettore della Statale di Milano, ragiona a livello comunitario: «Dobbiamo internaziona­lizzare di più gli atenei europei e democratizza­re l’accesso; siamo all’ultimo posto Ue per il di­ritto allo studio». Poi c’è il numero di laureati con esperienze in altri Paesi Ue: «Il processo di Bologna — ricorda Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea — prevede che siano il 20%, noi siamo al 6».
Gli studenti, appunto. Ieri, al G8 dei rettori, è stato letto il documento stilato dieci giorni fa, a Palermo, da quello degli studenti. «Bisogne­rebbe dare loro maggior peso — riconosce De­cleva —. Questa generazione mi sembra più im­pegnata di altre, la loro partecipazione è fonda­mentale ». Professori e studenti a braccetto an­che in Italia non solo contro i tagli? Chissà. Tut­to, pur di salvare l’università dalla sua agonia.
Gabriela Jacomella Alessandra Mangiarotti


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