Corriere: Un'agenzia per curare i mali della ricerca italiana
Il ministro Fabio Mussi ha «preso sul serio» la proposta dell'agenzia proponendo la costituzione di «un gruppo di lavoro al di sopra e al di fuori dei partiti» per approfondire l'idea
Un'agenzia per curare i mali della ricerca italiana
La Cina è arrivata a sfornare ogni anno 700 mila laureati in scienze e in ingegneria, l'India trecentomila. Sembra dunque avverarsi la previsione di Wiston Churchill quando in una lezione ad Harvard sosteneva che «gli imperi del futuro saranno gli imperi del pensiero», con radici scientifiche, si potrebbe aggiungere, perché i grandi investimenti nella formazione e nella ricerca hanno come obiettivo lo sviluppo dell'economia. Il rapporto 2006 dell'Organizzazione della cooperazione e dello sviluppo economico si concludeva con il richiamo a un'Europa ancora incapace della necessaria dinamicità per equilibrare gli sforzi americani e asiatici. E l'Italia? Una radiografia dal titolo sconsolato ( Una ricerca tradita, pubblicata da Garzanti a cura di Tommaso Maccacaro) è stata elaborata dal «Gruppo 2003» formato dagli scienziati italiani che compaiono nella lista dei ricercatori più citati compilata dall'Institute for Scientific Information di Philadelphia (Usa).
L'analisi conferma quanto, purtroppo, abbiamo sotto gli occhi: un sistema disastrato, fuori da ogni logica per un Paese che vorrebbe essere tra i primi del pianeta. I segni di rivitalizzazione sono blandi. Se confrontati con gli sforzi di altre nazioni appaiono addirittura insignificanti. Ma il «Gruppo 2003» cerca di andare oltre avanzando una proposta: la creazione di un'agenzia per la ricerca (Airs, Agenzia italiana per la ricerca scientifica) presentata a Milano al Palazzo della Triennale dal professor Silvio Garattini e commentata da una tavola rotonda animata da ricercatori, manager, economisti, banchieri (Alberto Alesina, Adriano De Maio, Alberto Mantovani, Nello Martini, Luigi Nicolais, Corrado Passera, Pasquale Pistorio e Giulio Tremonti). Una proposta, dunque, calata nella realtà politico-economica. L'agenzia dovrebbe evitare la frammentazione delle risorse, eliminare i privilegi nei finanziamenti e le difficoltà di programmazione, facilitare gli scambi e il travaso di cervelli tra università e industria e agire da interfaccia con l'Europa, gli Usa e l'Asia. Dovrebbe inoltre governare i bandi di concorso, assegnare grant, controllare i risultati e curare i rapporti con la società nella quale il frutti della ricerca ricadono.
In linea di principio nessuno ha espresso contrarietà perché i propositi dell'agenzia sono gli auspici che il mondo scientifico e parte di quello economico esprimono (inutilmente) da anni. Si sono aggiunte semmai delle osservazioni di cui tener conto e qualche proposta alternativa. Come la necessità di mettere alla base di ogni azione la meritocrazia (Alesina), l'opportunità di imparare dalle charities come Telethon (Mantovani) oppure l'idea di coordinare l'innovazione a livello regionale (De Maio). L'ex ministro Tremonti ha ricordato come nella ricerca occorrono «interventi bipartisan» ma si è chiesto se l'agenzia assorbirà gli enti esistenti, dal Cnr all'Enea. Comunque «bisogna arrivarci per gradi» ha aggiunto Pistorio. «Si sta accumulando un ritardo pazzesco nei confronti dei Paesi europei» ha sottolineato Passera ricordando la necessità del brevetto europeo e intanto presentando il progetto dei «prestiti d'onore» da attuare con venti università per sostenere iniziative di ricerca.
Il ministro Fabio Mussi (che ha chiuso i lavori dopo averli seguiti per l'intera giornata) ha «preso sul serio» la proposta dell'agenzia proponendo la costituzione di «un gruppo di lavoro al di sopra e al di fuori dei partiti» per approfondire l'idea. Ma «bisogna evitare la zuppa inglese» non aggiungendo un nuovo organismo ai numerosi già esistenti. Per il resto il ministro ha constatato i gravi limiti in cui si muove avvertendo che i miracoli in questa situazione sono impossibili. Ma forse se il «problema ricerca», fosse come dovrebbe essere, una questione di governo del Paese e non di un solo ministro si potrebbe anche sognare qualche miracolo, come l'Italia (non certo ricca) sapeva fare quarant'anni fa quando la voglia di rinascita e la capacità di rischiare portava nel 1963 Giulio Natta sul podio del premio Nobel per la chimica. E «il miracolo a Milano» nasceva grazie allo sforzo congiunto dell'università e della Montedison, cioè da quell'unione tra pubblico e privato che ora sembra quasi impossibile. Forse l'agenzia potrebbe riprendere quel prezioso filo interrotto.