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Sapienza: cento brevetti ma l'America è lontana Nelle università statunitensi anche 400 in un anno. Nell'ateneo romano, primo in Italia, solo 20 Cento brevetti in più di cinque anni p...
Sapienza: cento brevetti ma l'America è lontana
Nelle università statunitensi anche 400 in un anno. Nell'ateneo romano, primo in Italia, solo 20
Cento brevetti in più di cinque anni per il più importante ateneo di Roma: primo in Italia, ma lontanissimo dai risultati raggiunti dalle grandi università americane ed europee. Il paradosso "La Sapienza" riguarda il comparto delle invenzioni "nuove e adatte ad avere un'applicazione di tipo industriale". Questa, in estrema sintesi, la definizione del termine "brevetto": strumento giuridico e materia assai complessa con cui viene conferito a chi ha realizzato un'invenzione (non dunque una semplice scoperta) il monopolio temporaneo, per 20 anni, di sfruttamento economico della stessa. Tanto per fare un esempio, la University of California (che in realtà è un network che riunisce vari atenei) di brevetti ne ha sfornati 431 solo nel 2002 (la Sapienza 16), piazzandosi per il nono anno consecutivo al primo posto di una speciale graduatoria stilata a fine 2003 dal "Department of Commerce's United States Patent and Trademark Office" (Uspto), che vede ai primi quattro posti della top list americana - dopo l'Ucla - il Massachusetts Institute of Technology (135 brevetti), il California Institute (109) e la Stanford University (104).
E proprio sul modello delle università americane, da qualche anno anche i principali atenei italiani si sono dotati di strutture che tentano di trasformare i progressi scientifici maturati nell'ambito della ricerca universitaria in successi industriali; garantendosi così una competitività sui mercati internazionali. All'epoca (tutto cominciò verso la fine degli anni Novanta) si trattò di una svolta epocale per la mentalità universitaria italiana, fino ad allora (e in gran parte ancora oggi) ancorata alla ricerca pura, cosiddetta "di base", o al massimo impegnata in ricerche per conto terzi commissionate da privati o enti.
Questa tentata svolta, però, è ancora lontana dal compiersi, anche se in questi anni qualcosa si è mosso. Il passaggio alla ricerca applicata ha fatto sì che sorgessero infatti in molte università (e La Sapienza è stata tra le primissime) appositi uffici in grado di assistere i ricercatori nelle complesse procedure per il deposito e il riconoscimento delle invenzioni. Molti atenei, Roma compresa, si sono inoltre dotati di apposite commissioni tecniche (con membri stabili e consulenti) in grado di accertare l'effettiva novità degli "aspiranti brevetti" (in gergo designati con il termine di applications).
Quello della Commissione universitaria è però solo il primo step nel lungo iter per il riconoscimento di brevettabilità: segue infatti il riconoscimento (un esame per lo più formale e non di merito, ma obbligatorio per legge) dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, struttura del Ministero per le attività produttive. Mentre i passi successivi - necessari in un mondo di competizione globale - riguardano depositi e concessioni presso l'Epo (Ufficio brevetti europeo) e il Pct (Patent Cooperation Treaty), con costi che arrivano fino a 50 mila euro per ogni brevetto.
Una recente indagine, ancora in corso e coordinata da Riccardo Pietrabissa, professore ordinario del Politecnico di Milano, ha messo in luce il buon risultato dell'università La Sapienza, dove l'Ufficio brevetti esiste dal 1999 (nei cento brevetti vanno dunque inclusi anche i circa trenta attivi nei 20 anni tra il 1979 e il 1999, ovvero prima che l'ufficio si costituisse). Al secondo posto di questa classifica c'è Bologna. E buoni risultati fanno registrare anche gli atenei di Pisa, Cosenza, Ferrara, Bologna. Oltre ai Politecnici di Milano e Torino. "Il dato numerico della Sapienza - spiega Pietrabissa - è certo un indicatore importante, frutto di un lavoro condotto da persone competenti. Ma riguarda un ateneo generalista, con molte facoltà. Già se si considera il numero di brevetti in rapporto al numero di docenti, Roma non è più prima".
I brevetti, inoltre, hanno un costo: "Appunto. Io potrei per assurdo presentare un brevetto al giorno. Ma spenderei cifre enormi. Dunque più che il portafoglio di brevetti concessi e il numero di applications conta l'effettivo trasferimento tecnologico dall'università alle realtà industriali. Noi del Politecnico, dal 2000 a oggi, abbiamo fatto 62 brevetti con due sole facoltà. Di più non se ne possono fare. Sono tantissimi, come sono tanti quelli di Roma, se si pensa che il mio budget annuo è di 75 mila euro. Mentre quello dell'università della California è di 85 milioni di dollari" (alla Sapienza il fondo è invece stato finanziato dal primo anno con 500 milioni di lire).
I finanziamenti alla ricerca, appunto. Questo, secondo gli specialisti, il principale problema che giustifica la penuria di invenzioni in Italia, anche al di là del comparto universitario romano, cui vanno aggiunti i 20 brevetti di Tor Vergata e i cinque targati Roma 3. Lo Stato in Italia spende infatti sempre meno per la ricerca: meno dell'uno per cento del prodotto interno lordo (il Giappone il 2,12, gli Usa l'1,97, la Germania l'1,66) a fronte di un valore medio dei paesi Ue che è dell'1,19.
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Edoardo Sass