Corriere-"Siamo 100 mila, stop alla scuola della Moratti"
"Siamo 100 mila, stop alla scuola della Moratti" La protesta a Roma. Il no alla riforma unisce i manifestanti di Cgil e Cobas. Molti istituti chiusi, duello sulle cifre ROMA - Quelli che...
"Siamo 100 mila, stop alla scuola della Moratti"
La protesta a Roma. Il no alla riforma unisce i manifestanti di Cgil e Cobas. Molti istituti chiusi, duello sulle cifre
ROMA - Quelli che il giornale non lo comprano più (per risparmiare). Quelli che i libri li comprano, se li comprano, solo sulle bancarelle dell'usato (per risparmiare). Quelli che a scuola ci vanno in autobus o in tram (sempre per risparmiare). Quelli che fanno i professori, gli insegnanti, e che con una mano tengono alto l'ombrello e con l'altra lo striscione: piove su Roma e sulle loro manifestazioni, che sono due - la prima organizzata dai sindacati confederali, Cgil, Cisl e Uil, e l'altra dai Cobas - anche se poi i cortei quasi si fondono, ci sono abbracci e pugni chiusi, bandiere che sventolano e cori scanditi insieme: in fondo, tutti protestano contro le stesse cose. La riforma del ministro Moratti e i tagli. Tutti chiedono più risorse, un contratto nuovo, stipendi migliori. I Cobas vengono giù da piazza della Repubblica e contano di chiudere dalle parti di piazza Venezia: i confederali hanno scelto un altro percorso, da piazza Bocca della Verità e fin dentro a piazza Navona. E tutti sfilano, e si tengono per mano, le insegnanti che si son portate dietro i figlioletti e i professori che raccontano il viaggio (in seconda classe) da Torino e da Venezia, da Bologna e da Firenze, da Napoli e da Cosenza.
Cobas che cantano: "Contro la riforma/ non c'è soluzione/ abrogazione/ abrogazione". E poi: "Riforma Moratti/ ma quale libertà/ saranno solo liberi/ i figli di papà". E i militanti della Cgil: "La nuova trovata/ di Berlusconi/ meno insegnanti/ e più condoni".
Poi palloncini colorati, due bandiere con la faccia di Ernesto Che Guevara, gli arcobaleni pacifisti che si fondono ai drappi rossi dei Ds, di Rifondazione, dei Comunisti italiani. Avvistati alcuni leader della sinistra. Piero Fassino: "Il governo è ormai allo sbando". Armando Cossutta: "Questa della scuola è una battaglia che coinvolge tutto il Paese".
La politica entra nei discorsi dei manifestanti, dilaga, condiziona e caratterizza i due cortei, molto simili negli slogan e nei colori, nelle facce dei precari - "vengo da Avellino, mi chiamo Lucia Salviotti, ho 39 anni e da 10 aspetto d'essere assunta..." - e in quelle dei prof di ruolo, come Sergio Di Loreto, da Napoli: "Ho vent'anni di anzianità e stento ad arrivare alla fine del mese: il mutuo per la casa, e poi i soldi per la luce, il gas e il telefono. Due figli e una moglie. La Moratti come vivrebbe al posto mio?".
Ci sono anche discorsi più crudi e sempre tremendamente uguali, tra i Cobas e quelli della Cgil, che già si scorgono all'orizzonte di piazza Venezia, nell'uggioso lunedì mattina. Marco Di Michele, da Firenze: "Io dovrei fare cultura, giusto? Ma dove trovo i soldi per comprare un giornale tutti i giorni, per andare al cinema e per mettere piede dentro a una libreria?". Simonetta Della Casa, da Genova: "L'altro giorno, i miei studenti m'hanno chiesto se avessi visto "Hero", il film di Zhang Yimou... Beh, ho inventato una scusa: ho detto che avrei voluto ma che poi altri impegni... È stata una penosa bugia. La verità è che a me, 7 euro e mezzo, pesano. Sono una cifra".
Si cammina così, si ascoltano discorsi così. Ci sono sguardi lucidi, voci che tremano di rabbia e di vergogna, mani che si torcono e altre che si stringono.
Ecco, appunto, ecco quelle che si stringono proprio dentro piazza Venezia. Sotto al monumento del Milite Ignoto. Ecco l'incontro tra i Cobas e quelli della Cgil, che sono almeno cento e che si son staccati dal proprio corteo proprio per venire qui, a chiedere al cordone di poliziotti e carabinieri di allargarsi un po', perché "con quelli lì, con i Cobas, noi vogliamo solo abbracciarci". Infatti: grida di evviva, sorrisi, applausi. "Uniti, manderemo a casa la Moratti".
È una scena lunga, di quelle che non piacciono ai governi e, forse, nemmeno ai sindacalisti di professione. Però è una scena che spiega tanto, che spiega - forse - tutto.
Fabrizio Roncone