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Corriere: Stato digitale, rivoluzione a metà

Il risparmio L'abolizione di tonnellate di documenti cartacei Burocrazia, fisco, sanità Vantaggi e occasioni mancate Lo spreco Senza un piano globale finanziamenti inutili

10/03/2008
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Corriere della sera

Con la campagna elettorale si riparla di e-government, cioè di informatizzare la pubblica amministrazione per spendere meno, semplificare la burocrazia e dare servizi migliori ai cittadini. In particolare il leader del Pdl Silvio Berlusconi, quando gli viene chiesto con quali tagli di spesa pubblica finanzierà la riduzione fiscale, risponde: con iniezioni di Stato digitale. Ovvero il rimedio meno impopolare tra quelli possibili. In realtà l'e-government non sembra dare benefici percepibili (e neppure risparmi) quando si limita a spalmare computer su strutture vecchie. Anzi: se usato male può far spendere di più. Mentre funziona, e molto bene, quando si accompagna alla riorganizzazione: ma proprio qui incontra gli ostacoli maggiori.
Il registro digitale delle imprese, introdotto dall' allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini negli anni Novanta, è considerato una delle migliori applicazioni di e-government. Prima, aprire una società per azioni era un calvario burocratico. Uno dei freni era la cosiddetta omologa del Tribunale, documento che veniva richiesto solo da 4 Paesi nel mondo. Quando ci si ripropose di semplificare l'operazione, si incontrò l'opposizione dei magistrati che si vedevano sottrarre un pezzo di potere. Tuttavia il ministro proseguì; e il risultato è che oggi per costituire una spa ci vogliono 24 ore. Al sistema delle imprese l'innovazione ha fatto risparmiare 260 milioni di euro. Altri risparmi per lo Stato (90 milioni di euro l'anno) li ha generati l'operazione Fisco online. Ma anche a livello locale i casi positivi non mancano: la telemedicina da quattro anni sta facendo spendere 700 mila euro in meno l'anno all'Asl di Treviso.
«Gli esempi di servizi innovativi non mancano dice il numero uno di Microsoft Italia Mario Derba -: dal sito Internet dei carabinieri, che stabilisce un nuovo tipo di dialogo coi cittadini, all'Intranet della Regione Veneto; dalla gestione sanitaria in Sardegna al progetto eDemocracy della Provincia di Genova ». Tuttavia sono casi isolati, che disegnano un' Italia a macchia di leopardo. E le riforme importanti, come la firma digitale, restano incompiute.
«In tutti i Paesi avanzati - dice Marco Mena di Between - si sta ragionando su come rendere più efficace l'azione dello Stato informatizzato. Quanto a noi, l'Italia con Bassanini è partita bene, ha mantenuto un certo impulso con Stanca ma poi ha rallentato. Il risultato è che l'e-government non ha ancora avuto un impatto forte, generalizzato e percepibile sulla qualità dei servizi al cittadino, sulla semplificazione della burocrazia e sui risparmi di spesa pubblica».
Una rivoluzione a metà. «Per completarla - sintetizza lo stesso Bassanini - la strada è quella di mettere insieme i vari pezzi di un sistema ancora frazionato attraverso una profonda riorganizzazione gestionale. Smaterializzando le operazioni, facendo comunicare sistemi che ancora non si parlano e soprattutto abbattendo i muri che separano le amministrazioni ». L'altro obiettivo è estendere le singole innovazioni positive. Una strada è quella seguita da Lucio Stanca, l'ex manager Ibm poi ministro dell'Innovazione con Berlusconi, con il finanziamento dei progetti di aggregazione multi-comunale. I risultati sono stati modesti, perché pochi Comuni creano innovazione e pochi imitano, o meglio «riusano», come si dice in gergo.
«Aggregare Stanca», ha ironizzato qualcuno. Anche se all'ex ministro viene riconosciuto il merito di aver indirizzato verso l'hi-tech parte dei finanziamenti prima destinati solo a ponti e strade. In epoca Prodi il ministro Luigi Nicolais ha incentivato i Comuni a «riusare». Mentre il ministro per gli Affari regionali Linda Lanzillotta ha concentrato le risorse su pochi progetti innovativi come l'infomobilità e la misurazione della customer satisfaction.
Se l'e-government non decolla, insomma, non è soltanto per inadeguatezza di fondi: il piano del Cnipa prevede la ragguardevole spesa di 6 miliardi in 3 anni, 2 nel solo 2008. Un ostacolo è la frammentazione delle competenze, a partire dal governo. Solo Bassanini ebbe la responsabilità complessiva di Funzione pubblica, e-government e Regioni. Berlusconi l'ha spezzata in 3, e non sempre scegliendo uomini pro-innovazione (il suo ex ministro della Funzione pubblica Luigi Mazzella si fece togliere il computer dalla scrivania perché «più adatto alle segretarie»). E anche nel governo Prodi non di rado si sono confrontate visioni contrastanti tra Nicolais e Lanzillotta.
Un altro problema è il ruolo del Cnipa, aspirante regista dello Stato digitale, alla cui testa c'è il fisico nucleare Fabio Pistella. «Stiamo creando una struttura che lavora per obiettivi — dice l'ex direttore dell'Enea — ma facciamo i conti con due limiti: la mancanza di un sistema di premi al merito e l'equilibrio delle competenze al nostro interno: tanti ingegneri e giuristi, pochi esperti di organizzazione». Per i suoi critici invece il Cnipa è un organismo «costoso e difficilmente riformabile», i cui compiti andrebbero affidati a una cabina di regia molto più leggera all'interno del ministero della Funzione pubblica.
Alla formazione di manager statali di alto livello avrebbe dovuto contribuire la creazione di un «Ena italiano» sul modello dell'Ecole Nationale d'Administration francese, unificando i 4 istituti esistenti. Ma l'Ena italiano, che faceva parte del programma Prodi, non è mai nato. Anche — si spiega — per l'opposizione del ministro Nicolais (collegio elettorale Napoli) che ha difeso l'«autonomia» del Formez, uno dei 4 istituti da unificare.
Edoardo Segantini


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