Corriere-"Produciamo studenti generici Bisogna ricominciare dall'abc
"Produciamo studenti generici Bisogna ricominciare dall'abc" ROMA - Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, parte con una confessione liberatoria: "Mi sono occupato di scuola per ...
"Produciamo studenti generici Bisogna ricominciare dall'abc"
ROMA - Giuseppe De Rita, segretario generale del Censis, parte con una confessione liberatoria: "Mi sono occupato di scuola per la prima volta nel 1955. Sono andato avanti per quarant'anni. Poi, dieci anni fa, ho smesso. Magari sarà stata colpa mia. Ma mi sono stufato". La scuola è scesa in piazza contro la riforma Moratti. Per arrivare al nodo del problema: cosa non va nel nostro sistema educativo?
"Partiamo da una consapevolezza. A furia di parlare di quale scuola dovrebbe avere l'Italia, la scuola si è fatta da sola. E male. Manca dei tre cantoni necessari a un circuito efficace: una domanda delle famiglie e delle imprese, una adeguata risposta del sistema, una classe dirigente capace di orientare il tutto".
Eppure non c'è stato governo di centrosinistra o di centrodestra che non abbia parlato di riforma...
"E' il tipico modo intellettualistico di lasciare le cose come stanno. Tutto questo gran parlare di capitale umano, o di fattore umano che dir si voglia, di investimenti in ricerca, non conduce concretamente a nulla. Si pompa solo un approccio generico. Anche l'opinione pubblica, posso garantirlo, si è stufata di sentir parlare continuamente di questa benedetta centralità della scuola. Un volontarismo sterile".
Partiamo dal nucleo-base della nostra società. Lei accusa: manca una vera domanda delle famiglie. In che senso?
"Si mandano i figli a scuola, ci si sforza per farli arrivare all'università. Benissimo. Ma se poi questa laurea è in fisica o in scienza delle comunicazioni è secondario. Vedo solo una domanda generica di un titolo, di mobilità sociale verso l'alto, di nuovo status".
Passiamo ora al mondo imprenditoriale. Dove sbaglierebbe?
"Ricordo che ai tempi di Giancarlo Lombardi alla vicepresidenza di Confindustria si poteva star sicuri sulle richieste rivolte al mondo dell'istruzione: formazione professionale media, o anche medio-bassa. Una laurea forse non impegnativa ma ben motivata. Oggi questa domanda non esiste, tutto è caratterizzato dalla genericità. Confindustria, Confcommercio, Confartigianato non fanno che dire: investimenti, professionalità, centralità della scuola. Solo formule vuote prive di concretezza. Così come è vuoto lo sforzo di una classe dirigente che non ha prodotto vere idee".
Visto che è in tema di accuse, cosa pensa della "risposta del sistema", quella degli insegnanti?
"Mi prenderanno forse a parolacce i miei amici sindacalisti. Ma mi chiedo: chi ha vinto in questi anni? L'immobilismo. Ha vinto chi stava nella scuola. Cioè gli insegnanti e i sindacati: chi si è preoccupato di entrare nella scuola, di restarci, e raramente di come riempirla di contenuti, di cosa, e perché insegnare. E' un sistema privo di vera vita che serve poco a chi ci studia e più a chi ci lavora".
Gli insegnanti però si ribellano contro una riforma che non condividono e contro un sistema retributivo che ormai li colloca ai gradini più bassi della scala sociale.
"Il problema della retribuzione è oggettivamente legato anche al numero di docenti, che sono quasi 833.000. Mi pare difficile difendere insieme il livello retributivo e quello occupazionale. Probabilmente si sconta anche la vecchia leggenda urbana: cioè che il corpo insegnante si sia fortemente femminilizzato e che lo stipendio, nella gran parte dei casi, non sia l'unico reddito familiare".
Lei pensa che gli insegnanti italiani siano troppi, come ha già affermato sul Corriere della Sera Attilio Oliva, presidente di TreeLLLe, l'associazione non profit che studia i problemi dell'educazione?
"Siamo certamente in un regime di abbondanza: un docente ogni nove alunni contro uno ogni quindici della media europea. Non per niente ci siamo inventati gli insegnanti di sostegno o addirittura le tre diverse figure nelle scuole elementari. I sindacalisti obiettano: ma come, proprio adesso che la natalità sta risalendo, lo Stato vuole tagliare l'organico degli insegnanti? Hanno le loro ragioni. Ma resta il problema di fondo: questa è una scuola senz'anima".
Ma il numero di laureati cresce, come quello dei diplomati.
"Eppure questa scuola, questo sistema formativo somiglia alla società italiana: non riesce a garantire competenze. Sono state le competenze medie a costruire questo Paese: dall'agronomo o dal perito industriale del piccolo centro di provincia in su. Gente ferratissima nel proprio campo. Oggi, in questa famosa scuola senz'anima, si studia troppo poco. Sono in tanti a innamorarsi dei "centri di eccellenza". Ma a quale "eccellenza" si può arrivare quando mancano le basi più banali, quando non c'è la struttura più elementare? E parlo del far di conto, dell'italiano, poi del latino, della stessa lingua inglese... Al mio vecchio liceo Tasso di Roma hanno organizzato magnifiche iniziative legate al volontariato, ai problemi dell'Africa. Ma secondo me studiano pochissimo".
La accuseranno di qualunquismo, professor De Rita.
"L'ho già detto prima. So che mi prenderanno a parolacce. Ma io lo penso: questa scuola produce studenti poco competenti che approdano all'università dove la loro situazione non cambierà. Prima di parlare delle eccellenze, che riguardano piccoli numeri e non milioni di studenti, pensiamo alle basi".
Lei cosa suggerirebbe?
"Il rimedio più ovvio. Ricominciare a insegnare davvero e a studiare davvero, a distribuire competenze e conoscenze fondamentali. Propongo un anno scolastico etico in cui tutti riprendano il proprio ruolo. Basta con questo metodo generico: sono generici i genitori, generici gli insegnanti, generici gli imprenditori che cercano forza-lavoro, generica la mano pubblica. La colpa minore, alla fine, è degli studenti".
In quanto alla mano pubblica?
"Dovrebbe limitarsi a gestire seriamente ciò che c'è".
Lei teme che l'Italia, nel contesto europeo, possa fornire solo "generici", per ripeterla con lei, al mercato dell'Unione?
"Esattamente. Con una laurea in materie improbabili, con un curriculum poco convincente, con basi cognitive incerte, si finirà fatalmente nella subalternità".
Paolo Conti