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Corriere: Se l’università rinuncia alla competenza

da Parigi a Roma

25/05/2009
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Corriere della sera

di CESARE SEGRE

E’ probabile che il movimento delle università francesi con­tro la riforma di Sarkozy e della ministra della Ricerca Pécresse finisca malamente (oggi riprendono i corsi alla Sorbona): an­che l’anno accademico è in pericolo, per­ché non si è raggiunto il numero di giorni d’insegnamento necessari per la validità dei corsi. Ma occorrerà meditare a fondo sulle motivazioni di questo movimento, che in generale non sono state intese be­ne dal pubblico né dai media: non è un movimento solo degli studenti, ma di mol­ti di coloro che sono impegnati nell’uni­versità, anche ricercatori, professori, perfi­no presidenti, cioè rettori, come quello dell’illustre Sorbonne; non è un movimen­to politico, dato che è nettamente trasver­sale, ma semmai antigovernativo. E in ef­fetti è stato provocato da decreti del gover­no. Niente a che fare con il ’68, a cui va subito la nostra memoria.

Nell’immediato, il movimento protesta contro drastiche riduzioni dei posti, che metteranno a rischio le possibilità di ricer­ca; e su rigidi mansionari che dovrebbero regolare, col bilancino, i rapporti fra inse­gnamento e ricerca, la cui complementari­tà è, a parole, riconosciuta da tutti. Ma nel fondo il movimento condanna una riorga­nizzazione che darà il potere decisionale a persone estranee agli studi, cioè burocra­ti, amministratori e politici, e che sotto la coperta dell’«autonomia» scaricherà e tra­sferirà a enti esterni il mantenimento eco­nomico della ricerca. La ricerca di tipo umanistico, e in genere la ricerca di base, oltre a veder ridotti borse e dottorati, tro­verà difficilmente i fondi per sopravvive­re, mentre avranno prospettive certo mi­gliori i centri dedicati alla ricerca finalizza­ta, in prima fila quella industriale.

La competenza? Un mito da minimizza­re. Per questo è fondamentale, per la rifor­ma, toglierla dalle mani di chi sa, e sa scru­tare nel passato e nell’avvenire, e metterla in quelle di chi può, e s’impegna al massi­mo lucro immediato. Lo spirito critico è un ostacolo per chi ha voglia non di pensa­re, bensì di fare, certo a suo vantaggio. I ribelli si sono distinti per trovate spirito­se: non solo un girotondo di molte setti­mane intorno al municipio di Parigi, ma letture pubbliche della «Principessa di Clèves», un romanzo secentesco pesantuc­cio ma molto importante nella storia della cultura, citato da Sarkozy come simbolo dell’inutilità della letteratura; diffusione di finte poesie di François Villon contro gli ideatori della riforma o di finte farse teatrali medievali, in cui si mette alla berli­na l’ignoranza di ministro e presidente. I movimenti francesi sanno sempre far teso­ro di una felice immaginazione, ma a Pari­gi si ride davvero per non piangere.

Lo scarso interesse che da noi si è mo­strato per questo movimento sembra dire che non si sono avvertite le molte analo­gie con la situazione dell’università italia­na. Anche da noi i burocrati dettano leg­ge, anche da noi si tende ad umiliare gli insegnamenti e le ricerche di base, e ci si getta sull’effimero e sull’immediatamente redditizio. Molti, avvertito il pericolo, cer­cano di far ritoccare, o sperano di usare a proprio vantaggio, i criteri di valutazione che stanno per diventare obbligatori, inve­ce di dire a chiare lettere che essi, metten­do la museruola ai competenti, soli ad ave­re la capacità di giudicare, ridurranno le valutazioni, ormai affidabili a chiunque, a puro calcolo quantitativo. Alla faccia della meritocrazia.


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