Corriere: «Quei numeri a memoria non insegnano a pensare»
Il Nobel per la fisica
MILANO — «Conoscere le tabelline può essere utile, ma non mi pare diano un grande aiuto per imparare a pensare». Riccardo Giacconi, premio Nobel per la fisica nel 2002 per aver scoperto il nuovo cielo a raggi X, è tagliente nei commenti.
Impararle, allora, è una fatica vana?
«Quando entrai all'università di Milano avevo un bravissimo insegnante di geometria che ci disse di dimenticare la trigonometria studiata al liceo e di affrontare invece la geometria proiettiva con maggior impegno. Perché la prima era solo calcolo, mentre la seconda era preziosa per sviluppare la capacità di capire il mondo da un punto di vista fenomenologico, che è quello che conta ».
Ma la matematica bisogna pur affrontarla.
«Studiarla è importante e necessario soprattutto per la scuola italiana che da sempre ha privilegiato gli aspetti umanistici. Se qualcuno non conosce Shakespeare è giudicato ignorante mentre se ignora Newton o Keplero è giustificato. Ecco, questa disparità dovrebbe scomparire, senza con questo rifiutare lo studio della grammatica e della lingua, perché se non la conoscessimo noi due non riusciremmo a parlarci. Però, con la sola cognizione dei numeri e delle tabelline non si trasmettono le idee».
Non ha mai avuto difficoltà con la «scienza delle scienze»?
«Mia madre insegnava matematica e quando ero al liceo mi chiedeva una mano nel correggere i compiti dei suoi studenti. Io ci tenevo molto a non far brutta figura e così spesso studiavo gli argomenti che non conoscevo tutto da solo. Ho sempre preferito la geometria, nella quale ero dotato. In algebra avevo qualche difficoltà perché mi annoiava con quelle lunghe espressioni; era soltanto calcolo».
Ora lei insegna alla John Hopkins University di Baltimora. L'anno scorso il presidente Bush ha invitato a studiare di più la matematica, ritenuta indispensabile per lo sviluppo del Paese. C'è una crisi come in Italia?
«La situazione è ben diversa, ma è vero che anche in America c'è la necessità di studiarla più seriamente. Abbiamo una grave carenza, colmata oggi soprattutto con l'arrivo di molti ricercatori asiatici. Ma è una tendenza da invertire».