ROMA — Non la sola Gelmini si è lamentata, gli ha chiesto una mano, ha spiegato le proprie ragioni, i difetti di comunicazione. Lui, come agli altri, ha risposto picche anche in questo modo: «Io non conto nulla». Poi, a chi insisteva sull'indicare in Tremonti il corresponsabile del calo di consenso, del corto circuito comunicativo con il Paese, il Cavaliere ha detto chiaramente che non ha alcuna intenzione di aprire fronti interni al governo: «Non voglio che scuola e università diventino uno scontro fra ministri, una questione di soldi, perché questo non sono. Dobbiamo parlare di merito, di criteri di selezione, dei contenuti delle riforme. Sul resto non ci sento...».
Può sembrare come un difesa tout court del ministro dell'Economia, il cui nome ieri mattina, nel corso del vertice di maggioranza, a casa del presidente del Consiglio, è risuonato più volte: vuoi per il metodo usato nei tagli; vuoi perché alcune delle misure di competenza del ministro dell'Istruzione, la stessa Gelmini le ha apprese quando l'Economia le stava già presentando in Parlamento; vuoi perché l'insofferenza di alcuni ministri verso Giulio Tremonti ha raggiunto livelli di guardia. Eppure quello di Berlusconi è stato più che altro l'atteggiamento di un capo di governo che pur nutrendo riserve sia sulle capacità di comunicazione della signora Gelmini sia sul rigore intransigente del professor Tremonti alla fine non può permettersi che di mediare e di gettare acqua sul fuoco.
La materia è ancora in evoluzione: ieri pomeriggio nella maggioranza si trovava gente disposta a scommettere che l'Economia sarà costretta a rivedere qualche taglio, altra che scommetteva sul contrario, convinta che i tagli «lineari, generalisti » imposti da Tremonti al bilancio dell'Istruzione saranno riveduti in base al concetto del taglio «motivato, meritocratico», secondo criteri già individuati, qualche anno fa, dal dicastero Moratti, ma che alla fine le cifre finali non cambieranno.
Potrebbe persino essere ripescato il metodo del decreto, che nelle ultime ore sembrava abbandonato, sacrificato non in base al galateo istituzionale o alle perplessità del Quirinale, ma in omaggio alla necessità di non mettere a rischio un consenso che le piazze piene di studenti hanno spinto verso il basso. Uno o più decreti non per la riforma complessiva dell'Università, che andrà avanti per ddl, ma per provvedere ad alcune cose fra le più urgenti, come per esempio il criterio dei concorsi (imminenti) per la selezione dei nuovi ricercatori. A Palazzo Grazioli, residenza del premier, ieri mattina si parlava a questo proposito dell'urgenza di mettere in atto da subito alcune misure specifiche, non rinviabili, popolari. Molte delle misure e delle idee, fondate su merito e trasparenza, che in queste settimane hanno avanzato economisti e opinionisti: dai fondi assegnati in base ai risultati degli atenei alla liberalizzazione delle tasse universitarie.
Sarà Letta a dover parlare con Tremonti, ieri all'estero per l'Ecofin, per concordare concessioni in termini di flessibilità, risorse, aggiustamenti a una legge finanziaria scritta per tre anni ma ritoccabile per emendamento quando e come si vuole, anche nel corso del 2009, ma sempre con il beneplacito del titolare dell'Economia.
Ieri si è deciso cosa chiedergli: una verifica sui risparmi previsti nel 2010, in generale tagli più mirati alle risorse per l'Istruzione. Se la maggioranza e la Gelmini otterranno qualcosa è ancora da vedere. Berlusconi ha insistito, più che su questa partita, su un'altra, di metodo comunicativo: «Prima di approvare i provvedimenti, visto che di sprechi ci occupiamo, occupatevi anche di preparare una campagna di informazione su cosa non funziona ».
Marco Galluzzo
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