Corriere: Ricerca, idee in gara. Per i soldi
I cervelli italiani fuggono all'estero, quelli stranieri disertano i nostri laboratori e i soldi dell'Europa non arrivano
Lista unica dei progetti per i finanziamenti Deciderà un comitato di esperti stranieri
La novità Dal 2009 nella biomedica le prime assegnazioni fatte in base alla validità della proposta. «Così non si perdono le risorse»
Ricercatori precari in piazza, fuga dei cervelli, finanziamenti europei che vanno agli altri. L'Italia della ricerca biomedica perde competitività e non attira cervelli stranieri, anzi perde i propri. Articoli sulle riviste scientifiche internazionali ( Science, maggio 2008) denunciano poca trasparenza e fondi dispersi a pioggia. Analizzando le percentuali di spesa in ricerca e sviluppo rispetto al Pil dei principali Paesi occidentali (Svezia 3,70; Stati Uniti 2,84; Germania 2,29) non appare chiaro quale possa essere il ruolo futuro dell'Italia (0,90-1% del Pil). «In realtà i soldi sarebbero sufficienti, sono le regole che vanno cambiate», commenta Tony Scarpa, veneziano, studi a Padova, dal 1971 a Philadelphia dove attualmente guida il centro che valuta i progetti di ricerca e i finanziamenti del
National Institute of Health (Nih). Forte dei 28 miliardi di dollari che ogni anno vanno a progetti di studio (il 90% sono pubblici). «Le aziende del farmaco subentrano di solito quando si passa alla ricerca clinica», aggiunge Scarpa, anche lui un «cervello» in fuga. E Ferruccio Fazio, sottosegretario del Welfare con delega alla Salute, medico e ricercatore, sforna nuove regole per l'Italia (dal 2009) proprio mentre i ricercatori precari protestano in piazza. Il meccanismo che permetterà di assegnare in modo trasparente i finanziamenti ai progetti di ricerca biomedica in Italia è stato elaborato congiuntamente dai ministeri del Welfare e dell'Università. Fazio lo illustra: «Si tratta di un Comitato unico di valutazione scientifica composto da quattro esperti italiani che dovrà individuare ogni due anni uno o più gruppi (panel) di circa 12 esperti stranieri e tre revisori indipendenti, sempre stranieri, che valuteranno i singoli progetti presentati in una lista unica nazionale. Il ministero del Welfare lo utilizzerà sicuramente per l'erogazione dei fondi per il 2009». E aggiunge: «In Italia sono finora mancati criteri trasparenti di assegnazione dei soldi. E' ora di puntare sul merito».
D'accordo il presidente del Cnr, Luciano Maiani, che ha giudicato il meccanismo di valutazione «molto trasparente ed efficace, basato sul giudizio tra pari». Il modello è a disposizione di tutti gli enti che vorranno adottarlo. Soddisfatto Guido Rasi, nuovo direttore generale dell'Aifa, che sta introducendo correttivi importanti nell'agenzia: «Massima trasparenza e funzioni di controllo separate da quelle regolatorie. Trasparenza anche nell'assegnazione dei fondi per la ricerca indipendente, in cui credo fermamente ». La nuova linea di erogazione si ispira a quella Nih, «che in Italia — dice Scarpa — ha già imitatori nell'Airc e in Telethon».
L'Nih non finanzia «università e stipendi dei professori, come avviene in Italia», ma esclusivamente i progetti. Conclude Scarpa: «E da noi i giovani arrivano, non se ne vanno». In tal senso i dati 2007 di Farmindustria sono eloquenti. In Italia solo tre occupati su mille sono ricercatori, rispetto ai 6 dei Paesi Ue. E si riscontra un rapporto deficitario fra ricercatori che vanno all'estero e stranieri che arrivano nel nostro Paese. «Questo nonostante le aziende abbiano aumentato negli ultimi 5 anni il numero di addetti in ricerca e sviluppo, passando dal 7,4% all'8,7%», dice Sergio Dompé, presidente di Farmindustria.
Ribadisce Umberto Veronesi: «Le risorse ci sarebbero, ma la distribuzione è inadeguata e c'è un disinteresse generale verso la scienza. Cominciamo a innalzare la quota di Pil per la ricerca almeno all'1,5%. E che i fondi vadano a vantaggio dei giovani. Hanno talento, merito e idee». Eppure qualcosa non funziona. Al bando del Consiglio europeo della ricerca (budget di 7,5 miliardi di euro) finalizzato ai giovani sono state presentate 9.167 domande (1.600 erano italiane). I vincitori sono 300. Alla fine solo 38 progetti italiani sono stati finanziati (soprattutto nella Fisica e nell'Immunologia): 26 verranno realizzati in Italia. Solo il 4% degli italiani finalisti aveva chiesto di realizzare il loro progetto in patria, il 25% aveva scelto la Gran Bretagna. Londra attira.
Perché? Lo spiega Giandomenico Iannetti, neuroscienziato laureatosi in medicina a «La Sapienza» di Roma nel 1999: «Nel luglio 2002, durante l'ultimo anno del mio dottorato italiano, ho fatto domanda (su Internet) per post-doc alla Oxford University.
Sono stato scelto e mi sono trasferito a Oxford nel gennaio 2003 per la ricerca nel campo del dolore. Oggi ho un grant (finanziamento) di circa 800 mila sterline per i primi 5 anni e guido un gruppo di ricerca autonomo. Posso portare via il grant con me, se vado in altre università. Stipendio: circa 3.000 euro al mese». Storia analoga quella di Silvia Paracchini che lavora al Wellcome Trust Centre for Human Genetics di Oxford e che pochi giorni fa ha firmato un importante studio su un gene responsabile della dislessia.
Al contrario, i giovani che restano in Italia hanno il dubbio di poter sopravvivere se fanno i ricercatori. E' la vicenda emblematica di Antonio Porro, ricercatore a Bologna (1.200 euro al mese) a 28 anni, contratto a termine, autore di una scoperta chiave per nuove terapie «intelligenti» contro i tumori. Oggi è all'Università di Losanna: 3.500 euro al mese.
Al Festival della Salute di Viareggio, iniziativa di «Italiani- europei», si è parlato dei mali della ricerca biomedica italiana. «I fondi servono a pagare gli stipendi — polemizza Antonio Giordano, un piede negli Stati Uniti ( Temple University) e uno in Italia (docente a Siena) — e una vera e propria "cupola" li pilota sempre verso gli stessi istituti ». Rincara la dose Mario Renato Capecchi, premio Nobel per la medicina 2007: «In Italia ricevono soldi solo i leader dei settori della ricerca e li filtrano giù per la piramide dello staff. Difficile per i giovani emergere». Chi crede nei giovani è il senatore pd Ignazio Marino: «Avevo fatto introdurre in Finanziaria che il 10% delle risorse per la ricerca (pari a 82 milioni di euro) andasse a ricercatori al di sotto dei 40 anni e nominalmente. In base a progetti valutati da una commissione internazionale composta da 10 giovani scienziati, 5 italiani e 5 stranieri». Commissione presieduta da Monica Buzzai, 37 anni, biologa molecolare alla North Western University di Chicago. «Ma — denuncia — oggi quei fondi sono fermi. Sarebbe utile sapere perché». Alberto Mantovani, immunologo di fama internazionale e direttore scientifico dell'Istituto Humanitas, lancia l'allarme competitività: «Non attiriamo più né ricercatori né fondi. Surclassati dai maggiori competitors del vecchio continente nella finale del bando europeo (Francia, Inghilterra, Germania), in due anni abbiamo perso circa il 20% dei finanziamenti europei».
E giovani «cervelli» scappano. A cinque anni dalla laurea preferiscono l'estero in 547.000. «Emigrazione d'élite ». Difficilissimo poi il rientro in patria.
Mario Pappagallo