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Corriere-Scuola, le certezze che mancano

Scuola, le certezze che mancano di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI Sarebbe ipocrisia affermare che lo sciopero programmato a scacchiera da domani, regione dopo regione, rispecchi soltanto le inquietu...

19/10/2004
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Corriere della sera

Scuola, le certezze che mancano
di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Sarebbe ipocrisia affermare che lo sciopero programmato a scacchiera da domani, regione dopo regione, rispecchi soltanto le inquietudini dei docenti per il rinnovo del contratto. Con il timore di una stretta legata alla Finanziaria. C'è molto di più. L'abolizione di un'ora a inizio delle lezioni è un rodaggio, in vista del blocco generale fissato per il 15 novembre. La scuola vive un lungo disagio. Diffusa è la consapevolezza che le novità da gestire patiscono un deficit di condivisione. Delle due l'una: o è sbagliata la riforma o ci sono errori seri nella sua metabolizzazione. Io propendo per la seconda ipotesi. Bisogna cambiare marcia in questa fase, trasmettere alla scuola più certezze, spiegarsi meglio sui tempi, i mezzi finanziari e i contenuti. Le zone di attrito, a partire dalla nuova figura del "tutor", vanno rivisitate insieme, come si sta cominciando a fare.
È mancata un'adeguata strategia di formazione degli operatori e di informazione dell'opinione pubblica, che poi quasi sempre è anche utenza, cioè le famiglie. Il nuovo sistema dell'istruzione è legge da più di un anno, eppure non si rasserena il clima.
Dire che il tasso di politicizzazione nella protesta è forte appare ovvio e non aiuta ad andare oltre. La povertà perfino linguistica di parte delle contestazioni, immiserite a slogan, è un fatto intrinsecamente negativo. Se si scelgono scorciatoie banali, se si personalizza e si insulta, la povertà del contesto svela una progressiva sottoproletarizzazione della materia del contendere.
Le ragioni non sono imputabili soltanto al calcolo politico e ai preconcetti di radice ideologica. C'è un errore di metodo nell'attuazione della riforma. Con il solo effetto-annuncio, il sistema da riformare si è fatto più nemici di quel che era logico attendersi per gli interessi infastiditi e i dogmi violati.
Un punto del malumore è nell'assenza di una mediazione, non corporativa, che andrebbe vissuta anche dentro la memoria di passate esperienze. La riforma non arriva sul vuoto. Il cambio di paradigmi culturali e organizzativi che essa promette richiede scelte di metodo: 1) una esplicita valorizzazione del lavoro preriforma, compiuto da una avanguardia di docenti negli ultimi 15 anni, gente da ascoltare, utilizzare, rendere amica della novità; 2) un capillare coinvolgimento (colloqui, analisi, dibattiti) di tutti gli operatori della riforma, che sono i 900 mila docenti, non controparte, non numeri sindacali. Frastornati da notizie contrapposte e spesso inesatte, maestri e professori non sono sufficientemente aiutati da un'informazione di livello scientifico intorno alle innovazioni; 3) una sincronia fra i lavori da intraprendere nelle diverse parti del sistema scolastico. Non ha senso mettere una pezza qua e una là. Si rischia di riformare le aree dove i finanziamenti sono reperibili e di lasciar invecchiare le altre. L'inquietudine a proposito del "tutor" è anche conseguenza di questo errore. La scarsa documentazione sul ruolo che il "tutor" dovrebbe avere nel secondo ciclo degli studi, dove l'introduzione è di là da venire, provoca un effetto strabico. Per ora si parla solo di un segmento del primo ciclo, fra maestre e bambini. Non si tiene conto invece che la nuova figura professionale, già operante nell'Europa avanzata, dovrebbe accompagnare gli studenti dentro percorsi complessi, e aiutarli ad affacciarsi alla vita. Ed è soprattutto là la sua importanza.
I punti centrali sono quindi la formazione dei nuovi docenti, il loro prestigio culturale e sociale e la connessa valorizzata retribuzione. Primo o secondo ciclo che siano, non si sta discutendo di colf o di "baby sitter", ma di intellettuali specializzati. Se si sbriciola l'innovazione soltanto in un'avarizia di scatti di stipendio, il fraintendimento ne resta favorito.


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