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Corriere-SCUOLA AL VERDE? E' MEGLIO DIRLO

PRIMA_PAGINA Il governo e il rinvio della riforma Moratti SCUOLA AL VERDE? E' MEGLIO DIRLO di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI Qualcuno dovrebbe spiegare agli italiani...

04/08/2002
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Corriere della sera

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Il governo e il rinvio della riforma Moratti

SCUOLA AL VERDE? E' MEGLIO DIRLO

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Qualcuno dovrebbe spiegare agli italiani che vanno in vacanza perché è più urgente (e democratico) un decreto che anticipa una parte del codice della strada e fa circolare di giorno le automobili con i fari accesi, piuttosto che un decreto che avrebbe sottratto la scuola elementare all'interminabile attesa di una riforma, consentendo fra l'altro ai bambini di studiare inglese e informatica fin dal primo giorno di lezioni del 2002-2003. L'incertezza, di cui le famiglie non hanno bisogno, nuoce all'intero sistema dell'istruzione, dalla scuola dell'infanzia all'università. Nel merito sono convinto che la riforma Moratti contiene molti punti apprezzabili. Voleva rompere indugi annosi. Si prendeva atto con realismo della necessità di standard europei per il doppio binario istruzione-formazione garantendo una osmosi fra i due percorsi. Abbinava poi valutazione degli apprendimenti (promozioni e bocciature biennali) e giudizio sui comportamenti (voto in condotta, destinato a fare media e a incidere sul curricolo degli studenti). Si coglieva il fatto che non c'è più spazio per presenze incivili in classe, rivendicando così un rispetto reciproco fra chi fatica (e insegna) e chi fatica (e impara).
Velocemente abolita la legge Berlinguer, non si è consentito di costruire altrettanto velocemente laddove si era smantellato. Fra ostilità manifeste (e in notevole parte ideologiche), diffidenze corporative e sindacali e insistite enfasi sui costi dell'innovazione, all'opinione pubblica non è alla fine chiaro il vero motivo del quasi totale rinvio del progetto del ministro Moratti. Si dice che mancano i soldi. Ebbene, se il governo ritiene che ci siano spese più urgenti, lo dica chiaramente. E senza ambiguità spieghi che cosa concretamente intende fare per tutto il sistema dell'istruzione, della formazione e della ricerca. Bisognerebbe essere qui molto precisi, anche perché non tutto ciò che viene bloccato richiedeva stanziamenti in un momento di austerità di bilancio. Faccio un esempio: la creazione di un maestro prevalente nei primi anni delle elementari, che si poteva anticipare per decreto, può essere compiuta a costo zero. Si libererebbero anzi energie e ore per l'insegnamento dell'inglese, servizio oggi offerto soltanto nel 70% dei casi, a partire solo dalla seconda elementare.
Sembrerebbero argomenti minori, ma così non è. Precoci competenze matematiche, informatiche e linguistiche aiutano le ultime generazioni, oggi svantaggiate nella prospettiva europea. Una valutazione molto seria degli esperti del Timss (Third International Mathematics and Sciences Study) collocava nel 1986 la scuola elementare italiana ai primi posti nel mondo. Oggi la stessa équipe pone l'Italia sette punti sotto la media dei 17 Paesi esaminati.
Ci sono stati attriti settoriali. C'era chi considerava l'iscrizione nella scuola pubblica a cinque anni e mezzo una insidia al monopolio privato delle "primine". C'era e c'è chi inquadra l'intera riforma nei termini di una contesa politica e di ideologia.
A rimetterci sono comunque i giovani. Lo slittamento è infatti metodo vecchio di impostazione dei problemi. Accumula deficit nei confronti dell'Europa. Le minisperimentazioni cadono in un clima inasprito. A settembre si rischia di avviare una guerra fra poveri, da una parte gruppi numericamente minoritari con le loro (talvolta rispettabili) idee antiriforma e le loro (assai meno rispettabili) occupazioni e manifestazioni esagerate di piazza, dall'altra i realizzatori della riforma, bloccati soltanto a spiegare perché sarebbe stato necessario far presto. In attesa che arrivino soldi, o almeno che si precisino le priorità, non è giusto che vada così: di questo son convinti 20 milioni di genitori, 10 milioni di ragazzi e un milione di docenti, divisi sul merito ma non sulla premessa: al buio non si insegna e non si apprende.


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